Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Vincere con giustizia
18 giu 2015
18 giu 2015
La Colombia batte il Brasile ai punti, dimostrando maggiore cattiveria agonistica e voglia di vincere.
(articolo)
8 min
Dark mode
(ON)

L’epica del brutto ha i suoi tempi di rielaborazione. Se la Copa América non tenesse fede al suo fuso orario, avremmo problemi a parlarne.

Se la programmazione alle due di notte di partite come Brasile-Colombia non imponesse di andare a letto subito dopo il fischio finale (e la rissa finale, praticamente già in palinsesto), i commenti sarebbero inevitabilmente fuori fuoco, una serie di: Neymar flop!, Due squadre mediocri, Falcao giocatore finito, l’Inter ha comprato un fenomeno(Murillo), l’Inter ha comprato un bidone (sempre Murillo). Le ore di sonno ricalibrano la lettura, e ci si legge una grande Colombia e un Brasile con delle idee ma incompleto.

È il quinto 1-0 in undici partite di Copa América, la settima partita decisa da un gol di differenza, l’ennesima in cui non si capisce chi prevalga, poi c’è una mischia, un rimbalzo strano, un errore goffo, e si difende con invidiabile intensità fino allo scadere. È una variante del brutto che assomiglia più a un Mayweather-Pacquiao deciso ai punti che a un Chievo-Sassuolo di fine stagione.

La vigilia

José Pekerman aveva il dubbio sul modulo: riproporre il 4-2-3-1 con cui la Colombia aveva giocato brillantemente il Mondiale, o proseguire con il cuadrado mágico per conciliare l’esagerato numero di punte di alto livello in squadra.

Aveva risposto: «Con il 4-2-3-1 abbiamo avuto più continuità, ma non scartiamo la possibilità di giocare con due attaccanti. Non possiamo fossilizzarci in un modo di giocare quando il calcio ha dimostrato che ci sono molte possibilità». Così è stato, con la scelta delle due punte, con Teo Gutiérrez al posto di Bacca e un centrocampo estremamente versatile. A tratti una linea di quattro con James e Cuadrado esterni, a tratti rombo, con James che si accentra e Valencia che copre il suo spazio sulla sinistra, a tratti mágico, con i due mediani in copertura e i quattro davanti a inventare.

Dunga non poteva essere completamente soddisfatto della vittoria nel recupero contro il Perù, e si era dimostrato particolarmente lucido nella previsione della partita: «Cercheremo di migliorare la parte tecnica. Abbiamo bisogno di giocatori di alto livello, che riescano a giocare negli spazi ridotti». È quello che succederà per tutto il secondo tempo. La Colombia a difendersi con le linee strettissime e il Brasile incapace di trovare spazi, in difetto di idee, intensità e lucidità.

Le cose che la Colombia ha fatto meglio del Brasile

Aggredire alto nella metà campo avversaria, principalmente. Cárlos Sánchez è stato nettamente il migliore in campo, l’uomo da copertina, il primo cercato dai microfoni. In assenza di Aguilar, che si è fratturato la caviglia, ha compreso l’impossibilità di gestire i ritmi della partita e ha guidato Valencia in novanta minuti di battaglia a tutto campo e contrasti sempre vinti.

Poi più intesa in attacco, dove la differenza l’ha fatta anche un Teo Gutiérrez sensazionale, che ha regalato due sponde geniali per Falcao e Cuadrado, la prima ai limiti delle possibilità fisiche, con il petto alle sue spalle correndo in avanti, la seconda illeggibile per chiunque, appoggiando delicatamente dietro di sé un bolide piovutogli dalla fascia.

La palla sta cadendo dall'alto, la posizione di Falcao non può conoscerla. Come sia riuscito a pensare una sponda del genere prima ancora che a realizzarla, lo sa solo Teo.

Infine, per quanto banale, ha avuto di più dai suoi uomini chiave. James e Cuadrado si sono presi un’incredibile responsabilità in termini di volume di gioco passato per i loro piedi, sbagliando pochissimo le scelte, prima ancora che le giocate. Falcao, per quanto in ombra sul piano realizzativo, ha giocato da capitano, urlando le marcature sui calci piazzati, aggredendo quanto possibile, prima di uscire confermando l’impressione che non sia in forma.

Le cose che il Brasile ai Mondiali non sapeva fare e adesso fa un po’ meglio

Dunga ha leggermente migliorato le cose, va detto. Non bastasse sapere che prima di questa partita e dopo il Mineirazo la verdeoro aveva sempre e solo vinto, si sappia che anche il campo è stato eloquente.

La fase difensiva adesso ha un senso. Il Brasile ha imparato ad aspettare l’avversario, e avere Filipe Luis (che però è stato pessimo ogni volta che è arrivato sul fondo) al posto di Marcelo aiuta, non c’è più David Luíz dopo il retropassaggio regalato al Perù, e Thiago Silva-Miranda (ignorato da Scolari) sembra la coppia migliore possibile.

L’uscita della palla segue un criterio. È lenta, è affannosa, ma si è visto Fernandinho, il migliore del Brasile ieri, abbassarsi solo quando i due centrali erano in difficoltà contro i due attaccanti colombiani, e servire facilmente i due terzini, in grado di leggere bene i momenti di gioco.

