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Via dalla Grecia
04 feb 2016
04 feb 2016
Gli effetti della crisi sul calcio greco, nel momento più difficile della sua storia.
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A mettere fine all'agonia sportiva della Grecia è stato Joel Pohjanpalo lo scorso 4 settembre. Con un gol al 74esimo, davanti ai 12mila annoiati spettatori del Karaiskakis Stadium del Pireo, l’attaccante finlandese ha vanificato il lungo predominio territoriale della squadra di casa sancendone l’eliminazione matematica da Euro 2016.

Nel gruppo F la Grecia ha chiuso all’ultimo posto con sei punti in dieci partite, frutto di tre pareggi, sei sconfitte (tra cui quella doppia e indecorosa con Far Øer) e un’inutile vittoria all’ultima giornata contro l’Ungheria. In panchina, nell’arco di un anno, si sono succeduti tre allenatori, senza che nulla cambiasse. Claudio Ranieri, che adesso sta facendo miracoli in Premier League con il Leicester, e il suo vice, l’ex interista Giorgios Karagounis, hanno resistito solo tre mesi, cacciati dopo la sconfitta contro le Fær Øer e il bilancio di un punto in quattro partite. L’uruguaiano Sergio Markarián è rimasto al timone della selezione per 180 minuti, giusto il tempo di raccogliere uno 0-0 in casa dell’Ungheria e la seconda sconfitta con le Far Øer, questa volta in trasferta. L’ultimo arrivato è stato Kostas Tsanas, prelevato dall’under 21 per gestire la nazionale maggiore nelle restanti partite di qualificazione, con l’obiettivo non dichiarato di evitare altre figuracce.

Paese in crisi, calcio in crisi

La crisi economica, arrivata al sesto anno, e la lunga trattativa sul debito pubblico tra Atene e Unione Europea, durata per tutta la prima metà del 2015, con annesso rischio Grexit, hanno lasciato il segno. Il contributo dell’industria del pallone – e in particolare della Super League - nell’economia greca resta elevato, come dimostra uno studio effettuato dalla stessa Lega in cui si afferma che l’attività dei club ha un impatto quantificabile in oltre 2 miliardi di euro, e pesa sul mercato del lavoro per circa 40mila posti.

Eppure oggi il campionato greco è sempre meno ambito. Innanzitutto perché gira meno denaro, come dimostra la decisione di molti club greci di tagliare il proprio monte ingaggi (l'Olympiakos, ad esempio, lo ha ridotto del 21,7 per cento rispetto alla passata stagione). Ma anche perché chi firma un contratto da queste parti rischia di non veder mai i soldi pattuiti. La scorsa estate, nel pieno della crisi sul debito, la Federazione internazionale dei calciatori professionisti (FifPro) ha inserito la Grecia al terzultimo posto tra i paesi a rischio insolvenza e ha messo in guardia i propri associati, invitandoli a “prestare molta attenzione prima di firmare un contratto” con un club greco.

Nel frattempo i calciatori stranieri già impegnati nei campionati della penisola e quelli in arrivo si sono preoccupati di rivedere i propri contratti, in modo da premunirsi dal rischio di un ritorno alla dracma, che metterebbe seriamente in pericolo i propri guadagni. Il risultato è che se solo fino a pochi anni fa la Super League poteva permettersi di ingaggiare giocatori come Rivaldo o Gilberto Silva, adesso arrivare a giocatori di prima fascia, pure a fine carriera, è sempre più difficile.

Corruzione e disaffezione

A tenersi sempre più alla larga dal calcio greco non sono solo i calciatori, ma anche i tifosi. Secondo i dati non ufficiali di European Football Statistics, rispetto al picco di 7.600 spettatori toccato nell’ultima stagione prima della crisi le presenze medie in Super League si sono dimezzate, arrivando a superare di poco le 3mila unità, nonostante gli sconti applicati da quasi tutte le società su biglietti e abbonamenti.

Pesa ovviamente la crisi economica, ma anche la perdita di credibilità del sistema calcio. La colpa in questo caso è dei due scandali che in meno di quattro anni hanno incrinato la credibilità dell’intero settore. Il caso “Koriopolis” (dal termine greco κοριος, cimice, e per assonanza con l’italiana “Calciopoli”) risale al 2011. Un secondo scandalo, di dimensioni altrettanto vaste, è stato portato alla luce lo scorso aprile dal procuratore Aristidis Korreas, e vede implicate figure di prima fila del calcio locale, a partire dall’ex presidente della Federcalcio (Epo) Giorgos Sarris.

