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Gian Marco Porcellini
L'incredibile e impronosticabile vittoria dell'Italvolley
20 set 2021
20 set 2021
Con una squadra giovane e un CT nuovo, gli Azzurri hanno vinto contro ogni aspettativa.
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Gian Marco Porcellini
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Non era mai successo che l'Italia vincesse contemporaneamente l'Europeo di pallavolo sia con la Nazionale maschile che con quella femminile. Questo dato statistico ci dice molto dell'eccezionalità di queste due vittorie, ma se l’oro della Nazionale femminile agli Europei di pallavolo sembrava possibile prima dell'inizio del torneo, considerato che parliamo pur sempre di una delle principali favorite assieme a Serbia e Turchia, quello della Nazionale maschile era assolutamente impronosticabile. Dopo un’Olimpiade deludente, terminata ai quarti contro l’Argentina, avevano dato l’addio alcuni tra i principali pilastri della storia recente dell’Italvolley come Juantorena e Colaci, mentre Zaytsev si era fermato per operarsi al ginocchio destro. Mancavano molti dei giocatori migliori, insomma, e se ciò non bastasse dopo Tokyo 2020 era cambiato pure l’allenatore: fuori Gianlorenzo Blengini dopo 6 anni, dentro Fefè De Giorgi. Quest'ultimo aveva pochissima preparazione alle spalle con questa squadra: aveva organizzato un collegiale in luglio, ma con i giocatori che non sarebbero partiti per il Giappone (tra quelli presenti agli Europei, c’erano solo Pinali, Romanò, Bottolo, Recine e Piccinelli). Il raduno per gli Europei è iniziato il 17 agosto, e il 3 settembre la Nazionale era già in campo per la prima partita del girone, un comodo 3-0 alla Bielorussia.


 

De Giorgi ha deciso di ripartire da una squadra fortemente rinnovata e ringiovanita (l’età media della spedizione è di appena 23,7 anni), che partiva senza particolari ambizioni. Alla vigilia del torneo il capitano Simone Giannelli aveva parlato di «costruire qualcosa» come obiettivo, «scoprirci giorno dopo giorno» e «migliorarci». Lo stesso De Giorgi si era espresso in termini simili («siamo venuti qui con grande desiderio di confrontarci (...) sarà un’esperienza importante e stimolante»), lasciando intendere come questo Europeo rappresentasse la prima tappa di un percorso di crescita di un gruppo nuovo.


 

Invece, in questa estate magica per lo sport italiano, la Nazionale ha posto l’asticella ancora più in alto, confezionando un’impresa senza senso e vincendo un titolo che mancava dal 2005, quando l’Italia a Roma aveva battuto la Russia. Oggi come allora un successo al tie break, al termine di una partita che nel quarto set sembrava indirizzata verso la Slovenia, una selezione zeppa di giocatori che sono passati o militano tuttora nel nostro campionato (alcuni dei quali hanno lasciato un segno pure in club di prima fascia, come gli schiacciatori Cebulj e Urnaut), allenata tra l'altro dall’italiano Alberto Giuliani.


 

Romanò game changer


A inizio quarto set la Slovenia conduce la finale 2-1 ed è avanti 6-3 nel parziale. La formazione di Giuliani, già argento nel 2015 e nel 2019, avrebbe la palla del 7-3 che probabilmente darebbe la spallata decisiva all’Italia, ma il cambio palla viene risolto a fatica da Romanò. Yuri Romanò è un opposto del 1997, che in carriera ha giocato al massimo in A2 – solo dalla prossima stagione sarà in Superlega, a Milano – ed è appena entrato al posto di un Pinali reduce da un mesto 1/12 in attacco tra terzo e quarto set. Anche nella partita del girone tra le due Nazionali, vinta dall’Italia con un 3-0 in realtà più sofferto di quanto non indichi il punteggio, era subentrato, fornendo un contributo decisivo (8/16 in attacco) in un match dove comunque gli azzurri erano avanti.


