
Takuma Asano (Giappone - Arsenal)
di Gabriele Anello
Al momento del suo acquisto da parte dell'Arsenal, Takuma Asano è stato visto come un abbaglio clamoroso. Per tutta l'estate i tifosi dei Gunners hanno sognato un centravanti dal grande nome - Higuaín, Morata, Cavani - e invece Wenger ha puntato sul giapponese del Sanfrecce Hiroshima, comprato per cinque milioni di euro: «Takuma è un talento e ha un futuro brillante davanti a sé». E sarà così, visto che non potrà ottenere il permesso di lavoro per giocare nella prossima stagione di Premier.
Tuttavia, Asano ha lavorato sodo per arrivare a Londra. E le Olimpiadi stanno dimostrando che Wenger non ci ha visto così male: al di là di quale sarà il suo futuro, il presente parla di un attaccante veloce, capace di sfruttare gli spazi in transizione e di sfiancare centrali meno rapidi di lui. A differenza di Kensuke Nagai a Londra 2012, però, la tecnica di base è di ben altro livello.
In gol contro Nigeria e Colombia, particolarmente impressionante è stata la prova di Asano contro i sudamericani. I due centrali della Colombia han sofferto per tutta la gara il passo veloce e le intuizioni dell'attaccante, che rappresenta/ha rappresentato un valore aggiunto per la spedizione nipponica a Rio.
Eppure l'azione migliore non è un gol: qui sotto, Asano legge con largo anticipo e un'ottima intuizione il giro-palla colombiano, recupera la sfera e scarica un gran sinistro (piede debole) verso la porta: il tiro con un po' di sfortuna finisce sulla traversa.
In attesa di capire dove giocherà la prossima stagione, Asano è fiducioso: «Se dovessi andare in prestito, darò il 100%». A Rio si sta già allenando in questo senso.
Ángel Correa (Argentina - Atletico Madrid)
di Stefano Borghi
Che Angelito Correa sia uno de più grandi talenti nati dalla metà degli anni '90 in poi è ovvio per chi lo ha visto giocare. Che abbia i crismi del predestinato anche: nato a Rosario, cresimato da Papa Francesco, risorto – sportivamente ma non solo – dopo l'operazione al cuore del 2014. Tre indizi che, se non proprio un prova, quantomeno lasciano una forte impressione. Diego Pablo Simeone lo ha aspettato, lo ha plasmato e ora non lo vuol mollare a costo di litigarci, lo aveva detto con chiarezza sei mesi fa: “Angel deve capire cos'è giocare a pallone e cosa giocare a calcio: più velocemente lo imparerà, più si avvicinerà ad essere un giocatore tremendo. Dovrà lottare contro se stesso, ma vincerà perché ha l'animo nobile”.
Correa ha la pasta dei potreros rosarini: tecnica funambolica, velocità e indispensabile resistenza al contatto, assenza di un ruolo prestabilito ma possibilità di interpretare tutti quelli dell'attacco. Anche, però, quel fuoco che si accende all'improvviso, nel bene come nel male. E quell'incapacità di allargare l'orizzonte, nel senso che questo ragazzo dà ancora l'impressione di pensare solo all'immediato. Il che rimane un grande limite sia a livello di gestione di se stesso nella partita, sia nella visione delle prospettive della sua carriera.
Per questo Correa non è ancora un campione fatto. Per questo è ancora in lotta con se stesso. Però si vede la nobiltà. Si vede negli atteggiamenti di un talentino di 21 anni che non cerca mai il protagonismo fittizio, l'apparenza fine a se stessa. Che non ha paura ad essere leader. Che adesso è di fronte al bivio, alla battaglia determinante: essere una stellina del pallone, o un grande del calcio.
