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Alfredo Giacobbe
Volare alto
08 mag 2017
08 mag 2017
Come Simone Inzaghi ha preso la Lazio di Pioli e l'ha fatta sua.
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Alfredo Giacobbe
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È nella natura umana la tentazione di creare delle categorie: servono per semplificare una realtà altrimenti complessa, sfuggevole, fuori dal nostro controllo; ci aiutano ad identificare al primo sguardo le caratteristiche primarie dei soggetti etichettati, ci danno l’illusione della conoscenza. Ma la realtà, a volte, è così complessa e sfaccettata che per categorizzare si finisce per fare delle estremizzazioni, ottenendo l’effetto opposto, ovvero allontanandoci dalla comprensione della realtà.

 

Nel calcio ad esempio si ha spesso la pretesa di incasellare tutti gli allenatori esistenti sotto due macro-categorie: da una parte gli allenatori di princìpi, dalle certezze dogmatiche, “filosofi” non sempre in senso buono; dall’altro ci sono i gestori di uomini, quelli che mettono in secondo piano ogni convinzione tattica, semmai ne avessero qualcuna.

 

Simone Inzaghi sicuramente

un allenatore filosofo, ma

un pragmatico puro, uno che ha sacrificato le sue idee in fatto di calcio sull’altare del risultato. Ha modellato la sua Lazio su un sistema tattico strutturato con princìpi e sotto-princìpi piuttosto precisi, che permette alle migliori individualità a disposizione di esprimersi al meglio. Ma non sapremo mai se, sotto condizioni diverse, avrebbe adottato le stesse soluzioni e princìpi, o se si sarebbe dimostrato altrettanto pragmatico.

 

Inzaghi ha ereditato una Lazio in crisi da Stefano Pioli portandola al quarto posto, una posizione che ha occupato per gran parte del campionato. In cosa è consistito il lavoro di Inzaghi, su una squadra che comunque aveva conquistato un terzo posto un anno prima del suo arrivo?

 

 



 

Uno dei miti da sfatare subito, su Inzaghi, è che la sua Lazio non abbia punti di contatto con la squadra del suo predecessore Pioli. I biancocelesti hanno mantenuto un istinto alla verticalità, all’attacco degli spazi larghi, molto pronunciato.

 

Tanto per cominciare, il numero di passaggi a partita è rimasto invariato: sono 464 quest’anno, settima prestazione del campionato, ed erano poco meno, 458, sotto la guida di Pioli. Così com’è rimasta invariata la porzione di passaggi lunghi sul totale: circa il 14%, per entrambi gli allenatori.

 

Se non è cambiata la finalità, è quanto meno cambiata la modalità attraverso la quale la Lazio risale il campo e una della cause può essere ricercata nella natura del riferimento offensivo. Ciro Immobile è un attaccante veloce che cerca di abbassare l’ultima linea avversaria, correndo alle spalle della difesa lungo la direttrice verticale. Djordjevic, invece, era un “target man”, abile nel gioco spalle alla porta, che Pioli utilizzava come appoggio per risalire il campo.

 

Di conseguenza, la scelta preferenziale per Pioli era l’apertura di un canale centrale oltre la prima linea di pressione avversaria: Biglia si abbassava tra i centrali avversari per aumentare la qualità della prima impostazione e le mezzali si allargavano, per svuotare la zona centrale.

 

Con Inzaghi, Biglia resta più alto e sulla sua stessa linea rimangono anche i terzini. I cinque uomini addetti all’impostazione del gioco (appunto: i due centrali difensivi, Biglia e i due terzini) provano a far fluire il pallone in fascia, per poi raggiungere con la verticalizzazione i due giocatori maggiormente dotati tecnicamente: Keita Baldè e Felipe Anderson. I movimenti delle mezzali sono funzionali a questa priorità: assorbono le avanzate dei terzini arretrando la loro posizione; oppure forniscono ampiezza allargandosi in fascia, quando l’esterno d’attacco sul loro lato entra nel campo.

 

Anche quando è schierata con la difesa a tre, l’obiettivo della prima impostazione non cambia: la palla deve girare dietro per il minor tempo possibile fino ad arrivare ad uno degli esterni. E dalle fasce il pallone deve arrivare velocemente sulla corsa di una delle due punte.

 

 



 

La tecnica dei due esterni laziali permette loro di creare sempre qualcosa di buono, soprattutto nelle condizioni ideali, in isolamento con il terzino avversario da sfidare nell’uno contro uno.

 

Keita è nella migliore stagione realizzativa della sua carriera, in doppia cifra di gol nonostante l’intermezzo in Coppa d’Africa. L’ex Barça doppia i suoi xG (6,5) con le reti segnate (13, escludendo i rigori), un record che quest’anno in Europa condivide con gente come Arjen Robben e Heung-Min Son. Keita è il sesto miglior dribblatore della massima serie, considerando i calciatori che hanno almeno 1000 minuti in stagione: compie una media di 2,6 dribbling ogni 90 minuti.

 

Una classifica, quest’ultima, dominata dal compagno Felipe Anderson, che è primo con 3,7 dribbling riusciti, ma è primo anche per quelli tentati, 6,5 ogni 90 minuti. Il contributo del brasiliano è stato decisivo nell’ultimo terzo di campo: con i 9 assist vincenti ha già ritoccato il suo record di 7 della stagione 2014/15, quando arrivò anche a segnare 10 reti. Pur di avere la sua qualità in campo in ogni occasione, Inzaghi ha sacrificato il brasiliano sulla fascia quando si è schierato con la difesa a 3.

