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Dario Saltari
La migliore Inter dell'anno
05 gen 2023
05 gen 2023
La squadra di Inzaghi ha trasformato le assenze in ricchezza.
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Dario Saltari
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CHINE NOUVELLE/SIPA
(foto) CHINE NOUVELLE/SIPA
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Nelle ore precedenti al fischio di inizio di Inter-Napoli sono stati diversi gli opinionisti che hanno messo l’accento sull’importanza dell’assenza di Marcelo Brozovic in vista della partita. Per la squadra di Inzaghi era l’ultimo treno per rientrare all’interno della corsa scudetto e prenderlo senza il centrocampista croato, fermato da un infortunio muscolare, sembrava effettivamente un’impresa ardua contro una delle squadre migliori d’Europa della prima metà di stagione.

Delle assenze di Brozovic dalle parti della Pinetina si parla sempre con terrore (e con sollievo da tutte le altri parti) da quando la scorsa stagione sono state collegate direttamente al clamoroso scudetto perso in favore del Milan. Il regista croato mancò appena tre partite in tutta la stagione, eppure in quelle tre partite l’Inter non riuscì mai a vincere, perdendo contro il Sassuolo e pareggiando contro Torino e Fiorentina. Da quel momento la presenza di Brozovic è ricondotta in maniera quasi aritmetica alla qualità del gioco nerazzurro. Quest’anno, però, la squadra di Inzaghi sembra essersi fatta degli anticorpi: Brozovic era già mancato cinque volte prima di ieri, ma l’Inter di queste aveva perso solo una partita, seppur importante, contro la Roma. Di fronte al Napoli, e al centrocampo più competitivo della Serie A, l’ombra dell’assenza del centrocampista croato è però tornata ad allungarsi sulle paure dei tifosi nerazzurri: come avrebbe fatto l’Inter contro Lobotka, Anguissa e Zielinski?

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Quella di Brozovic in realtà non era l’unica assenza con cui Simone Inzaghi è stato costretto a scendere a patti. In difesa mancava de Vrij, fermato da un problema alla caviglia, mentre in attacco non era ancora nella condizione ideale Lautaro Martinez, dopo i bagordi per la vittoria del Mondiale da parte dell’Argentina. Al loro posto l’allenatore piacentino ha messo Acerbi al centro della difesa, con l’arduo compito di arginare Osimhen; Mkhitaryan da mezzala, spostando Calhanoglu nel ruolo solo nominale di regista; e infine Dzeko sul fronte d’attacco, se consideriamo Lukaku come il vero titolare nonostante gli infortuni che l’hanno costretto a saltare tutta la prima metà della stagione.

Forse cosciente dei propri limiti, e ansiosa di colmarli, l’Inter ha iniziato fortissimo la partita, alzando i ritmi e il pressing, magari nella speranza di inclinarla immediatamente dalla propria parte. La squadra di Inzaghi ci stava quasi riuscendo: al quarto minuto una palla protetta sulla fascia destra è stata trasformata da Lukaku in uno strano cross che ha attraversato tutta l’area del Napoli e che ha sorpreso Di Lorenzo, bruciato alle spalle da Dimarco che però non è riuscito a centrare la porta da pochi metri. Non è stata solo una disattenzione da parte del terzino di Spalletti, ma uno dei temi tattici che decideranno la partita. L’Inter che in fase di possesso teneva entrambi i suoi esterni altissimi e larghissimi per attaccare un’ampiezza mai davvero difesa dal Napoli, che invece stringeva i due terzini ai centrali e non veniva aiutato particolarmente dalle due ali in fase difensiva.

È una situazione che si è ripetuta per tutta la partita. Al 14esimo, su una palla recuperata da calcio d’angolo avversario e gestita dal basso, l’Inter tira fuori posizione Anguissa abbassando Calhanoglu sulla linea difensiva e libera alle sue spalle Barella, che a sua volta può servire in verticale Darmian. Se si ferma l’azione nel momento in cui riceve, si noterà non solo che Darmian è l’uomo più in alto dell’Inter nel momento in cui riceve palla dietro solo a Dzeko, ma anche che dall’altro lato Dimarco è quasi alla sua altezza e ha un corridoio enorme da sfruttare davanti a lui.