Miguel Borja (Colombia - Atlético Nacional)
Giulio di Cienzo
Miguel Ángel Borja Hernández è il titolare della maglia numero 9 della Colombia a queste Olimpiadi e il suo nome sembra legato a un destino particolare. Infatti pur essendo un ’93, quindi convocato senza essere fuoriquota, Borja nella sua carriera ha già cambiato nove squadre diverse in tre paesi: un percorso da giocatore esperto, maturato in appena cinque anni. Nel suo curriculum anche una comparsata in Italia, nell’ultima esperienza in Serie A del Livorno, senza aver lasciato particolari ricordi.
Stiamo parlando di una punta, compatta ed esplosiva fisicamente, che si fa notare per la sua capacità di concludere a rete, tagliare e difendere la palla. Non è detto sia un calciatore bello da vedere, ma è estremamente efficace.
Più che maturare di anno in anno, Borja è esploso all’improvviso. Col Cortuluá, nel Torneo Apertura 2016, ha segnato 19 reti su 29 di squadra in 21 partite, battendo il record di Jackson Martínez. L’Atlético Nacional di Medellín lo ha allora scelto come ciliegina su una torta già ricca per dare l’assalto alla Libertadores, acquistandolo in giugno.
Borja ha ripagato la fiducia con 4 gol nelle semifinali e una, quella decisiva, nella finale di ritorno contro l’Independiente del Valle, aggiungendo la Libertadores 2016 alla Sudamericana 2015 nel suo palmares. Nel 2016 ha segnato tanti gol quanti in tutto il resto della carriera.
Se trovasse anche una medaglia olimpica diventerebbe da leggenda, e chissà che il suo nome non possa iniziare a uscire dai confini nazionali.
Gonçalo Paciência (Portogallo - Porto)
di Fabrizio Gabrielli
In un torneo come quello Olimpico, che da un punto di vista tattico è sempre stato eminentemente anarchico e volutamente DaDa, Gonçalo è una specie di Gronchi Rosa: il centravanti del Portogallo semplifica e riporta allo stadio evolutivo primitivo il ruolo del numero 9.
Prestante fisicamente, poco mobile, più che altro dominante, però anche associativo (or die trying): Gonçalo sta trascinando il suo Portogallo - sul quale nessuno si era sbilanciato prima dell’inizio del torneo, costante lusitana dell’estate 2016 - ai Quarti con la grazia e l’incedere di un carrarmato a cingoli. Con una gittata di 27 iarde, circa. E dopo aver segnato (qui sotto control'Argentina) Gonçalo ha la reazione scossa di chi ha appena sganciato una bomba su dei civili.
Una morale che il calcio portoghese può cominciare a trarre è che CR7 non durerà in eterno, e dopo di lui bisognerà provare a riabituarsi ad avere al centro dell’attacco gente come Pauleta, o come Éder, o come Gonçalo, se preferite. Nessuno ha detto che i revival siano necessariamente un male.
Cresciuto nelle giovanili del Porto (ha anche esordito con Lopetegui in panchina), Gonçalo ha trascorso l’ultima stagione con l’Académica de Coimbra, guarda il caso: proprio la squadra in cui è esploso l’eroe dell’Europeo, Éder. Il suo mito è Zlatan: non nomina neppure una volta, come punto di riferimento, il padre Domingos, che pure è stato uno degli attaccanti più iconici del Portogallo negli Anni ‘90.
Anche se sembra aver interiorizzato alla perfezione il suo più grande insegnamento: “L’attaccante deve essere egoista al momento della scelta. Prima deve tirare e fare gol, poi può chiedersi quale altra opzione aveva”. Capito, figlio mio?
Rodrigo Caio (Brasile - San Paolo)
di Dario Saltari
Devo ammettere di essere stato il primo a cadere nella facilissima tentazione di fare ironia su un nome come quello di Rodrigo Caio, in periodo di calciomercato. Il giovane brasiliano è stato infatti prima vicinissimo al Valencia (che lo ha scartato per non aver superato le visite mediche), poi accostato alla Lazio e adesso cercato dal Siviglia. Il motivo del mio interesse personale, è che secondo me si tratta di un giocatore veramente cool e se fosse andato alla Lazio, da tifoso romanista, per me sarebbe stato un bel problema (non che non abbia mai avuto problemi simili in passato...).