 

Se la Lazio di Inzaghi è messa sotto pressione tenta il lancio su Milinkovic-Savic, soprattutto da destra verso sinistra, per sfruttare la fisicità del serbo (il migliore di tutta la Serie A per duelli aerei vinti) in opposizione ad un terzino, piuttosto che al centrale. Milinkovic-Savic è uno dei giocatori che è maggiormente cresciuto sotto Simone Inzaghi, la sua modernità sta nell’essere una mezzala completa in tutti i fondamentali, sia difensivi che offensivi.

 

Quello creato da Immobile e Milinkovic-Savic è un asse estremamente prolifico: il serbo ha assistito 4 dei 20 gol del napoletano. Per fare un esempio: qui in campionato contro il Bologna Milinkovic-Savic vince un duello fisico e poi serve un assist da trequartista.



La Lazio è la quinta squadra della Serie A per l’altezza media dei suoi calciatori, che sfruttano la loro fisicità alla perfezioni sui calci piazzati: la Lazio è la squadra che ha segnato maggiormente su situazioni di palla inattiva (17).

 

 



 

Sembrava che ci fossero differenze notevoli tra la Lazio di Inzaghi e quella di Pioli nella fase difensiva, in particolare nell’utilizzo del gegenpressing: lo sforzo per l’immediata riconquista del pallone era prioritario per Pioli e la sua Lazio primeggiava in campionato per il numero di recuperi nella metà campo avversaria (14,4 a partita in media).

 

In realtà, nel 2017, dopo una prima parte di campionato in cui gli uomini di Inzaghi sembravano preferire un ripiegamento nella propria metà campo appena concluso l’attacco, la Lazio odierna ha progressivamente alzato il proprio baricentro e di conseguenza è aumentato il numero di recuperi palla in territorio nemico: superando addirittura, con 15,4, la quota stabilita dalla Lazio passata.

 

È pur vero che la pressione alta oggi è intermittente e applicata solo in determinate fasi della partita, come quelle iniziali per cambiare da subito gli equilibri della contesa, o in determinate situazioni tattiche, come quelle statiche prima di una rimessa dal fondo o da fallo laterale.

 

Da quando è alla Lazio, Inzaghi ha schierato la sua squadra per 31 partite di campionato col 4-3-3, nelle 11 occasioni restanti ha scelto uno schieramento con la difesa a 3. Il piacentino ha operato il cambio modulo in due circostanze: quando ha affrontato un’altra squadra disposta con una difesa a tre, in modo da annullare ogni vantaggio tattico schierandosi a specchio; quando ha affrontato squadre organizzate col 4-3-3 o col 4-3-1-2, per garantire protezione della zona centrale e per avere copertura in caso di un’uscita aggressiva di un centrale per prendere un avversario negli half-spaces.

 

Inzaghi ha avuto il coraggio di sperimentare soluzioni creative: a Napoli schierò Basta da centrale di destra affinché potesse inseguire Insigne tra le linee. Sperimentazioni che spesso hanno ripagato l’azzardo: la Lazio ha la sesta miglior difesa del campionato per reti subite e la quarta miglior fase difensiva secondo gli Expected Goals, preceduta solo da quelle di Juventus, Napoli e Atalanta.

 

Al di là delle fasi di pressione alta prima descritte, la Lazio predilige difendere con un blocco basso, quanto meno per creare spazio alle spalle della difesa avversaria da attaccare una volta riconquistata palla. Il riferimento nella marcatura dei difendenti è l’uomo che transita nella zona e preferiscono sfruttare la loro fisicità per il recupero del possesso: quella laziale è la quarta squadra per numero di tackle riusciti, solo la decima per numero di intercetti.

 

Un dato, per dare un’idea della partecipazione collettiva alla fase difensiva della Lazio: tra i migliori del campionato per numero di contrasti, Biglia precede di poco Felipe Anderson.

 

 

La Lazio può permettersi di assumere registri difensivi differenti anche perché ha difensori in rosa con qualità specifiche: De Vrij e Hoedt sanno giocare palla e tenere la linea alta all’occorrenza; Wallace è aggressivo negli anticipi; Bastos è forte e veloce nei primi passi.

 

 



 

In definitiva, Inzaghi ha migliorato l’impianto di Pioli, mostrando attenzione ai dettagli e dando fiducia e una certa libertà d’azione ai suoi uomini più tecnici. Il futuro di Inzaghi alla Lazio passerà dal mercato estivo, quello della Lazio degli ultimi anni è stato sempre interessante da seguire. Sul tavolo c’è anche il rinnovo di Keita, con le ricche sirene della Premier League all’orizzonte.

 

Per poter mantenere o addirittura migliorare il quarto posto nella prossima stagione, Inzaghi dovrebbe mettere mano ad una sorta di complesso di inferiorità che la sua Lazio ha mostrato nei confronti delle squadre che la precedono: nelle 6 partite con Juventus, Roma e Napoli, la Lazio ha raccolto appena 4 punti, una media quindi di 0,67 punti a partita. Nel contempo, contro le altre 16 squadre del campionato, la Lazio viaggia con una media da Champions League di 2,28 punti.

 

Nelle partite importanti la Lazio ha coperto le sue carte fino a sembrare del tutto rinunciataria. Un salto di qualità è necessario nella mentalità di una squadra che in questo campionato ha mostrato un buon calcio e delle ottime individualità. E i meriti sono in gran parte da ascrivere al suo giovane allenatore.

 

 

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