Per vincere la partita, però, all’Inter non bastava attaccare lo spazio lasciato libero dal Napoli ma anche farci arrivare la palla nel momento giusto, ed è qui che entra in gioco il centrocampo dell’Inter, la sua costruzione dal basso, e come queste due cose sono state plasmate dalle assenze contingenti, rendendole più imprevedibili e meno leggibili per la squadra di Spalletti.

Il Napoli, al contrario dell’Inter, ha tenuto per tutta la partita un baricentro molto alto anche senza palla, alzando la linea difensiva fino al centrocampo e adottando un mix di marcature a uomo e schermature delle linee difensive. Sulla costruzione nerazzurra Osimhen avrebbe dovuto schermare la linea tra Acerbi e Calhanoglu, mentre sugli altri due centrali (Bastoni e Skriniar) sarebbero dovute uscire aggressive le due mezzali, Anguissa da una parte e Zielinski dall’altra. L’Inter però era troppo fluida per riferimenti così rigidi. Innanzitutto in fase di costruzione Acerbi non era il vero libero della squadra di Inzaghi: il centrale italiano si alzava alle spalle della prima linea di pressione del Napoli, all’altezza di Calhanoglu, e il suo ruolo era di fatto ricoperto da Onana, abilissimo con i piedi soprattutto nella ricerca diretta delle due punte (che tra l'altro erano quasi indifendibili sulle palle alte e nella protezione della palla spalle alla porta). Lo stesso Calhanoglu, poi, faceva il regista solo nominalmente e i suoi movimenti continui, spesso ad abbassarsi in difesa, erano compensati perfettamente da Mkhitaryan alla sua sinistra e da Dzeko alle sue spalle, all'ennesima prestazione magistrale da regista offensivo.

L’importanza di questi ultimi due giocatori è emersa in tutta la sua chiarezza in occasione del gol. Da una rimessa laterale battuta da Darmin poco prima del centrocampo, Calhanoglu si è mosso in avanti per portare via Lobotka e ha liberato alle sue spalle Mkhitaryan, che con un finta di corpo ha eluso l’intervento in ritardo di Anguissa. Il centrocampista armeno ha poi aperto di prima per Dimarco, ancora una volta alto e largo a sinistra, e il resto come si dice è storia: l’accuratissimo cross in area per Dzeko, che finta di attaccare il primo palo per liberarsi alle spalle di Rrahmani e poi schiaccia il pallone in rete con la testa.

Le armi utilizzate dall’Inter per mandare in confusione il Napoli in realtà non sono nuove. De Vrij si alza spesso in fase di costruzione alle spalle della prima linea di pressione avversaria come ha fatto ieri Acerbi, e anche Brozovic, come Calhanoglu, si muove come un regista atipico, con un dinamismo senza palla che teoricamente non dovrebbe appartenere al ruolo. È vero però che ieri la differenza tra le due squadre l’ha fatta proprio la diversa libertà dei giocatori di Inzaghi e Spalletti nell’interpretare i propri compiti in campo: di fronte alla fluidità dell’Inter il Napoli è sembrata una macchina d’epoca, bella da vedere ma inutilizzabile nelle strade e nel traffico di oggi. E di fronte a questa considerazione è impossibile non notare che mentre l’Inter doveva, come detto, affrontare diverse assenze importanti, la rosa del Napoli era praticamente al completo. Quanto sono importanti i limiti nello stimolare la creatività degli allenatori in panchina e dei giocatori in campo?

Luciano Spalletti deve essersi posto questa domanda diverse volte. L’invenzione tattica per cui verrà ricordato, Francesco Totti falso nove, nacque proprio dall’assenza contingente di attaccanti da mettere al suo posto e a lui si deve anche l’invenzione di Brozovic regista, arrivata nella disperata ricerca di un giocatore in grado di gestire il possesso davanti alla difesa, assente nella rosa della sua Inter. È una pena del contrappasso particolarmente crudele, quindi, il fatto che i difetti del suo Napoli siano emersi come mai in questa stagione in una partita in cui praticamente non aveva assenze rilevanti.