Rodrigo Caio è un giocatore polifunzionale con un piede destro al velluto, che sa ricoprire ruoli diversi senza perdere eccessivamente in rendimento. Al San Paolo, che oggi è ancora la sua squadra, ha fatto soprattutto il mediano e il centrale di difesa, ma a volte ha ricoperto anche il ruolo di terzino destro, dov’è diventato famoso per aver fermato Neymar ai tempi del Santos.
Si fa notare soprattutto per i suoi lanci a tagliare il campo in diagonale e per la sua capacità di laserpassing, che lo porta a trovare i compagni tra le linee con continuità. Una visione di gioco e una tecnica di passaggio da vero regista, solo 20 metri più indietro.
Non è un giocatore particolarmente veloce, tutt’altro, ma ha la tranquillità zen per gestire il possesso sotto pressione e la giusta arroganza di pensare di poter prevedere in anticipo le azioni avversarie, una caratteristica che dal mio punto di vista tutti i centrali di difesa di un certo livello dovrebbero avere. Certo, questo lo porta a prendersi dei rischi, soprattutto contro giocatori veloci ed imprevedibili, ma quando va in anticipo sull’avversario ha l’elegenza di uno schermidore.
Questa sua tendenza al mantenimento della compostezza del corpo lo ha portato anche ad abbandonare quasi del tutto la scivolata, che ha sostituito con una mossa peculiare che in Brasile chiamano o movimento do escorpião, e cioè il movimento dello scorpione. Questo consiste nel costringere l’avversario su un lato nell’uno contro uno piegandosi su un fianco, per poi catturare il pallone con l’altra gamba, allungata a mo’ di arpione. Un movimento bellissimo e rischioso, che poi forse sono la stessa cosa.
Rodrigo Caio è così. D'altronde la bellezza, in quella zona di campo, ha i suoi costi.
Serge Gnabry (Germania - Arsenal)
di Daniele V. Morrone
Forse quello che serve a Gnabry per esplodere è veramente solo fiducia. Quella che non gli vogliono proprio dare a Londra e quella che neanche al WBA è riuscito a trovare. Tony Pulis, dopo averlo voluto in prestito, l’ha fatto giocare un totale di 12 minuti in tutta la stagione prima di rispedirlo a Londra a gennaio: il problema, secondo l'allenatore, era che Gnabry non si fosse adattato a una squadra che non ha la palla per il 60% del tempo, nonostante sia un’ala veloce e verticale di grande talento, e che non era abbastanza utile in fase difensiva. Tornato a Londra ha trovato spazio solo nella squadra riserve. Nel limbo di chi a 21 anni è troppo forte per giocare con i pari età, ma ritenuto non abbastanza pronto per la prima squadra. Una situazione strana se a deciderla è chi crede tanto nel talento puro a dispetto dell’età, come Wenger, e che difficilmente aiuta lo sviluppo di un giocatore.
Il talento di Gnabry non è in discussione, viste anche le prestazioni fino ad ora nel torneo olimpico, dove il ct tedesco Hrubesch a seguito delle due partite iniziali da migliore in campo, si è permesso anche di attaccare il modo in cui Wenger lo sta gestendo all’Arsenal.
In questo torneo Gnabry è partito dalla panchina all’esordio con il Messico per poi entrare con l’uscita per infortunio di Goretzka e prendersi il palcoscenico. Schierato nel suo ruolo di esterno sinistro a piede invertito ha segnato il gol del pareggio con un bel tiro di prima dopo l’inserimento in area su di un filtrante con uno scatto bruciante. Una conclusione conclusa in modo simile a quella con cui ha pareggiato poi anche il vantaggio iniziale della Corea nella seconda partita. Dove però non aveva spazio da attaccare per far mostra della sua esplosività.
