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Vieira, Pogba, Yaya Touré
13 apr 2015
13 apr 2015
Patrick Vieira è un archetipo di calciatore, al punto che ogni calciatore nero in grado di unire tecnica e potenza fisica è paragonato a lui, compreso Paul Pogba.
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Nell'estate del 2003 un ragazzo ivoriano ventenne che giocava in Belgio, nel modesto Beveren, viene mandato a fare un provino per l'Arsenal. Dopo qualche allenamento, Wenger gli si fa incontro: «In che ruolo vuoi giocare?»

«Centrocampista»

«Perché? Quando ti ho visto in allenamento sembravi più un attaccante»

«Perché lei mi ha messo davanti. Mi sposti, io voglio giocare a centrocampo, come Patrick»

«Vieira?»

«Sì, io posso giocare come Patrick. Posso giocare meglio di Patrick!»

«No, no, è impossibile».

Quel ragazzo era Yaya Touré.

All'inizio degli scorsi Mondiali, invece, è lo stesso Patrick Vieira in veste di opinionista per l'inglese ITV a inserire Yaya Touré nel suo personale dream team della competizione. Della squadra immaginata da Vieira faceva parte anche il centrocampista francese Paul Pogba e, quando è stato chiesto a Vieira quale giocatore in attività considerava più simile a lui per stile e caratteristiche, l'ex giocatore non ha avuto dubbi: «Uno dei calciatori che mi piacciono davvero è Pogba. Anche se credo abbia più tecnica e si senta più a suo agio col pallone di me, ritengo che siamo abbastanza simili. Abbiamo entrambi la capacità di trasformare l'azione da difensiva in offensiva, ma credo che alla fine lui segnerà più gol di me!».

Patrick Vieira è diventato una specie di archetipo a cui raffrontare tutti i centrocampisti alti e grossi di orgine africana. Il mix perfetto tra forza fisica e tecnica. Ma a ben guardare, Vieira è solo una fonte di ispirazione, e lo stesso Vieira si paragona a giocatori che lo ricordano solo vagamente, oppure Yaya Touré e Pogba hanno più cose in comune con lui di quanto non sembri?

L'originale

Le tribune del vecchio Highbury erano aderenti alla linea bianca, il punto di ripresa delle telecamere era molto più basso del solito: sulle nostre tv a tubo catodico con rapporto 4:3 appariva una porzione di campo forzatamente ristretta. Patrick Vieira, con i suoi 193 centimetri e le gambe telescopiche da ispettore Gadget, quella porzione di campo la occupava quasi tutta.

Nell'Arsenal che incantava a cavallo tra i due millenni, mentre Henry si conquistava, giocata dopo giocata, un pezzettino per volta, il cuore di tutti, Vieira era il gigante cattivo in grado di farsi espellere due volte nel giro di quattro giorni.

Tempo fa Patrick Vieira ha pubblicato su Twitter alcune foto risalenti ai tempi in cui giocava nelle giovanili della squadra di Dreux, comune francese di trentamila abitanti in cui si era trasferita la sua famiglia, originaria di Dakar, quando aveva otto anni; quegli scatti, che ritraggono un Vieira quattordicenne, sembrano tratti da una nuova versione de I Viaggi di Gulliver: le gambe già interminabili (sembrano ancor più lunghe per via dei pantaloncini corti che si usavano allora) lo fanno svettare nettamente su tutti i suoi compagni.

A 17 anni ha debuttato nella prima squadra del Cannes; a 19 era già capitano: «La prima volta che l'ho visto» ricorda Wenger, «ha giocato 45 minuti contro il Monaco: dominò il centrocampo. Subito dopo la partita ho detto: questo ragazzo avrà una grande carriera; e quando ho capito che sarei venuto all'Arsenal, gli ho chiesto di raggiungermi». Dal momento del colpo di fulmine alla celebrazione del matrimonio passò un anno, durante il quale Patrick si trasferì al Milan di Capello senza fortuna (solo 5 presenze) e Arsène lasciò il Principato per un'avventura in Giappone, dove ha allenato il Nagoya Grampus.