Gli azzurri hanno sofferto gli avversari sia con il pallone che senza. Il Napoli ha perso sanguinosamente il pallone in uscita quasi tutte le volte che l’Inter ha alzato il pressing, proprio perché aveva riferimenti rigidi a cui fare riferimento e quindi più facili da marcare. Anche quando si abbassava nella propria metà campo per la squadra di Inzaghi era facile costringere gli avversari a uno sterile possesso perimetrale, schermando Lobotka con le due punte, facendo uscire le due mezzali in maniera aggressiva su Oliveira e Di Lorenzo, e alzando Skriniar e Bastoni nei mezzi spazi, per prendere alle spalle Zielinski e Anguissa.

Gli uomini di Spalletti si sono mossi troppo poco senza palla per disordinare questi schemi. L’unica variazione sullo spartito erano le sovrapposizioni interne dei due terzini nei mezzi spazi lasciati liberi da Kvarastkhelia e Politano, sempre molto larghi in ricezione, ma è stato davvero troppo poco per impensierire il blocco basso dell’Inter.

Il Napoli, senza alcuna idea su come penetrare centralmente, si è affidata totalmente alle iniziative di Kvarastkhelia, frizzante nonostante la durezza degli interventi che gli avversari gli hanno riservato. Da un suo dribbling in conduzione è nato il cross di Oliveira che ha portato Osimhen ha una conclusione smangiucchiata da dentro l’area piccola (che ha drogato oltremodo il dato sugli Expected Goals del Napoli in questa partita), e da un suo dribbling in conduzione è nato il violento tiro da dentro l’area con cui ha sfiorato l’incrocio dei pali al 61esimo. Per il resto il Napoli è stato di fatto sterile, se si esclude l’occasione di Raspadori all’ultimo minuto, nata dalla concitazione finale.

L’altro tallone d’Achille per Spalletti, e questa non è una novità, è stato il pressing. Certo, l’Inter è stata brava per i motivi che abbiamo già detto, ma anche il Napoli ci ha messo del suo, con marcature e movimenti sempre confusi. Qual era il piano per ostacolare la costruzione dal basso dell’Inter? Non sembrava chiarissimo per i giocatori del Napoli. Una delle occasioni migliori per la squadra di Inzaghi, il tiro alto di Darmian da dentro l’area, nasce ad esempio da una semplice conduzione centrale di Skriniar, che è stato lasciato libero di arrivare fino alla linea di centrocampo e servire Lukaku in profondità, mentre la difesa del Napoli provava coraggiosamente di rimanere alta anche a palla scoperta.

L’atteggiamento creativo di Skriniar di fronte alla rigidità passiva del Napoli è una sineddoche della differenza tra le due squadre, che ieri ha regalato i tre punti all’Inter. Vedendolo tagliare a metà le linee avversarie palla al piede come una nave rompighiaccio e poi servire Lukaku oltre la difesa del Napoli vengono in mente proprio le famose parole di Spalletti, secondo cui «gli spazi sono dove li creano gli altri e bisogna vederli e usare: lo spazio dietro la linea difensiva c’è sempre».

In una partita che avrebbe dovuto decretare la reale solidità della leadership del Napoli, e delle speranze delle sue avversarie, ha vinto la squadra con le spalle al muro, quella con più assenze e che più aveva da perdere da questa partita. “A volte i limiti ti suggeriscono una nuova libertà”, ha scritto una volta Ennio Morricone parlando della creazione del tema “L’uomo dell’armonica” per il film C’era una volta il West. “Il personaggio che suonava nel film aveva sulle spalle il fratello e non poteva usare le mani per muovere l’armonica, quindi produceva sempre le stesse note. Ne faceva due, una quando respirava, l’altra quando inspirava. Ma io non potevo lavorare su due note sole, perciò ne aggiunsi una terza. Qui nasce il tema dell’armonica, che poi resterà tra i simboli del film”.

Non so quanto al musicista romano avrebbe fatto piacere essere accostato all’Inter e a Simone Inzaghi, ma per qualche ragione mi sembrava la citazione migliore per incorniciare il modo in cui ieri hanno trasformato il limite in opportunità. Il resto del campionato ringrazia.

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