Il bel gol del pareggio non è stato l’unico della partita, però, perché Gnaby ha salvato la Germania con la punizione al 92 esimo che ha fissato il punteggio sul 3-3. Evidentemente non soddisfatto del ruolo di salvatore, ha aperto la goleada contro Fiji e ora è capocannoniere del torneo con 5 gol in 3 partite, segnando in tutte le partite giocate.
Se la Germania dovesse arrivare ad una medaglia l’uomo copertina sarà lui, che con il contratto in scadenza la prossima estate sta dando il massimo nel torneo olimpico per trovare finalmente una squadra dove poter giocare con continuità.
Thiago Maia (Brasile - Santos)
di Federico Principi
Nel Brasile Olimpico Thiago Maia è il fulcro equilibratore. La sua posizione da mediano a raccordo tra la difesa e le mezzali funge da protezione ai difensori centrali. Thiago Maia non viene incontro nella costruzione bassa e la sua posizione allontana il pressing avversario. Non è lui a dettare i tempi: nonostante una buona conduzione nello stretto Thiago Maia non possiede una gran precisione nei lanci lunghi e il Brasile preferisce che a impostare l'azione siano i centrali, assistiti dalle discese di Renato Augusto.

In fase di non possesso la sua posizione è invece sempre quella di pivot nel 4-1-4-1.

Thiago Maia colpisce per le letture senza palla. Individua l'uomo più vicino alla sua zona e lo segue a ombra quando si avvicina a sufficienza, limitandosi a chiudergli le linee di passaggio se l'uomo per lui più pericoloso non è nel suo raggio di azione. Essendo da solo in quella posizione, gli capita spesso di dover cambiare uomo di riferimento e per questo concedere un tempo di gioco, ma con la sua bruciante accelerazione recupera subito il tempo perso.
È molto forte anche negli intercetti ma deve invece migliorare nell'aggressione in avanti quando non può catturare il pallone. Si attacca troppo addosso all'avversario con il corpo, dandogli un riferimento: quest'ultimo, se riesce a girarsi, lo taglia fuori dall'azione. Per questo Thiago Maia a volte in situazioni dinamiche tende a schiacciarsi troppo sulla linea difensiva, non solo nei casi in cui con diligenza copre le uscite dalla linea di un centrale o di un terzino.
Il Chelsea lo cerca, forse Conte vorrebbe un'eccellente alternativa a Kanté, cioè un ragazzo di 19 anni estremamente modellabile. Fisicamente, Thiago Maia sembra già pronto per il calcio europeo, suo approdo naturale. Come si dice, remember the name.
Julian Brandt (Germania - Bayer Leverkusen)
di Flavio Fusi
La scorsa stagione Julian Brandt, classe 1996, ha giocato un ruolo decisivo nella rimonta Champions del Leverkusen, segnando almeno un gol o un assist (6 gol e 5 assist in totale) nelle 8 vittorie in 9 partite che hanno permesso alle aspirine di riagguantare il terzo posto.
Complessivamente, nei 1626 minuti giocati nella Bundesliga 2015/2016, ha contributo con 0,66 gol o assist, 1,9 passaggi chiave e 2,0 dribbling riusciti ogni 90 minuti. Roger Schmidt lo ha utilizzato principalmente da ala sinistra, ma in pratica gli ha fatto ricoprire tutti i ruoli dell’attacco. Esterno di centrocampo, attaccante esterno, trequartista, punta: Brandt è il calciatore offensivo 3.0.
Nelle prime tre gare della Germania nel gruppo C, il giovane del Leverkusen (che in molti volevano anche ad Euro 2016) è stato il faro di tutti gli attacchi dei tedeschi, dimostrando di essere di un’altra categoria anche rispetto ai blasonati compagni.
È alto 1,83 ma è dotato di una grande coordinazione che, nonostante le lunghe leve, gli permette di compiere cambi di direzione rapidi e precisi che incrementano esponenzialmente la sua pericolosità nei duelli individuali. Tra l’altro, a 20 anni, non ha ancora completato lo sviluppo fisico e potrebbe diventare anche più veloce ed esplosivo di quello che è già.
