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Come si costruisce un calciatore
14 nov 2025
Intervista a Vincenzo Pincolini, che ha fatto la storia della preparazione atletica nel calcio italiano.
(articolo)
10 min
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IMAGO / Pressefoto Baumann
(copertina) IMAGO / Pressefoto Baumann
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Quando si parla di calcio e dei suoi interpreti, spesso ci si sofferma su episodi, giocate, risultati. A un livello successivo si entra nel merito di tattica, schemi, scelte di formazione. Tra tutti, però, quello che dovrebbe essere il protagonista più importante, e cioè il corpo dei calciatori, viene spesso tralasciato o comunque è difficile avere informazioni a riguardo.

Proprio il corpo dei calciatori è l'oggetto di studio e di lavoro di Vincenzo Pincolini, il primo a firmare un contratto da preparatore atletico nella storia del calcio italiano, negli anni Ottanta. Ha lavorato per diverse grandi squadre negli ultimi anni: Parma, Milan (per undici stagioni), Atletico Madrid, Roma, Inter, Dinamo Kiev, Lokomotiv Mosca, e poi per la Nazionale italiana e ucraina, al fianco di più di quaranta allenatori professionisti, tra cui Arrigo Sacchi (di cui era un fedelissimo), Fabio Capello, Carlo Ancelotti e Marcello Lippi. Conosciuto come un innovatore per aver portato nel calcio i dettami dell’atletica leggera, oggi è preparatore della Lettonia, voluto fortemente dal CT Paolo Nicolato.

Pincolini al centro, a sinistra Andriy Shevchenko e a destra Vadims Ļašenko, Presidente della federazione lettone. (foto della federazione lettone di calcio)

Ed è proprio da qui che partiamo nella nostra conversazione telefonica, che nasce per fare il punto sul condizionamento fisico, sul corpo dei giocatori attuali, sui metodi di allenamento, sulla situazione del calcio italiano in generale e tanto altro: «Qualche settimana fa abbiamo affrontato l’Inghilterra», mi racconta, partendo dall’esperienza con la Lettonia. «I giocatori inglesi sono grandi atleti, costruiti benissimo, con un’ottima tecnica. Ma se devo considerare gli undici che hanno giocato contro di noi, quelli davvero talentuosi - categoria in cui metto gente alla Pirlo, ad esempio - sono due o tre: gli altri, per intenderci, corrono diritto, non hanno dribbling, giocate risolutive, letture sofisticate o simili. Però sono forti e resistenti, e si reggono sull’eccellente lavoro atletico che li ha formati. Semplificando, sono convinto che un giocatore tecnicamente mediocre possa compensare le sue mancanze e arrivare ad alti livelli grazie all’etica del lavoro, allo spirito di sacrificio, a una grande intelligenza tattica e ad una buona predisposizione e tempra fisica, che è imprescindibile. Non faccio nomi, ma in Serie A ce ne sono tanti così. L’esempio per definizione è Gattuso, che con umiltà e consapevolezza è diventato un fuoriclasse nel suo ruolo».

Pincolini continua: «Lo sviluppo della tecnica non passa per il talento, ma per la coordinazione, per la ripetizione del gesto e dell’esercizio. Il talento è l’assist inventato in spazi che non sembravano esistere, la visione di gioco che nessuno coglie tranne quel giocatore, il colpo di genio, il coniglio tirato fuori dal cilindro. Tornando ai calciatori della Nazionale inglese, fanno un altro sport a livello fisico rispetto ai colleghi italiani. Si capisce solo guardandoli». Da cosa dipende? «Dalla materia prima e dal metodo», mi risponde. «Nel calcio italiano ci sono una serie di problemi. Fino ai quattordici anni, il risultato di una partita dovrebbe essere irrilevante, i ragazzini devono pensare a divertirsi - impegnandosi, certo. Nell’apprendimento motorio ci sono momenti sensibili: ecco perché da bambino non devi fare il terzino destro, ma provare tutti gli sport che ti piacciono. Remco Evenepoel, campione mondiale di ciclismo su strada, a sedici anni è stato capitano della Nazionale giovanile di calcio belga. Questa varietà aiuta a crearsi schemi motori differenti, perché ogni sport ha un linguaggio motorio specifico. Più ne conosci, più diventi poliglotta, potremmo dire, e ciò ti rende un atleta poliedrico, coordinato, completo. Se invece ti specializzi in giovane età, impari a fare molto bene pochi gesti. Il multisport è quello che i miei coetanei facevano per strada, giocando a pallone per ore ogni giorno, arrampicandosi sugli alberi, correndo con gli amici. Non eravamo chiusi negli appartamenti, eravamo sempre in giro», e così si miglioravano le capacità coordinative, senza accorgersene. «Nelle scuole calcio oggi sembra che la cosa più importante sia avere la divisa pulita e stirata. Bisogna ritrovare spensieratezza e gioia, senza pressioni e tatticismi precoci, altrimenti tanti, troppi ragazzi a un certo punto smettono di giocare», afferma Pincolini.

