Quando Vlahovic esce dal campo viene ricoperto dagli applausi dei tifosi della Juventus. Ha appena segnato due gol alla Lazio e ci sembra assurdo ripensare a quel momento, appena un paio di mesi fa, quando sembrava molto vicino a una cessione.
Vlahovic è stato il migliore in campo nella vittoria per 3-1 contro la Lazio, ma soprattutto ha incarnato alla perfezione lo spirito di una Juventus cinica e pratica fino al minimalismo. Ha segnato due gol favolosi per coefficiente estetico e di difficoltà; due gol che con un po’ di pigrizia potremmo definire da “centravanti vero”, come diciamo quando vogliamo parlare di questi gesti tecnici che sintetizzano il rapporto privilegiato tra un essere umano e il gol.
Due mesi fa gli applausi per Vlahovic avevano un significato diverso. Erano di incoraggiamento più che di celebrazione. Si giocavano le amichevoli estive e c’erano voci insistenti che volevano Vlahovic al Chelsea e Lukaku alla Juventus. I tifosi applaudivano il serbo soprattutto per rifiutare l’idea di quello scambio, soprattutto per quello che rappresentava: una bandiera e un’icona dell’Inter in bianconero. E poi l’idea di cedere un giocatore giovane, che sembrava il futuro del club, in cambio di un trentenne in condizioni fisiche incerte.
Guardando all’immediato, però, lo scambio non sembrava così astruso. Almeno considerando solo i fattori tecnici. Lukaku è un centravanti dall’efficacia comprovata in Serie A, e veniva da un periodo in crescita, mentre Vlahovic arrivava dalla peggiore stagione della sua vita. Anche chi continuava a sostenerne il talento riconosceva una cosa: se Allegri non riusciva a usarlo, allora forse tanto valeva farci cassa.
In quei giorni però si discuteva molto dei limiti di Vlahovic, incespicando nel classico dilemma dell’uovo e la gallina: era davvero Allegri a non saperlo sfruttare, oppure Vlahovic era effettivamente meno talentuoso di quanto pensassimo?
Vlahovic ha sofferto l’aridità del gioco offensivo della Juventus, ma al contempo sembrava poter essere uno di quei giocatori in grado di brillare indipendentemente dal contesto circostante. Era stato pagato più di 80 milioni per questo: per funzionare senza il bisogno di niente e nessuno, una macchina autonoma. Non esserci riuscito è sembrata una condanna alla normalità.
Appena un anno fa Vlahovic era quasi inserito negli stessi discorsi di Mbappé e Haaland, cioè di quei centravanti nati per sbriciolare i record. Prima di sfidarlo in Champions, Mbappé aveva detto: «Ha grande qualità, si è confermato uno dei migliori della sua generazione. Può fare di più anche se ha dato già molto. Il futuro lo dirà, anche se non rischio se dico che diventerà un attaccante importante».
Quante cose possono cambiare in un solo anno, come sono volubili i nostri giudizi sui giocatori. Fra le cose che venivano contestate a Vlahovic era la capacità di usare il piede debole. E oggi ci ritroviamo a commentare due incredibili gol di destro. Non due gol semplici, segnati col minimo sforzo, ma due gol eccezionali, che quasi tutti gli attaccanti non riescono a realizzare nemmeno col piede forte.
Nel primo gol Vlahovic non sembra pronto a gestire il cross di Locatelli. È una palla geniale, e quindi improvvisa. Vlahovic sembra stia correndo in avanti per inerzia, che non stia davvero chiamando quel cross. In realtà guardando meglio ci si accorge che Vlahovic si stacca lievemente dal difensore per cogliere il pallone in anticipo. Gli arriva sulla corsa, gli rimbalza davanti e un difensore di fronte gli chiude l’angolo di tiro. Il gesto tecnico di Vlahovic sembra semplice ma non lo è affatto. Ci parla della sua tecnica di tiro, del suo senso del tempo. Ma anche di quanto i giocatori possono migliorare, in fondo - e di converso di quanto i nostri giudizi sono spesso frettolosi, e dovremmo concederci lo spazio per cambiare idea. Vlahovic aveva segnato 7 gol di destro in carriera, e sabato ne ha segnati 2 alla Lazio, quasi il 30%.
Il secondo gol è ancora più notevole. Un gol dominante, che riduce davvero una partita a una sequenza di incredibili gesti individuali. McKennie lancia verso di lui, ma è un lancio parabolico che sorvola altissimo i cieli, difficilissimo da controllare. Vlahovic corre con gli occhi all’insù, aumenta o diminuisce la sua corsa. Marusic arriva a mettergli pressione da dietro, e lui riesce a controllarla col petto pure sbilanciato. Casale forse è poco reattivo a capire cosa sta succedendo, e Marusic troppo leggero nel contrasto. Ma Vlahovic fa una cosa difficilissima, cambiando traiettoria di corsa, spostandosi la palla sul destro, e poi tirando di collo pieno sul secondo palo. La colpisce con un leggero interno piede, con una grande tecnica. Un gol che dà l’idea di un giocatore onnipotente, che non ha bisogno di nulla; a cui basta lanciare una monetizza da un euro dentro un lago vulcanico e lui andrà a riprenderla.