A pochi mesi dall'approdo di Vieira nel Nord di Londra, Ian Wright (il più grande realizzatore della storia dei "Gunners" prima dell'arrivo di Henry) ne era già entusiasta: «Da tanto tempo non avevamo un centrocampista che prima di tutto prova a servire i compagni che scattano in avanti e solo dopo considera le altre opzioni». L'anno dopo, al centro del 4-4-2 disegnato dall'alsaziano, Vieira faceva coppia con il connazionale Petit (a cui servì anche l'assist del 3-0 al Brasile nella finale di Francia 98). Dopo il ritiro di Tony Adams, ne ereditò la fascia di capitano e divenne un punto fermo dell'Arsenal vincente di quegli anni. Lì nel mezzo del campo, oppure in tribuna per uno dei suoi ciclici periodi di squalifica.

In quegli anni di Premier League se a vincere non era l'Arsenal sicuramente lo faceva il Manchester United (sebbene sarebbe più accurato dire il contrario, visto che, se prendiamo in considerazione il primo periodo inglese di Vieira, il conto dei titoli è 5-3 in favore dello United), generando così una rivalità tendente all'odio che coinvolgeva ogni componente delle due squadre, allenatori compresi. "Gunners" contro "Red Devils" era Wenger contro Ferguson, ma soprattutto era Vieira contro Roy Keane. Di recente questi ultimi si sono incontrati per un faccia a faccia televisivo mostrando un rispetto reciproco difficilmente intuibile nel tunnel di Higbury o sul prato dell'Old Trafford. All'inizio del programma Keane descrive Vieira come uno «molto, molto, molto, molto molto duro». Ma è dalle parole che usa il francese per il suo avversario che si capisce davvero cosa lo animasse: «Keane è il mio nemico preferito, non so se abbia senso per te, ma per me ce l'ha, perché amo ogni aspetto del suo gioco». Alla domanda «Ti intimidiva?», Vieira risponde: «No, mi eccitava».

Quindi Vieira era anche, se non soprattutto, un duro del centrocampo. Il suo gioco infrangeva qualsiasi manicheismo, perché era capace sia di colpi di classe che di entrate a gamba tesa, ma Vieira era prima di tutto un centrocampista difensivo, un tiranno che perlustrava la sua zona in cerca di passanti a cui strappare il pallone dai piedi.

In Francia intanto l'avevano soprannominato "la pieuvre" perché con quei tentacoli poteva fare qualsiasi cosa, sradicare palloni molto distanti dal suo corpo e poi difenderli, avanzando a testa alta e petto (spesso cosparso da una vistosa chiazza di Vicks) in fuori. Univa estetica ed efficacia, forma e contenuto.

Tutti i palloni toccati da Vieira in una partita dolorosa per l'Arsenal: non male quella cosina al minuto 1:06!

Anche Gerrard, nella sua autobiografia, ricorda l'impressione che gli fece giocare contro Vieira in finale di FA Cup nel 2001 (vinta dal Liverpool con una doppietta di Owen): «Fu immenso in mezzo al campo. Ci siamo fronteggiati molte altre volte, ma Vieira non ha mai giocato meglio di quel giorno. È stato magnifico, vinceva i contrasti, ripartiva, impostava il gioco, testa e spalle sopra chiunque. Il finale non è stato proprio un classico, andava alla deriva come un fiume pigro, ma Patrick alzò ancora il ritmo. Prese la partita per il collo e dominò. Volevo la sua maglietta. A tutti i costi».

Il dominio fisico era una componente fondamentale del gioco di Vieira, anche perché sul piano realizzativo le sue cifre non sono mai state straordinarie (meno di un gol ogni dieci partite). Quando Vieira segnava lo faceva nelle occasioni importanti e in gran stile, con imperiose cavalcate o tiri dalla distanza. Per questo si ispirano a lui centrocampisti decisamente più offensivi... come quel ragazzo del Beveren con cui Vieira divise lo spogliatoio nell'ultima stagione della sua carriera, al Manchester City.

È la stagione 1997/98, quella del primo double di Wenger. La partita finirà 3-2, per l'Arsenal segneranno anche Anelka e Platt.

Quando Yaya voleva essere Vieira

Il provino all'Arsenal di Yaya Touré si concluse con un'amichevole contro il Barnet, in cui partì titolare a centrocampo. In squadra c'era anche suo fratello maggiore Kolo, all'Arsenal già da due anni. Nel secondo tempo Wenger lo spostò in attacco e lui sprecò di testa una grande occasione da rete: «La sua prestazione fu assolutamente nella media... sapevamo fosse fortissimo, l'unico problema era assegnargli una posizione perché può giocare ovunque, come difensore centrale, seconda punta o centrocampista... abbiamo commesso degli errori, ma non con lui. In Inghilterra si può ingaggiare un giocatore extracomunitario solo se ha giocato almeno il 75% delle partite della sua Nazionale, ma Yaya non l'aveva mai fatto. Decidemmo di aspettare che ottenesse il passaporto belga, ma lui preferì trasferirsi in Ucraina».