Pincolini ai tempi del Milan. La foto è del suo archivio personale.

Le lacune del nostro sistema però non finiscono qui: «Siamo rimasti alla cultura del contropiede, della ripartenza - spezzo una lancia a favore, perché sono concetti difficili da applicare e belli da vedere», mi dice. «Dobbiamo migliorare nel creare certi presupposti fisici e soprattutto tecnici che abbiamo perso: ti parlo di tiro in porta, stop, lancio, eccetera. Prendendo proprio il tiro in porta, secondo alcuni sarebbe un gesto tecnico pericoloso da allenare spesso, perché si rischiano infortuni. Però c’è anche l’adattamento: se lo fai con costanza, i giocatori si "induriscono" e rischiano di meno. Capello ad esempio faceva tirare di tecnica, e poi, un solo giorno alla settimana, di forza». Lo stesso Capello ha raccontato più volte di aver insegnato a calciare in porta a Zlatan Ibrahimovic, versione confermata dallo stesso Ibra. «Gli hanno spiegato cosa significasse il piede d’appoggio, saper lavorare con la caviglia, eccetera», rivela Pincolini.

A questo punto gli chiedo quali qualità atletiche richiede il calcio contemporaneo: «È fatto di forza fisica, esplosività, velocità», mi spiega. «Detto ciò, parliamo di uno sport che ha dato una collocazione da Messi, alto uno e settanta, a Peter Crouch, che superava i due metri - tra l’altro, ricordo un allenatore famosissimo convinto che un giocatore troppo alto non potesse giocare a calcio. L’evoluzione dello sport lo ha smentito, perché nel calcio c’è spazio per atleti profondamente diversi tra loro, con caratteristiche fisiche che dipendono dal ruolo ricoperto in campo. Se un calciatore è lento per costituzione, puoi lavorarci quanto vuoi, ma non diventerà mai veloce; se però ha visione, tecnica e qualità, può fare il regista o il mediano, e ci penserà l’esterno a correre per lui. Da questo punto di vista, nel calcio c’è posto per tutti. Bisogna tenerne conto quando si programmano gli allenamenti, perché c’è sicuramente la dimensione di squadra, ma penso che il segreto della preparazione atletica stia nel saper differenziare e personalizzare il lavoro in base a chi hai davanti, alla sua carta d’identità. Alcuni rendono in un certo modo, altri in un altro, c’è chi deve recuperare di più, chi di meno, l’importante è farli arrivare alla partita pronti e in condizione - l’allenamento deve esaltare le qualità di ognuno».

Pincolini con Arrigo Sacchi, di recente. La foto è del suo archivio personale.

E il corpo dei calciatori com’è cambiato nel tempo? «In Serie A e non solo, ci sono troppi giocatori voluminosi a livello muscolare, che devono correre zavorrati da una massa inutile, perché non funzionale, per novanta minuti», analizza Pincolini. «La potenza, fondamentale nel calcio, è sì forza, ma moltiplicata per velocità, un elemento che non va perso. E poi ormai c’è la tendenza a sviluppare anche la parte superiore del corpo dei calciatori, utile solo ai social media e a questioni d’immagine - e sono altri muscoli da trasportare. Penso sia dovuto anche alla provenienza di tanti preparatori atletici attuali, che vengono dal mondo delle palestre, mentre l’ideale, dico io, sarebbe che arrivassero da quello della performance. L’obiettivo dev’essere lo sviluppo delle qualità prestazionali al massimo livello. A mio parere, un calciatore dovrebbe lavorare sulla forza esplosiva e sulla resistenza seguendo lo stesso programma di un pugile, atleta fortissimo che deve mantenersi snello per evitare di salire di categoria di peso. Questo lavoro si deve fare a partire dai quattordici anni».