 

Qui però la situazione è nettamente più spinosa, visto che Giannelli nel set precedente aveva potuto usufruire di un misero 19% di ricezione perfetta, con poche possibilità di innescare i centrali (solo 2 palloni a testa per Galassi e Anzani, tutti e 4 quattro messi a terra) e ancora meno riferimenti in attacco: Pinali dopo due parziali si è bloccato, Michieletto ha vissuto la prima partita davvero di sofferenza di un Europeo meraviglioso e in pratica il neo palleggiatore di Perugia può affidarsi solo a un monumentale Lavia (21 punti totali, 46% in attacco su 35 palloni e 45% di ricezione positiva), che però proprio in questo frangente incappa in un momento di flessione (0/6 a inizio terzo e due muri subiti).



Un assaggio della potenza della Slovenia al servizio e in contrattacco in questa finale.


 

Nel secondo set, con la Slovenia avanti 1-0, De Giorgi tra l’altro aveva chiamato un time out quasi per invitare la squadra a prendere coscienza della partita («Vi posso dire una cosa? Stiamo facendo la finale dell’europeo, siamo 10-11 e avete delle facce come a dire "Cazzo, stiamo facendo fatica"») e accettare le difficoltà che invece questa Nazionale non aveva mai incontrato nel corso del girone eliminatorio, chiuso al primo posto a punteggio pieno (15 punti su 15 e due soli set concessi) né nella fase a eliminazione diretta contro Estonia (3-0) agli ottavi, Germania (3-0) ai quarti e Serbia (3-1) in semifinale. Forse l’Italia si aspettava un avversario più morbido, che nella prima fase del torneo aveva superato grazie a un’ottima prova a muro, in grado di ridimensionare gli attaccanti di palla alta titolari, tutti sotto al 40%. A maggior ragione dopo il giant killing in semifinale contro i campioni d’Europa in carica.


 

Fatto sta che Romanò, inizialmente ignorato dal muro, ribalta una finale in cui la Slovenia pareva più preposta ad allungare gli scambi, leggere le direzioni d’attacco avversarie e più solida sul cambio palla, in cui i centrali sono diventati presto una sentenza (7/10 per Kozamernik in attacco, 11/17 per Pajenk). Giannelli non si è fatto problemi a cercare sempre di più il suo opposto, anche perché mette giù qualsiasi pallone (6/7 in attacco e un ace nel quarto) e lo score di Romanò, unito alla striscia di 3 ace consecutivi di Lavia (da 13-13 a 17-13), hanno permesso agli azzurri di andare al tie break. Dove l’opposto mancino si è ripetuto annullando subito il 3-0 iniziale degli sloveni, stavolta con il suo turno al servizio (un ace e una parallela da seconda linea per il 3-3).


 

Poi è stata la volta di un Michieletto reduce da un 6/17 tra il secondo e terzo set - nel primo addirittura era uscito per far posto a Recine sul giro dietro in ricezione – di superare le difficoltà incontrate in questa serata e inclinare il quinto set verso la propria metà campo, con 5 punti praticamente consecutivi e due ace (11-7).


 



Dopo la seconda battuta vincente Michieletto stringe le spalle, è quasi scocciato. In quel frangente di onnipotenza sembra dirsi: ma perché non potevo iniziare a giocare così prima?


 

Quella di Michieletto è una progressione esponenziale che non sta conoscendo limiti: nel 2016 il figlio di Riccardo, schiacciatore della storica Maxicono Parma, faceva il libero, ma negli anni successivi il classe 2001 è cresciuto di una ventina di centimetri ed è passato schiacciatore. La scorsa stagione doveva essere la terza banda di Trento, ma l’infortunio di Kooy gli ha dato un’opportunità che si è preso di forza, dimostrando subito la versatilità del suo talento, efficace nei fondamentali di prima come di seconda linea. In Superlega però si è imposto soprattutto per la propria tenuta in ricezione, dimostrandosi alle volte timoroso nel lasciare andare il braccio con la palla a filo nonostante i suoi 205 centimetri.