«Sono stato in club strani» ha detto del suo cammino tortuoso Touré. L'ASEC Mimosas della natia Costa d'Avorio, in cui ha giocato (scalzo) fino agli 8 anni; il Beveren, una sorta di società satellite dell'Arsenal, che procurò il primo paio di scarpe da calcio; poi due anni al Metalurg Donetsk; uno all'Olympiakos; ancora uno al Monaco. Poi Barça e Manchester City.

A posteriori è interessante chiedersi: aveva ragione Yaya quando diceva di poter giocare come Vieira? O, addirittura, Yaya Touré gioca meglio di Vieira?

Il giorno dopo della vittoria della FA Cup, decisa proprio da un gol di Touré alla prima stagione a Manchester, il Telegraph scrisse: «Non è solo per i due gol di Wembley, che hanno garantito il primo trofeo al City dopo 35 anni, ma anche per il suo senso dell'anticipo che, se riuscirà a garantire questo tipo di prestazioni dominanti, il City potrà davvero vantarsi di avere il nuovo Vieira».

Ma era già stato il fratello Kolo ad accostarlo per primo a Vieira: «Un altro instancabile agonista box-to-box che potrebbe dare l'impressione di essere il centrocampista totale».

In un'altra finale, quella della League Cup dello scorso anno, Yaya diede inizio alla rimonta sul Sunderland così. Siamo più distanti dalla porta e c'è più morbidezza nel tiro, ma la postura e la traiettoria del pallone ricordano il goal di Vieira contro lo United.

Così uguali così diversi

Lo specchio che separa Yaya Touré dall'immagine riflessa di Vieira va in frantumi se prendiamo in considerazione la metà campo difensiva. L'ivoriano non ha mai avuto, e col tempo ne ha sempre meno, la stessa soffocante ferocia nell'andare a recuperare il pallone. E questo nonostante un passato in cui, per esigenza, ha anche giocato in difesa. Con Gabi Milito e Rafa Márquez infortunati, infatti, Guardiola preferì lui a Cáceres per affiancare Puyol nella finale di Champions League di Roma contro il Manchester United. Yaya si trovò a fronteggiare Cristiano Ronaldo, Rooney e, nel finale, anche Tévez e Berbatov. Ma ancora oggi la sua capacità di leggere i movimenti degli avversari non è paragonabile a quella del suo antesignano e ciò, unito alla sua indolenza, rende lo spazio alle sue spalle terra di conquista per l'inserimento di centrocampisti e mezzepunte.

Fuori Nasri, dentro de Jong, Yaya avanza e vince la partita. In tribuna c'è anche Vieira, entrato nello staff dirigenziale del City. Mancini ha tirato fuori il meglio di Yaya Touré mettendogli dietro due interditori, liberandolo cioè dai compiti difensivi.

Touré in fase offensiva diventa una sorta di Vieira supercharged: stessa carrozzeria e tenuta di strada, ma sollevando il cofano ci si rende conto della differenza. Rispetto alla leggenda dell'Arsenal ha doti di playmaking più accentuate: migliore visione di gioco, più spiccate capacità di cambiare il lato con lanci millimetrici, di servire immaginifici assist e hockey-assist (i passaggi che precedono quello decisivo, molto frequenti nel gioco di Pellegrini).

Se Vieira riusciva spesso a trovarsi davanti al portiere per lo più tagliando con sagacia senza sfera, Touré può arrivarci anche con le sue percussioni palla al piede, quelle che hanno indotto Harry Redknapp a soprannominarlo “human train”. Inoltre, Vieira aveva una corsa armoniosa ed uniforme, buona per le gare su lunga distanza, mentre Touré (soprattutto quando era in età più verde) all'occorrenza sa trasformarsi in sprinter.

Touré ha anche segnato più di Vieira ed è diventato nel tempo uno specialista dei calci piazzati. «In passato non potevo tirare io, c'erano Balotelli e Tévez». La scorsa stagione, invece, l'ha iniziata segnando su punizione tre volte in un mese.