«La generazione di preparatori di cui faccio parte è stata la prima a portare i giocatori in palestra, ai tempi c’erano pregiudizi e mancava cultura», prosegue. «Riassumendo, direi che oggi vicino alle prime squadre l’allenamento si fa abbastanza bene, il problema è nelle fasi precedenti, nella costruzione dei ragazzi fino ai diciotto anni, per mettere a punto la macchina prima di specializzarla, facendo crescere un fisico completo e nei giusti tempi, in cinque o sei anni, e non in un paio. Non ho paura che un mio calciatore sollevi centoventi chili di squat se ci è arrivato partendo da dieci, perché a quel punto conoscerà il movimento alla perfezione, e sarà sicuro nell’esecuzione. Anche questa è prevenzione. Per lo stesso fine bisogna poi allenare la core stability», cioè la stabilità del nucleo del nostro corpo, l’insieme dei muscoli profondi (lombari e spinali, addominali, del pavimento pelvico, flessori ed estensori dell’anca) che stabilizzano e sostengono il tronco, «con esercizi faticosi, impegnativi, come gli addominali a squadra», in cui da sdraiati a terra bisogna sollevare contemporaneamente gambe e busto, cercando di farli incontrare al centro, «che spesso i calciatori saltano o fanno controvoglia».

A sinistra Sir Alex Ferguson, a destra Carlos Queiroz, al centro Pincolini. La foto è del suo archivio personale.

Gli domando se c’è altro che si possa fare per prevenire gli infortuni: «Sì, allenarsi moltissimo come volume e intensità», replica. «E lo fanno in poche squadre, spesso per mancanza di tempo. Ecco perché le squadre che non partecipano alle coppe europee partono con un netto vantaggio sulle concorrenti: hanno più disponibilità per allenarsi. Una squadra che gioca solo di domenica non può avere problemi di condizione fisica: ha margine per alti carichi di lavoro e per il successivo, necessario recupero. Viceversa, chi gioca più spesso deve limitarsi a mettere delle toppe e poco altro. Ti faccio l’esempio del Napoli: sappiamo che Conte è un allenatore che lavora tanto sull’intensità, e quando vuoi che i giocatori vadano a cento all’ora, devi avere una squadra motivata, coinvolta, che si fida di te e capisca che vale la pena faticare, altrimenti l’ingranaggio si inceppa. Quando ero al Milan, con i miei collaboratori eravamo riusciti a far passare il messaggio, tanto che alcuni calciatori si sfidavano per primeggiare, c’era un elemento di stimolo, di competizione, di gioco durante gli allenamenti».

Pensa che i calciatori pagheranno un prezzo salato per i calendari sempre più fitti di partite? «Sì, sul piano mentale e psicologico più che fisico, perché la medicina sportiva, lo studio dell’alimentazione, i progressi nelle metodologie di allenamento e l’attenzione al riposo riescono a limitare l’usura dei corpi, e infatti vediamo tanti giocatori ancora competitivi ad età avanzata», chiarisce Pincolini. «E poi fortunatamente si è superata l’epoca dell’uso smodato di farmaci legali come antidolorifici, antinfiammatori, rilassanti, eccetera - io non ho mai visto doping nel calcio, ma un’esagerazione nel ricorso a questi farmaci sì». Chiudo chiedendogli come si aspetta che sarà il calciatore del futuro: «Verrà costruito con un importante contributo delle neuroscienze», risponde, sicuro.

«Ad esempio, nell’utilizzo dei video, che vanno integrati alla pratica di campo. Il calciatore che si sta allenando deve vedere immediatamente il replay della sua azione, per poter migliorare. Se glielo mostrano ore dopo, l’efficacia della correzione sarà minore». È una questione che riguarda i neuroni a specchio, che agiscono sull’apprendimento motorio tramite osservazione e imitazione.

L’immediatezza del feedback visivo permette al sistema a specchio di agire quando la traccia motoria è ancora “calda” nel cervello. «Visto il ritmo frenetico del gioco e la sua intensità, attualmente un calciatore appena tocca la palla, deve controllarla e sapere subito a chi darla, perché viene aggredito dagli avversari all’istante. E i tempi di gioco diminuiranno ancora, conteranno sempre di più aspetti come lo stop del pallone, la velocità di pensiero e di passaggio, la reattività. Dal punto di vista atletico direi che siamo quasi arrivati, si lavorerà sull’esecuzione», chiude Pincolini. Alla fine, tutto torna al corpo, primo e ultimo confine del gioco: è lì che si sprigiona il talento, si costruisce la prestazione, si custodisce il futuro dei calciatori.

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