Possiede un’ottima tecnica individuale, che utilizza sia per combinare con i compagni, che per attaccare la porta in prima persona e mettere in mostra le sue ottime doti da finalizzatore. È un giocatore molto intelligente per la sua età e dà sempre l’impressione di sapere esattamente cosa fare dopo ogni primo controllo. Sotto la guida di Schmidt ha imparato anche a fornire un contributo difensivo importante e ha sviluppato ulteriormente il suo innato senso tattico. Questa incredibile completezza rende Brandt un giocatore realmente unico, con davanti a sé un futuro potenzialmente glorioso.
Ryu Seung-Woo (Korea del Sud - Bayer Leverkusen)
di Fabrizio Gabrielli
Dei quattro tigrotti asiatici che militano in Europa Ryu Seung-Woo è l’unico a non aver ancora esordito con la Nazionale maggiore: mentre Suk Hyun-jun, punta del Trabzonspor con un passato in Olanda, e Son Heung-min del Tottenham si possono già contare in pianta stabile nella rosa di Stielike, Ryu a Rio, al di là dei bisticci di parole, sa di dover cercare la consacrazione.
Ryu è una seconda punta naturale, per quanto risulti evidente che sia più portato al gioco sulla fascia, dotato com’è di tutti i crismi del laterale d’attacco: è funambolico, ha il cambio del ritmo in corsa nei piedi e l’occhio illuminato del passaggio finale. Pur essendo destro - quel tipo di destro che con il sinistro non scende neppure il primo gradino di casa - gioca spesso sulla fascia sinistra, interpretando al meglio la filosofia dei laterali a piede invertito, riuscendo a rendersi incisivo non solo quando affonda per il cross ma anche e soprattutto quando si avventura in percussioni a convergere, non necessariamente per puntare la porta avversaria in à solo ma anche per duettare con una propensione alla transizione offensiva decisamente ludica.
Nella gara d’esordio vinto per 8-0 contro Fiji si è scoperto anche goleador. In due delle sue tre reti, soprattutto nell’ultima, c’è la cristallizzazione di tutte le sue caratteristiche: taglio centrale a prendere in controtempo la linea difensiva avversaria, controllo di zucchero filato (ovviamente di destro), conclusione abbacinante per rapidità d’esecuzione, precisione e balistica.
Dopo un girovagare abbastanza nonsense, che lo ha visto trasferirsi in Germania dalla Corea senza aver giocato neppure un minuto di K-League e rimbalzare in prestito tra Eintracht Braunschweig e Arminia Bielefeld, quest’anno è tornato al Bayer Leverkusen, che poi è stato anche l’ultimo fatale trampolino di lancio del compagno di Nazionale Son. Se nella cultura popolare coreana esiste una qualche credenza legata al destino, Ryu deve di certo averci pensato.
Sadiq Umar (Nigeria - Roma)
di Daniele Manusia
È sbagliato dire di un calciatore, come di una qualsiasi altra persona, che è limitato. Senza intenzioni retoriche si può dire che è tutto sommato vero che lo sport insegna che i limiti sono anche una questione mentale, di immaginario, che entro una certa misura siamo noi a crearli. Dal punto di vista dello spettatore è un peccato, perché significa rinunciare a una parte della narrazione sportiva più profonda, al piacere di osservare altri esseri umani nello sforzo, appunto, di superare i propri limiti (nei casi migliori, i limiti della specie). È specialmente un peccato se il calciatore in questione è molto giovane (19 anni) e fino a 2 anni già giocava in un continente svantaggiato (anche se magari era meno svantaggiato di altri). Se poi parliamo di Umar Sadiq non ha semplicemente senso perché tutto il suo gioco, e il piacere di guardarlo giocare, sta nel ping-pong tra i suoi limiti fisici e tecnici e il talento con cui li elude.