Giocando così ha finito per essere spesso eletto Man-of-the-match, ma da quando, per motivi religiosi, rifiutò il classico champagne-premio, la Premier League offre una bottiglia di acqua di rose e melograno come alternativa per i giocatori musulmani.

Nel suo trentaduesimo anno di vita, dopo essere stato insignito per quattro volte consecutive del premio di miglior giocatore africano e aver sollevato quindici trofei con le sue squadre (tra cui l'ultima Coppa d'Africa, da capitano), il ragazzo che voleva essere “come Vieira”, è diventato il modello di una nuova generazione di calciatori.

La Rivoluzione francese

Pogba, detto la “Pioche” (il piccone, ma è solo una storpiatura del suo nome), quando aveva appena 15 anni rispose diversamente da come ci si sarebbe aspettati alla domanda: quale giocatore della Nazionale francese ti ha più influenzato? «Zinédine Zidane! Exceptionnel! Ho sempre desiderato essere come lui». E forse vale la pena ricordare che Pogba aveva 15 anni solo 7 anni fa. Se il primo mito è legato forse più alla sua gioventù (alla vittoria del Mondiale del '98) che a una vera e propria affinità di gioco, un Pogba più maturo ha finito per rivedersi in Yaya Touré, proprio come Touré si vedeva in Vieira: «Guardo tanti giocatori del mio ruolo che ammiro, li guardo per imparare, ad esempio Yaya Touré ha la mia stessa fisicità ma più esperienza. Inoltre abbiamo lo stesso stile di gioco».

Rispetto ai suoi due predecessori Pogba ha un gusto maggiormente spiccato per la giocata ad effetto, a volte anche fine a sé stessa. A differenza di Vieira e Yaya, che usando le gambe lunghe rimangono sull'asse x del terreno di gioco, Pogba è in grado di andare ad arpionare in cielo palloni irraggiungibili per chiunque altro. Il tutto senza scomporsi, trasmettendo una sensazione di evidente superiorità.

Pogba è la versione hip hop dei suoi precursori: sulla loro base fa scorrere un flow di giocate in cui è facile identificare delle citazioni dei più grandi dell'ultimo ventennio. Qui chiari brani di Zizou al minuto 1:25, di Dinho a 5:18, di Ibra a 7:30.

Inutile dire che un talento giovane così puro costituisca un'anomalia nel depauperato campionato italiano. Sebbene Marotta dica che la Juve non è costretta a cedere il suo Monet, tra le ipotesi di mercato più suggestive c'è quella che lo vorrebbe al Manchester City per ricevere il testimone proprio da Yaya Touré, diretto verso altri lidi, chiudendo così il cerchio. Sarebbe davvero il modo migliore per sostituirlo?

Se confrontiamo le statistiche dei due nelle loro migliori stagioni (quella in corso per il francese, la scorsa per l'ivoriano) si nota una generale superiorità del primo nelle cifre difensive e del secondo in quelle offensive. Pogba fa più tackle (circa 2 a partita, contro il solo tackle di Touré) e vince più duelli aerei (63% contro 43%). Yaya, per il ruolo di regista che riveste nel City, surclassa Pogba per numero totale di passaggi (76 a 50), e di assist trasformati in rete (0.28 a 0.1), anche se il francese fa più assist per il tiro (1.51 contro 0.96). Nella stagione in corso Pogba ha già eguagliato il suo massimo di reti in Serie A (7) e anche alla luce del recente infortunio non potrà superare le 20 marcature nella scorsa Premier di Touré. Chissà se un giorno anche lui deciderà di incaricarsi della battuta di punizioni e rigori.

Cosa c'è di Yaya Touré nel gioco di Pogba? E cosa di Vieira in quello di Touré? Ma la domanda potrebbe presto diventare (soprattutto se Pogba dovesse guidare il centrocampo della Nazionale francese al prossimo Europeo, con un risultato magari migliore dell'ultimo Mondiale): Paul Pogba è il nuovo Vieira? Impossibile capirlo da subito, e forse è più una suggestione che una vera e propria domanda. Vieira è un archetipo, Touré ha finito con il diventare a sua volta un modello cui ispirarsi, Pogba è ancora (quasi) tutto da scoprire. Chi lo sa, magari invece finirà con l'assomigliare di più a Zidane, come voleva a 15 anni.

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