 

All’Europeo invece è stato schierato da primo schiacciatore, dimostrando quanto sia decisivo un opposto: 52,2% su 184 palloni, primo per ace/set nella competizione, 0,67, con 21 ace a fronte di soli 27 errori, quasi un rapporto 1:1. La sua efficacia offensiva è cresciuta di quasi 10 punti rispetto al club (a Trento non è andato oltre il 43,6% su 243 palloni) e, se da un lato è una statistica difficile da contestualizzare (il palleggiatore è lo stesso, ma compagni, avversari e format sono cambiati tutti), non può non dirci qualcosa sulla crescita di questo ragazzo senza apparenti punti deboli, visto il suo rendimento pure a muro e in ricezione. In attacco poi ha mostrato delle variazioni di colpi degne di un veterano: Michieletto sa colpire in diagonale come in parallela (per un giocatore mancino che attacca in 4 la palla lungolinea teoricamente è la più complessa da eseguire), passando sopra il muro di potenza o con un pallonetto a due mani che abbiamo imparato ad apprezzare anche alle Olimpiadi. Giannelli si è appoggiato soprattutto a lui su quei palloni lenti o con il muro piazzato, tanto li metteva giù lo stesso.



Questo pallonetto in semifinale con la Serbia è quasi un colpo da beacher.


 

Michieletto non ha ancora 20 anni e si appresta a imporsi come un talento generazionale. Verosimilmente nelle prossime manifestazioni continuerà a giocare in diagonale con Lavia. Lo schiacciatore calabrese, prossimo compagno di squadra di Michieletto pure a Trento, è sicuramente meno appariscente, ma risulta un giocatore altrettanto tecnico e completo. Un profilo a tutto tondo, che ama giocare una palla veloce, capace però di esaltarsi anche quando gli arriva da dietro. Il suo Europeo è per certi versi ancora più incredibile di quello di Michieletto, perché veniva da una stagione promettente a Ravenna e da un’ultima più altalenante a Modena, dove non era andato oltre il 43,7% in attacco. In quest’Europeo è salito al 48% netto, trasformandosi nella stella polare per lunghi tratti della finale, specie quando è saltata la ricezione.


 

Una squadra omogenea


Il telecronista di DAZN, Fabrizio Monari, durante la semifinale con la Serbia ha detto una cosa semplice ma significativa: «L’Italia ti fa giocare male». Effettivamente quella di De Giorgi è la classica squadra fastidiosa capace di metterti pressione con il muro difesa, tirare su qualsiasi cosa, chiuderti le direzioni d’attacco e costringerti a forzare gli attacchi per chiudere le azioni. Nei 6 anni di Blengini solo alle Olimpiadi di Rio si era vista un’Italia così coesa sulla fase punto, il che diventa ancora più incredibile se si ripensa agli ultimi anni in cui l’Italia si è sciolta puntualmente alle prime difficoltà, come ai Mondiali del 2018 nella terza fase e nei quarti degli Europei del 2017 e del 2019 nonostante le sue punte di talento (i già citati Zaytsev e Juantorena), restituendo un’idea di impotenza quasi inspiegabile.


 

Il commento di Monari non ha un’accezione negativa, al contrario sintetizza la volitività e l’organizzazione di questa squadra, capace malgrado si conosca da appena un mese di spolpare anche la Serbia in semifinale (3-1), la vera grande impresa di questo Europeo, con una costanza e un’intensità inedita sul cambio palla e soprattutto nella fase punto. In semifinale gli uomini di De Giorgi hanno sì commesso più errori, 32 contro i 28 dei serbi, ma la formazione di Kovac tra muri subiti e attacchi sbagliati ha toccato quota 22, 10 in più dell’Italia, che ha murato più del doppio (15 a 8). Una squadra, quella serba, abituata a esaltarsi nella bagarre, ribattere colpo su colpo grazie a una qualità sterminata del suo roster, che pure ha lottato punto a punto per 3 set. Ma l’impressione è che abbia pagato lo sforzo per portare a casa il terzo parziale e che nel quarto dopo l’iniziale 0-5 non sia più riuscita a recuperare la necessaria lucidità.


 

L’Italia è stata efficace e continua in questo Europeo perché è una formazione equilibrata, che ha funzionato in tutti i fondamentali, innestando un circolo virtuoso. La fase break è stata avviata da un servizio potenzialmente letale in ogni rotazione, nonché il migliore dell’Europeo nel rapporto ace/errori, -8%,  che comprende giocatori dal braccio pesante, come Michieletto, Galassi e Pinali, oltre a tre battitori quali Giannelli, Lavia e Anzani, che hanno giocato più sulle palle tattiche con obiettivi precisi. Anzani in particolare ha puntato sulle variazioni di battuta, prendendo la rincorsa della float salvo poi battere in salto spin allo scopo di mettere in difficoltà i ricettori negli spostamenti.