Neymar ha la libertà tattica che merita e più spazi in assenza di un trequartista di ruolo e una punta a occupare l’area. Il Firmino visto ieri, al netto dell’incapacità di mordere la partita, è quello che serviva al Brasile in termini di capacità di muovere una difesa aggressiva come quella cafetera.

La personalità

A voler trovare l’ago della bilancia, sta nei contrasti vinti, nelle palle recuperate mentre il Brasile cerca di capire chi servire. La Colombia ne porta in campo tantissime, il Brasile nicchia quando serve la giocata, il passaggio-killer come quello di Neymar contro il Perù.

Si vede Murillo (il fenomeno) portare palla anche oltre il centrocampo se necessario, Carlos Sánchez dare calci ovunque e tendenzialmente uscirne con il pallone, James e quella sua irridente capacità di fare sempre la cosa giusta, che sia a centrocampo circondato da tre avversari, che sia nei tagli senza palla dall’esterno verso l’interno e viceversa.

La morale di Brasile-Colombia è che la difesa non è necessariamente una scienza esatta. Alla sciatteria mostrata contro la Vinotinto è subentrata una innaturale convinzione nei propri mezzi, che solo quella sconfitta e questa partita potevano regalare. Zúñiga e Armero hanno vinto tutti gli uno contro uno sugli esterni, cioè dove il Brasile ha provato a vincere la partita, e mai avrebbe immaginato di trovare avversari così.

Il gol e il gol che non è stato

Il gol che decide la partita è una punizione di Cuadrado calciata forte in area, che Falcao porta a terra saltando altissimo come fosse una touche, e poi Murillo in qualche modo segna. Andando a ritroso, è un fallo di Fred a causare la punizione, e quindi a decidere la partita. C’è sempre Falcao a difendere palla sulla linea laterale e il 17 gli dà un calcio scemissimo. La Colombia ha certamente saputo gestire meglio la soglia dell’attenzione.

Non è quello che è successo al minuto 58, quando nel giro di pochi secondi si avvicendano un retropassaggio fuori da ogni logica di Murillo (il bidone), un’uscita incerta di Ospina, Elias che potrebbe calciare ma frana sul terreno, Firmino che riceve in corsa, senza marcatura, a porta vuotissima, e calcia alto. Subito dopo si accascia a terra, e capisce di aver appena regalato un video virale alle redazioni online dei giornali di tutto il mondo.

La maledizione dei numeri 9. A sua discolpa Firmino, anche nel modo di giocare, non ha la pretesa di esserlo.

I cambi decisivi

Coutinho è indispensabile per Dunga. Non stava bene, è stato saggio preservarlo, ma il Brasile del secondo tempo è stato un’altra squadra rispetto al Brasile del primo e solo per merito suo. L’unico che sappia leggere anche linee di passaggio alle sue spalle, giocare a un tocco e creare con Neymar una superiorità realmente pericolosa sulla sinistra.

Ibarbo è stato eroico. Sarebbe bellissimo vedere una sua heat map, perché in venticinque minuti ha giocato da difensore centrale, da terzino, da mediano, da esterno di fascia, talvolta anche da attaccante, che sarebbe anche il ruolo assegnatogli all’ingresso per Falcao. Tutto questo senza mai creare disequilibri, a testimonianza che se si fosse giocato un terzo tempo difficilmente il Brasile avrebbe segnato.

La rissa

È componente fondamentale dell’epica del brutto, sarebbe ingiusto ignorarla. Per la rissa è riduttivo includere solo quello che succede dopo il fischio finale e porta all’espulsione (discutibile) di Neymar e Bacca, perché c’è già tutto dentro la partita, a palla lontana, con la differenza che l’arbitro era concentrato altrove.

C’erano i duelli consolidati, Bacca vs. Dani Alves e Murillo vs. Neymar, poi liberatisi in un tag team match allo scioglimento degli schemi. L’idea che se ne ricava è che non c’è nessun motivo logico, c’è una parola che diventa uno strattone, che diventa una spinta, che diventa una testata.

L’arbitro poteva non espellere, poteva essere comprensivo, poteva disinteressarsi, o comunque tutelarci in qualunque maniera che ci permettesse di trovare Neymar ai quarti, dato che questo Brasile e questa Copa América non sono gli stessi senza di lui.

Per un orecchio non esperto di lingue orientali si coglie solo “fair play, fair play”, presumibilmente in chiave ironica.

Il maestro e la giustizia

In un recente sondaggio, il 36% dei colombiani ha indicato Pekerman come fautore principale della ritrovata competitività di questa generazione cafetera, più di quanti abbiano indicato James, o Falcao.

La Colombia torna a battere il Brasile dopo ventiquattro anni, e per la seconda volta nella sua storia in Copa América (anche allora fu in Cile), e ci riesce perché Pekerman è riuscito a convincerla che la sconfitta contro il Venezuela non era affatto la sua dimensione, e l’ha ribadito al termine della vittoria: «Abbiamo giocato un calcio concreto, in modo da vincere con giustizia».

I Cafeteros hanno saputo dare tutto quello che avevano in termini di agonismo, pagando per l’espulsione di Bacca ma guadagnandone una vittoria fondamentale. In un torneo così breve, in cui ogni partita è decisiva, anche solo l’esserne in grado può avvicinare moltissimo al traguardo finale.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura