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Voci dal "classico"
19 nov 2015
19 nov 2015
Abbiamo chiesto a 4 ex giocatori, due per parte, cosa significa giocare un Real Madrid-Barcellona.
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Il clásico che si giocherà il prossimo sabato sarà il confronto ufficiale numero 231 tra Real Madrid e Barcellona: la riproposizione dell’atavica rivalità tra due club che quasi sempre hanno dominato la scena nel loro paese, arrivando a creare una dicotomia unica nel grande calcio europeo. Per ora il Barcellona sembra più in forma e il Real Madrid sembra necessitare ancora di tempo per applicare alla pratica i complessi dogmi di Rafa Benítez, ma un clásico è una partita a sé.

Per capire meglio questa rivalità ho deciso di contattare direttamente quattro ex calciatori di Real Madrid e Barcellona, tutti spagnoli, che hanno vissuto più volte l’emozione di questa partita negli anni ‘80 e ‘90: Martín Vázquez e "Paco" Buyo da una parte (quella bianca), Víctor Muñoz e "Lobo" Carrasco dall'altra (blaugrana).

Un sorridente Martín Vázquez

Martín Vázquez ha vestito anche la maglia granata del Torino, ma con la camiseta blanca ha accumulato oltre 250 partite. È stato motore del Real Madrid dal 1983 al 1990 e dal 1992 al 1995, nonché membro della prestigiosa “Quinta del Buitre” che fece la storia del Real Madrid e della Spagna.

Madrileno e cresciuto nel Castilla, hai cominciato presto a sentire la pressione del clásico?

Sono stato fortunato a vivere questa rivalità così importante fin da giovane, per questo una volta sceso in campo con la prima squadra non sentivo tantissima pressione. Mi sono calato nella rivalità in modo sano da subito, e ho iniziato ad abituarmi a questo tipo di partite. È una delle più importanti dell’anno, va oltre i tre punti, è l’incontro che qualunque calciatore vorrebbe giocare.

Come ti preparavi per un clásico?

Fisicamente, non in un modo in particolare. In realtà neanche a livello mentale, perché un Real - Barça crea motivazione automaticamente. Per me era più arduo prepararmi per gli scontri con squadre inferiori, è in quelle occasioni che si vince il campionato, anche se sicuramente vincere il clásico dà molta fiducia nei propri mezzi e crea notevoli ripercussioni.

Laudrup, ovvero uno dei uno giocatori preferiti praticamente di tutti.

Che differenza noti tra un clásico della tua epoca e uno attuale?

Sicuramente ai miei tempi giocavano più calciatori spagnoli e non tanti stranieri come adesso. C'è meno identificazione territoriale, anche se persino uno straniero, una volta arrivato, viene indottrinato sull’importanza dell’incontro.

Ai tuoi tempi non c’erano un Messi e un Cristiano Ronaldo.

Non c’erano due elementi che spiccavano così tanto sugli altri, erano i collettivi a essere forti. Tuttavia credo che nel calcio nessuno sia insostituibile, neanche oggi.

Il tuo rivale blaugrana preferito?

Senza dubbio Michael Laudrup, un calciatore dalla tecnica squisita con il quale ho anche avuto la fortuna di giocare.

Vedi qualche similitudine con il derby della Mole?

Anche quello era un incontro importante, carico di tensione e bellissimo da vivere. Ma lo vedo più simile a un Real - Atlético Madrid, che coinvolge solamente una città. Un Real - Barça mette in ansia tutta la Spagna e adesso anche il mondo.

Francisco Carrasco e la sua somiglianza col Pocho Lavezzi

Francisco Carrasco, per tutti "Lobo", in attività era un'ala dalla grande velocità e ha avuto il privilegio non solo di giocare molte partite contro il Real, ma anche di conoscere in campo e fuori Diego Armando Maradona, che proprio al Bernabéu lo fece ridere per la prima volta in campo.

In che senso “ridere”?

Come calciatore scendevo sempre in campo per essere il migliore. Fino a quando non vidi Maradona. Il 26 giugno 1983, al Bernabéu, lo lanciai verso la porta del Real e, dopo aver scartato il portiere, evitò anche il povero difensore San José sulla linea di porta, prima di fare gol. San José sbattè contro il palo e per la prima volta il Bernabéu applaudì un calciatore del Barcellona. E lì iniziai a ridere…

Che cos’era per te un clásico?

Era una finale, una partita che andava oltre i tre punti (allora due), uno scontro nel quale ti giocavi la faccia e soprattutto miglior vetrina per qualsiasi giocatore, anche se all’epoca non era trasmesso in tutto il mondo come adesso. Una partita mitica, come lo possono essere solamente un Milan - Inter o un Boca - River.

Hai qualche ricordo particolare?

Ricordo che spesso mi marcava Camacho, col quale avevo un ottimo rapporto in Nazionale, ma durante quegli scontri eravamo concentratissimi a fare il meglio per la squadra. L’episodio che ricordo spesso è l’unico rigore che ho provocato in carriera, che fu proprio in un Real - Barça: avevo sfiorato la palla col braccio e l’unico a vederlo fu Juanito, che pressò tanto l’arbitro che alla fine diede il rigore al Real. Un rigore che poi trasformò lo stesso Juanito e che fu decisivo, dato che perdemmo 2 a 1. Quando lo incontrai in Nazionale non gli diedi due pugni per puro miracolo…

Juanito: “madridismo en estado puro”.

Chi arriva meglio alla partita di sabato?

Il Barcellona, che è riuscito ad attraversare il "deserto" dell’assenza di Messi, soprattutto grazie a Neymar, che ormai è maturo. In generale hanno compensato l’assenza dell’argentino con un bel gioco di squadra. Il Real invece arriva stanco e danneggiato dalla sconfitta di Siviglia e dalla pessima prestazione contro il PSG in casa. I blancos sono molto affaticati e l’ho notato soprattutto in Modric a Siviglia.