 



Un esempio è il penultimo servizio di Anzani in questo tweet.


 

Una buona battuta si trasforma nel miglior viatico per un muro difesa efficiente, per distacco il più prolifico della rassegna continentale: l’Italia ha viaggiato sui 3,41 muri/set, quasi mezzo punto in più della Polonia seconda (2,97). Merito della rapidità nelle traslocazioni da parte dei centrali Anzani e Galassi in 2 e in 4, ma anche dei laterali di offrire delle buone spaziature e dei buoni piani di rimbalzo, visto che questa è una squadra che ha colpito in questo fondamentale con un po’ tutti i suoi uomini. Un muro che sa chiudere direttamente ma anche sporcare gli attacchi con dei tocchi di contenimento, convertiti poi in contrattacco dal lavoro di una seconda linea guidata da un ottimo Balaso. Malgrado una finale sofferta, almeno nel terzo set, in cui era uscito provvisoriamente per Piccinelli, il libero della Lube si è dimostrato una garanzia sia in difesa come in ricezione (tra l’altro con la Slovenia ha chiuso con il 32% di rice++ e il 45% di rice+).


 

Sul cambio palla invece Giannelli, al di là della sua consueta creatività, ha mostrato una certa varietà nella distribuzione: in questi Europei si è appoggiato principalmente agli schiacciatori, che hanno attaccato il 49,8% dei palloni totali, specialmente quelli su rice - e --, ma ha servito comunque il 21,4% palloni ai centrali, una percentuale alta che testimonia l’intesa con Anzani e soprattutto Galassi, un posto 3 dalla rincorsa e il braccio pesante, in possesso di tutte le direzioni d’attacco. L’opposto Pinali invece ha schiacciato solo il 28,7% dei palloni, un po’ perché nelle prime giornate non è riuscito a trovare una palla ideale con l’ex alzatore di Trento, un po’ perché in questo momento non è quell’oppostone che attacca qualsiasi cosa, ma un giocatore dal braccio potente che però ha bisogno di essere innescato con buona ricezione (meglio ancora se da prima linea). In una spedizione trionfale è stato il meno positivo (39,3% in attacco), anche se non va dimenticato il suo contributo decisivo al servizio (17 ace e appena 26 errori).


 


Qui ad esempio Pinali consegna il secondo set all’Italia della semifinale ribaltando Majstorovic.


 

Nonostante una finale in cui l’Italia è scesa nei 3 set centrali sotto al 45% di positività offensiva, Giannelli è rimasto lucido nella gestione dei palloni anche con scelte apparentemente controintuitive. In certe azioni è sembrato meno preciso rispetto ai picchi di eccellenza toccate in questo campionato, ma ha avuto il merito di mantenere la barra dritta in un momento in cui gli azzurri stavano perdendo convinzione, affidandosi agli attaccanti più caldi senza però rendere prevedibile il gioco. Insomma, tutto, come per magia, è sembrato incastrarsi alla perfezione.


 

De Giorgi era arrivato un mese fa sulla panchina della Nazionale per avviare il ricambio generazionale e restituire entusiasmo a una squadra che ormai sembrava satura. L’Italia partiva semplicemente con l’idea di passare il primo turno e poi giocarsela, anche perché le favorite erano altre, come la Francia campione olimpica, la Russia finalista a Tokyo, la stessa Serbia campione in carica e la Polonia due volte campione del mondo. E invece gli azzurri sono riusciti a compiere un miracolo, mostrando un talento e un’organizzazione inimmaginabili per un sestetto dall’età media appena superiore ai 24 anni. Con la diagonale Michieletto-Lavia poi, 42 anni in due, questa nazionale potrebbe aver colmato il vuoto cronico degli schiacciatori negli ultimi 10 anni, tamponato solo dalla naturalizzazione di Juantorena e un’esperienza intermittente da parte di Lanza. Questo torneo doveva servire per riaccendere la speranza in vista del futuro, e invece lo terminiamo da migliori in Europa. Qualcosa che ci ha stupito oggi e che domani, inevitabilmente, alzerà le nostre aspettative su questa generazione, che sembra destinata a grandi cose.


 

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