In entrambi in casi, però, il vero protagonista è il boss dell’Olympiakos Pireo Evangelos Marinakis. Presidente della Super League e vicepresidente della Federazione tra il 2010 e il 2011, presidente del club biancorosso dal 2010, è probabilmente l’uomo più potente del calcio greco attuale, oltre che la figura più presente in tutte le recenti inchieste legate al calcioscommesse. Grazie all’impero dei cantieri navali ereditato dal padre, può oggi contare su un patrimonio personale di 750 milioni di dollari, con cui ha tenuto il proprio club al riparo dalle turbolenze finanziarie che hanno scosso la maggior parte dei rivali. Nei cinque anni della sua presidenza l’Olympiakos ha vinto cinque dei suoi 42 scudetti e tre coppe nazionali. Successi guadagnati non solo grazie alla grande disponibilità economica, ma - secondo i magistrati greci – anche grazie a un “controllo totale delle sorti del calcio greco”, ottenuto nel tempo “attraverso frodi e ricatti”.

Oltre che alla finanza e allo sport gli interessi di Marinakis si estendono anche alla politica, come rivelano le simpatie mai nascoste per Alba Dorata, la formazione di estrema destra che alle elezioni di settembre scorso è diventata il terzo partito greco. Proprio i militanti nazisti, così come alcuni rappresentanti del tifo più caldo, sono tornati utili a Marinakis per intimidire arbitri e giornalisti e nel creare l’organizzazione criminale di cui parla il procuratore Aristidis Korreas nelle quasi duecento pagine che meno di un anno fa hanno portato alla luce il nuovo scandalo. In particolare i militanti di Alba Dorata avrebbero avuto un ruolo attivo negli scontri avvenuti durante il derby tra Panathinaikos e Olympiakos del 18 marzo 2012, al termine dei quali il Panathinaikos fu punito con un -3 in classifica 212mila euro di multa.

Oggi Marinakis è di nuovo sul banco degli imputati, è stato costretto a lasciare la presidenza del club e sottoposto a obbligo quindicinale di firma in questura. Ma c’è il rischio che tutto possa finire come nel 2011, quando a pagare furono solo pesci piccoli, come Kavala e Olympiakos Volos, retrocesse nelle serie minori.

Una federazione inattaccabile

L’abitudine ad aggiustare le partite a proprio piacimento non ha niente di nuovo, ma la legislazione recente ha paradossalmente reso il reato più difficile da punire. Oggi per penalizzare un club per combine serve infatti dimostrare il coinvolgimento di almeno tre calciatori. Il risultato è che le segnalazioni di Sportradar, l’agenzia incaricata di monitorare i flussi anomali di scommesse, arrivano ogni settimana, ma vengono altrettanto puntualmente archiviate dall’Epo.

Proprio la Federcalcio locale sembra essere il problema. I vari tentativi di riformare l’organismo, compiuti da governi di diversi colori, sono sempre falliti, anche per la “complicità” di Uefa e Fifa. Il primo, risalente al 2006 e voluto dall’esecutivo di Kostas Karamanlis, si arenò di fronte alle accuse di “ingerenza” di Uefa e Fifa, che invitarono Atene a garantire l’autonomia degli organismi sportivi in linea con quanto avviene in gran parte degli altri paesi, annunciando in caso contrario la sospensione della Federcalcio ellenica da tutte le competizioni internazionali.

Non è andata meglio a Syriza, che l’anno scorso, all’indomani dell’ennesimo episodio di violenza negli stadi, propose di assegnare all’esecutivo il diritto di imporre sanzioni ai club, oltre che la possibilità di rinviare e annullare incontri sportivi e di impedire la partecipazione degli stessi club alle competizioni internazionali, dalla Champions League in giù. Anche il partito di Tsipras si è fermato dinanzi alle minacce di ostracismo di Uefa e Fifa.

Campionato a singhiozzo

All’immagine del calcio greco non fanno bene nemmeno i continui stop. Poco più di un mese fa la Super League ha rischiato di fermarsi per l’ennesima volta per lo sciopero dei calciatori di tutte le serie professionistiche indetto per solidarietà con i colleghi che da tempo non ricevono nemmeno lo stipendio. La protesta annunciata dall’Associazione greca dei calciatori professionisti (Psap) avrebbe dovuto far saltare le partite dalla Coppa nazionale, previste tra il 15 e il 17 dicembre, e il successivo turno di Super League ma è stata revocata all’ultimo momento, dopo che dalla Federazione e dalla Lega sono arrivate rassicurazioni per la creazione di un “fondo di solidarietà” dedicato al pagamento degli stipendi arretrati.

In precedenza la Super League si era davvero fermata, ma per colpa della violenza. Lo scorso 25 febbraio, gli scontri scoppiati durante il “derby degli eterni nemici” tra Olympiakos e Panathinaikos avevano spinto Tsipras a sospendere il campionato a tempo indeterminato, per farlo poi ripartire, a porte chiuse, il 4 marzo.

In precedenza, a novembre, era stato il governo di Antonis Samaras a fermare le partite in seguito al pestaggio del vicepresidente del comitato nazionale arbitri. Ancora prima, nel settembre del 2014, il campionato si era fermato per una settimana, in seguito alla morte di un tifoso avvenuta durante la gara di terza divisione tra Ethnikos Piraeus e Irodotos.