Sadiq è alto, a seconda delle fonti, tra i 192 centimetri e 198. La posa curva con cui cammina lo fa sembrare leggermente più basso di quanto non sia, ma in campo dà comunque l’impressione di essere troppo alto per giocare a calcio. Impressione acuita dal fatto che è molto magro, apparentemente senza nessun muscolo, e non impone mai un dominio puramente fisico sul suo avversario. Il vantaggio di una struttura come la sua è che lo rende sorprendentemente veloce in progressione, cosa che gli permette di fare la differenza tra i suoi coetanei (in Primavera ha statistiche ridicole: 12 gol in 9 partite quest’anno, a cui vanno aggiunti i 5 gol in 9 partite di Youth League; nella stagione 2014/15 i gol sono stati addirittura 26 in 24 partite). Con il salire di categoria, però, e il ridursi degli spazi, difficilmente potrà sfruttare questa caratteristica, almeno non con una costanza che gli permetta di costruirci sopra una carriera.
Inoltre, Sadiq non è neanche molto tecnico. Colpisce decentemente la palla praticamente solo d’interno, con un’imprecisione che a volte fa cadere le braccia. Ogni tanto fa cose senza senso, che mostrano una scarsa conoscenza dei propri limiti (e quindi l’incapacità di superarli), e sbaglia gesti tecnici semplicissimi. Contro la Svezia, nella seconda partita di queste Olimpiadi, ha fallito un’occasione clamorosa dopo appena otto minuti.
Poco dopo, però, ha segnato il gol che ha regalato la qualificazione ai quarti della Nigeria e il primo posto matematico nel girone, nonostante la sconfitta con la Colombia nella partita successiva.
Nella Nigeria olimpica Sadiq gioca da lone striker, rimarcando il concetto di solitudine finendo spesso ad occupare l’area con il braccio alzato. Sadiq gioca un calcio semplice fatto di protezioni del pallone, appoggi ai compagni e una reattività quasi elettrica. Anche se protegge bene palla sul posto (se sa di avere l’uomo addosso, o anche un paio di uomini, se può lavorare con le anche e le braccia per tenerli a distanza) soffre tecnicamente se non ha spazio, e trasforma l’azione in un casino. Ma non è affatto rigido quando deve coordinarsi e questo significa che ha una sensibilità maggiore rispetto ai giocatori con le sue proporzioni.
Ha segnato il primo gol della competizione, dopo 6 minuti contro il Giappone. in quell’assurdo 5-4 finale a cui ha contribuito anche conquistandosi un rigore. Nell’azione del rigore, in cui cade in modo così scoordinato che sembra essersi compromesso qualche articolazione, si vede bene cosa intendo quando dico che il calcio di Sadiq si basa sulla reattività. Usa le gambe lunghe come fossero fioretti con cui toccare la pettorina dell’avversario prima che quello tocchi la sua: pur non dando mai l’impressione di aver il pallone sotto il proprio controllo, arriva con una frazione di secondo in anticipo sul suo avversario. Perde il contatto dalla palla anche quando la sta giocando lui, volontariamente o no, e il suo gioco si basa su una serie di micro-anticipi in sequenza. Se fosse un pugile diremmo che vince gli incontri in allungo.
Il suo futuro è incerto a Roma (si è parlato di Arsenal, Bologna, poi non si è parlato più di Sadiq) ma l’importante è che abbia un futuro. Mettendo tutte le sue caratteristiche insieme ne viene fuori il ritratto di un giocatore eccezionalmente strano, di cui non saprei indicare i margini di miglioramento necessari (dovrebbe aumentare peso? Rallenterebbe in quel modo? Quanto può migliorare la sua tecnica di base? Serve davvero?) ma che ogni volta che lo guardo in azione è in grado di stupirmi, coordinandosi in un modo difficile da capire anche al replay, vincendo un contrasto in cui non sembrava neanche voler entrare, colpendo la palla con una sensibilità e una tecnica che non avrei potuto anticipare.