Ma per il resto, oltre questi due grandi gol, come è stata la partita di Vlahovic?
La Juventus ha avuto il 35% di possesso palla, difendendosi spesso con un baricentro basso. Vlahovic era il giocatore più avanzato, ma in una struttura del genere significava lasciare i difensori liberi di giocare e marcare a uomo il mediano avversario - che nelle squadre di Sarri è sempre vitale nello sviluppo del gioco. Vlahovic si è speso in un lavoro difensivo encomiabile per tutte le fasi più difficili della partita. Anche quella in cui la Juventus stava cedendo al suo difetto più ricorrente, quando la reattività sfocia nella passività e gli avversari segnano reti semplicissime. Quando raramente la Juventus si rialzava era Miretti ad alzarsi su Rovella (che ha preso il posto di Cataldi nel secondo tempo). Il più delle volte, però, era Vlahovic a occuparsi di lui, con una corsa incessante per coprirlo. A volte era l’altro attaccante, Chiesa, a recuperare su di lui per non concedergli passaggi semplici.
Mentre la squadra era bassa non è riuscito più di tanto a tenere il pallone e a permettere alla Juve di risalire. Ha chiuso la partita con la miseria di 12 passaggi totali e 8 completati. Spalle alla porta il suo difetto nell’uso del piede debole, e un controllo talvolta legnoso, tornano a galla. Sono situazioni in cui nell’ultima parte della sua esperienza a Firenze sembrava migliorato - ma era meno isolato, meno lontano dalla porta.
Una situazione in cui ha uno scarico facile e una potenziale situazione allettante. Invece è impreciso e frettoloso.
La Juventus in queste prime partite ha dato segnali discordanti ed è difficile, oggi, essere troppo ottimisti o troppo pessimisti. La Lazio le ha dato una partita in cui è stata a proprio agio, giocata per lo più senza palla e nella propria metà campo, ma tolto il quarto d’ora iniziale del secondo tempo è sembrata anche più pronta a gestire una partita simile (il tutto andrebbe pesato con un’inedita fragilità della Lazio, e una qualità offensiva per ora diminuita). Pur passando buona parte del secondo tempo nella propria metà campo, l’aggressività dei primi venticinque minuti e qualche folata successiva sono stati sufficienti per creare diverse occasioni. La vittoria è stata meritata.
A livello mentale, nervoso, la Juve sembra più fresca rispetto allo scorso anno, e lo stesso si può dire di Vlahovic. Per molte cose la sua situazione è identica a quella dello scorso anno: tocca pochi palloni, è spesso isolato e lontanissimo dalla porta; le sue qualità di raccordo e protezione della palla sembrano quelle di sempre.
Vlahovic però sembra aver fatto quel salto che gli chiedevamo. In queste prime partite somiglia di più all’idea che si aveva di lui quando fu comprato dalla Juventus per più di 80 milioni, quella di un attaccanti iper-cinico, dalla qualità eccelsa in finalizzazione, e capace di mettere a ferro e fuoco gli ultimi trenta metri di campo. Un centravanti che si sbatte incessantemente in fase difensiva, che tocca pochi palloni, ma che per miracolo riesce a mantenere la concentrazione e l’intensità mentale di compiere gesti tecnici notevoli quando è chiamato a farlo.
Finora ha segnato 4 gol da 13 tiri. Ogni 3 tiri è gol, più o meno. È oggi il secondo attaccante più in overperformance del campionato, appena dietro Lautaro Martinez. Il quarto in questa classifica è Federico Chiesa. La Juventus finora non gli sta offrendo occasioni un granché migliori rispetto allo scorso anno, solo che lui ha deciso di rispondere alle critiche sfruttando ogni mezzo pallone che gli capita tra i piedi.
Fa sorridere che su Twitter negli scorsi giorni sia circolato un video di Vlahovic che segnava a fatica un gol con la Serbia a porta vuota - per quella nuova moda di inchiodare il valore di un giocatore a un singolo gesto tecnico diffuso sui social con straordinaria disonestà intellettuale - la sineddoche di qualcosa di definitivo. Vlahovic ha sempre superato i gol attesi, e quest'anno ci sta riuscendo ancora meglio. Il gol di testa contro il Bologna è un altro esempio di situazione che pochi centravanti in Serie A avrebbero segnato, con un colpo di testa a incrociare quasi da fermo.
Insomma, per la Juventus le cose sembrano migliorate: bastava che Vlahovic cominciasse a segnare gol impossibili.