Si salva chi può

A salvarsi dallo sfascio generale del calcio greco sono solo le società che possono contare sui patrimoni dei presidenti. Non a caso le stesse quattro che, attualmente, occupano le prime posizioni della classifica della massima serie. Davanti a tutti c’è proprio l’Olympiakos che non ha subito grossi contraccolpi dagli scandali che vedono coinvolto il suo presidente. Nonostante le proteste degli altri club, che in estate erano arrivati a minacciare di non prendere parte al nuovo campionato, la squadra del Pireo sta giocando regolarmente in Super League, dominando come al solito (18 vittorie in 19 gare, 49 gol fatti e 11 subiti, +16 sulla seconda, l’Aek), e si avvia a vincere il 18esimo titolo nazionale in 20 edizioni.

E anche in Europa il club del Pireo non ha subito alcun ostracismo. «L’indagine è in corso, e come sappiamo questo tipo di inchieste possono richiedere tempo. Se vi saranno prove ne terremo conto», ha risposto in estate il segretario generale della Uefa Gianni Infantino a chi chiedeva provvedimenti.

Non ha problemi di bilancio nemmeno il Paok Salonicco, alle cui spalle c’è Ivan Savvidis, uno degli uomini più ricchi della Russia e amico personale del presidente Vladimir Putin. Georgiano di origine greca, Savvidis ha investito due anni fa una piccola parte del proprio patrimonio (12 milioni) per ripianare i debiti del Paok e rilanciarne le ambizioni.

Percorso più travagliato l’Aek Atene, che nel 2013, travolta dai debiti, è retrocessa per la prima volta nella sua storia fino alla terza serie. Nello stesso anno è però tornato in società Dimitris Melissanidis, meglio noto come “Tiger”, uno dei più ricchi uomini greci (cantieri navi e petrolio) che ha riportato il club in massima serie. Su un patrimonio consistente, infine, può contare il Panathinaikos, guidato dal 2012 da Giannis Alafouzos, presidente del gruppo editoriale Skai di cui fa parte anche il quotidiano Kathimerini.

Molto più dura la sopravvivenza dei club piccoli, che devono fare i conti con il drammatico calo degli investimenti successivo alla crisi debitoria degli ultimi anni. L’anno passato i problemi finanziari hanno costretto Niki Volos e Ofi Creta a lasciare la Super League ancor prima di aver terminato il campionato. Ma nelle stesse, cattive acque, versano tanti club greci meno noti, che ora rischiano il fallimento.

Quale futuro?

Oggi è impensabile immaginare una squadra greca in finale di Champions, come quel Panathinaikos allenato da Ferenc Puskás che nel ’71 sfidò l’Ajax di Cruyff al Wembley.

L’unica greca approdata ai gironi di Champions, il solito Olympiakos, si è fatta superare all’ultima giornata dall’Arsenal ed è “retrocessa” in Europa League.

La Nazionale, se possibile, va anche peggio, ed è diventata, suo malgrado, lo specchio della crisi economica del paese, arrivata oramai al suo sesto anno.

Eppure per trovare una Grecia vincente non bisogna andare troppo indietro nel tempo. Solo una decina di anni fa, nel 2004, la selezione guidata dal tedesco Otto Rehhagel conquistò il titolo di campione di Europa, con un cammino tanto imprevedibile quanto trionfale, eliminando la Spagna, la Francia campione in carica e i padroni di casa del Portogallo in finale. Quella generazione d’oro, con i vari Giorgos Karagounis, Kostas Katsouranis and Angelos Charisteas, in pochi anni riuscì a riscattare un secolo di anonimato calcistico e costruì le basi per una stagione senza precedenti, culminata, solo due anni fa in Brasile, con la prima qualificazione agli ottavi di un Mondiale.

Una delle conseguenze inattese del declino attuale è il considerevole abbassamento dell’età media all’interno del campionato e la ridotta percentuale di calciatori stranieri impiegati. Una tendenza iniziata già negli anni scorsi: nella stagione 2012/13 l’età media dei calciatori della Super League si è attestata a 23,9 anni, record di tutti i tempi, mentre la percentuale di calciatori stranieri è scesa al 33 per cento. Da allora è incrementata sia l’età media che il numero di giocatori stranieri (oggi rispettivamente 26,1 e 42 per cento), che resta però inferiore a quella dei principali campionati europei campionati.

Le conseguenze sono difficili da valutare. Per molti si tratta solo dell’ennesima prova del declino generale. Per gli ottimisti è invece un’opportunità da cogliere. Di sicuro la presenza di così tanti giovani costringerà i club locali a puntare di più sui propri vivai e a dare spazio a calciatori che in altre epoche sarebbero rimasti a lungo in panchina. Ma che questo basti per avviare una rinascita è tutto da dimostrare.

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