È già una partita decisiva?

Assolutamente no. Ai miei tempi il Barcellona batteva il Real Madrid negli scontri diretti, ma poi erano i madrileni a portare a casa il trofeo di campioni di Liga...

Francisco Buyo con un'espressione che potrebbe essere l'inizio di un sorriso o l'esatto contrario.

Francisco Buyo, per tutti "Paco", ha giocato 343 incontri difendendo la porta del Real Madrid, non pochi. Ha fatto parte dei merengues dal 1986 al 1997, i suoi primi anni al Real sono stati di dominio, fino a quando non arrivò sulla panchina blaugrana Johan Cruijff.

Si può dire che storicamente alla "Quinta del Buitre" è succeduto il "Dream Team"?

È vero che ci fu una sorta di passaggio di consegne tra le due squadre, anche se in linea generale non cambiò troppo la tendenza dei vincitori del clásico, che è una partita a sé. Si trattava, già all’epoca, di uno scontro speciale che generava molte aspettative e molta tensione: una partita che tutti volevano giocare, e ovviamente vincere.

Ti preparavi in modo speciale?

Non particolarmente. Credo che per affrontare una partita del genere le motivazioni valgono più di ogni altra cosa. Le emozioni sono talmente forti che gli stimoli a fare bene diventano automatici.

Quello di oggi è un clásico più internazionale?

Certamente. Anzitutto perché ai miei tempi la maggior parte dei componenti delle due squadre erano spagnoli, ma anche perché oggi le televisioni di tutto il mondo trasmettono l’evento, amplificando il bacino di utenza e aumentando le aspettative. L’anima dello scontro, però, è sempre la stessa, vista la grande rivalità.

Ricordi un avversario più fastidioso degli altri?

Attaccanti a parte, credo che Koeman fosse uno dei più complicati, per il tiro potentissimo, mentre ricordo gli inserimenti di Bakero e le scorribande di "Lobo" Carrasco. Ma in realtà i miei rivali erano tutti di altissimo livello.

Un inserimento di Bakero. In effetti...

E se parliamo dei compagni di squadra più forti?

Sarebbe ingeneroso nominarne uno o due, perché il Real aveva uomini forti in tutti i reparti, ma ovviamente ricordo la grande capacità di esecuzione sotto porta di Hugo Sánchez e i perfetti cross di Míchel. Tuttavia all’epoca non c’era un Messi o un Cristiano Ronaldo che si elevassero tanto al di sopra degli altri. Era più una situazione di squadra contro squadra.

Per sabato il Barcellona sembra arrivare meglio.

Tuttavia credo che il Real Madrid sia favorito. Non solo perché gioca in casa, ma perché è una squadra compatta, nonostante l’assenza di Benzema e la sconfitta di Siviglia. Credo, inoltre, che il Barcellona abbia molte lacune in questo momento.

Víctor Muñoz e un ragazzino che all'epoca era solo un raccattapalle. L'avete riconosciuto?

Nativo di Saragozza, a metà strada tra Barcellona e Madrid, Víctor Muñoz vestì la maglia blaugrana per sette stagioni durante gli anni ‘80, 224 in presenze in totale, prima di trasferisi a Genova, alla Sampdoria, nel 1988.

Che effetti ha il clásico sull'andamento delle squadre durante la stagione?

Nella maggior parte dei casi si tratta di una conferma di quanto si sta facendo bene durante la stagione; in altri, soprattutto durante un anno poco fortunato, una vittoria in un clásico può in qualche modo salvare la faccia. Un po’ come accade in Italia per Roma – Lazio o Samp – Genoa, che io ho avuto la fortuna di vivere, anche se all’epoca la Samp era nettamente superiore, non come adesso.

La componente psicologica, quindi, è molto importante?

Prima, durante e dopo l’incontro. Ognuno di noi si preparava a modo suo, a seconda delle esigenze e della forza psicologica in suo possesso. Si tratta di una sfida il cui risultato viene ricordato per mesi, fino all’arrivo della prossima, sia essa al Bernabéu o al Camp Nou. È una guerra di nervi.

La grande rivalità degli ultimi anni ha avuto conseguenze anche sulla Nazionale spagnola. Ai tuoi tempi era lo stesso?

In questo la trascendenza di un Real – Barça non è cambiata affatto. Ma i giocatori sono dei professionisti e una volta che vestono la maglia della Nazionale si rispettano totalmente e sono uniti per raggiungere un obiettivo comune. Quel che è vero è che negli anni ‘80 era il Real ad avere la supremazia alla fine della stagione, mentre adesso è il Barça il padrone della Liga, come dimostrano i recenti risultati.

Stielike, soprannominato anche “The Stopper”. Con l'articolo.

Qual è stato l’avversario più ostico?

Butragueño è stato tra i più insidiosi, soprattutto per i tanti gol che ha messo a segno in questa sfida. Ma se devo scegliere qualcuno che occupava la mia posizione dico Stielike, un giocatore con il quale spesso avemmo scintille provocate dalla rivalità e dall’occupare la stessa zona di campo. Era un centrocampista forte, completo.

E il miglior compagno?

Questa è facile, Maradona. Il mio debutto col il Barça coincise con un’amichevole contro l’Argentina nella quale dovetti marcarlo a uomo per tutta la partita. Poi per fortuna divenimmo compagni di squadra e anche se è rimasto solo poco tempo a Barcellona credo sia stato il miglior calciatore che ho visto da vicino durante quegli anni. Dopo di lui non dimenticherò mai Mancini e Vialli alla Samp, ma questa è un’altra storia...

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