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(di)
Daniele Manusia
Contro gli screenshot
11 nov 2022
11 nov 2022
Discutendo di immagini ferme snaturiamo il calcio.
(di)
Daniele Manusia
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Mettiamo, per ipotesi, che qualcuno non abbia visto Verona-Juventus. Lo so, è impossibile. Nonostante il fatto che da due settimane c’è praticamente una partita di calcio al giorno immagino che nessuno avesse di meglio da fare il giovedì alle diciotto e trenta. Ma immaginiamo che qualcuno se la sia persa e che, tornando a casa e scrollando il proprio feed, si trovasse di fronte a questo screenshot, postato persino dall’account ufficiale dell’Hellas Verona.

Che penserebbe? Scandoloso, no? ___STEADY_PAYWALL___ Gli basterebbe quello e il risultato finale (1-0 per la Juventus) per pensare che sia andato in scena un altro scandalo arbitrale. D’altra parte se già dai tempi della moviola episodi di questo tipo erano diventati parte centrale del nostro modo di discutere e analizzare il calcio, persino da prima che ci fossero i social network, nelle trasmissioni domenicali, da quando nelle partite interviene il VAR è come se la nostra passione per il rallentamento delle immagini fino a farle fermare, congelarle, nel momento esatto in cui si compie il misfatto, sia stata deificata. Il VAR come entità trascendente che interviene anche quando non ne conosciamo la ragione. Il VAR che ci fa scoprire peccati che non avevamo visto in tempo reale, come il protagonista di Blow Up che si accorge ingrandendo un’immagine innocente scattata in un parco che, sullo sfondo, sgranata, pixelata diremmo oggi, c’è un corpo senza vita. Il VAR che, quindi, ingrandendo a sufficienza ogni azione in area di rigore può trovarci dentro il cadavere di un rigore. E però, mettiamo che quella stessa persona che non ha visto Verona-Juventus trovi il tempo di vedere quantomeno gli highlights, guardando le immagini a velocità naturale si accorgerebbe che la situazione è caotica: Veloso calcia da fuori area, ed è un missile, Danilo prova a pararlo con il piede sinistro ma non ci arriva, dietro di lui Milik para con il piatto destro e la palla sbatte sulla mano di Danilo che sta ancora cadendo a terra.

Ok questo fa ridere.

Si può protestare per un fallo di mano del genere? Certo che si può protestare. È uno di quegli episodi non del tutto oggettivi di cui, volendo, si può discutere pressoché all’infinito. La mano di Danilo è molto staccata dal corpo, al tempo stesso è impossibile cadere a terra tenendo le mani dietro la schiena, al tempo stesso i calciatori hanno imparato a servirsi da bere e fare colazione con le mani dietro la schiena proprio per paura che gli venga fischiato un rigore del genere. E di rigori, ne sono stati fischiati persino di peggiori di questo. La mia opinione, se proprio ci tenete, è che questo sarebbe stato uno di quei rigori che puniscono il semplice fatto che i calciatori abbiano ancora le braccia. Uno di quei rigori fischiati in un contesto regolamentare che tende a punire ogni minimo contatto con la mano. Ed è interessante che proprio Danilo sia stato vittima di un fischio simile neanche una settimana fa, quando contro l’Inter gli è stato annullato un gol perché calciando al volo ha mandato la palla a sbattere contro la propria mano incastrata sotto al braccio di De Vrij. Un fallo degno di Antonioni, che al VAR hanno dovuto guardare da inquadrature diverse per scovare, discutendo come teologi sull’interpretazione delle sacre scritture regolamentari: cosa dice dio di un tocco di mano dell’attaccante che però ha la mano bloccata dal difensore? Risposta: dio dice che quest’anno non è possibile convalidare in nessun caso un gol in cui ci sia stato un tocco di mano, anche involontario come questo. Stesso discorso per lo screenshot dell’espulsione di Milinkovic-Savic contro la Salernitana in cui lo si vede schiacciare il piede dell’avversario. A velocità naturale non solo Milinkovic-Savic era in possesso del pallone e ci arriva prima dell’avversario, ma il suo è anche un movimento composto, giustificato al passaggio di esterno che esegue verso un compagno.

Il problema, quindi, non è solo nell'utilizzo degli screenshot da parte degli spettatori, ma che il VAR stesso funziona rallentando, facendo evaporare la fluidità del gioco fino a ridurla a un fermo immagine preciso. Il problema è che la cultura calcistica sta convergendo verso questa estrema semplificazione e che il lavoro arbitrale ha finito per coincidere con la discussione sociale e con il discorso mediatico. E pensate che strano paradosso che il più grande errore di questa stagione - il fuorigioco di Milik alla fine della partita tra Juve e Salernitana - sia dovuto all’assenza delle immagini in cui Candreva tiene tutti in gioco. Come se la presenza fisica di un arbitro e un guardalinee non fosse davvero più sufficiente ormai. Il problema non sono i singoli episodi, quanto la cultura dello screenshot. Che viene da una parte dal problema dei diritti delle immagini video, per cui è difficile condividere video anche brevi, anche a scopo didattico, di partite di calcio. Il che, pur comprendendo che il calcio è anche un prodotto commerciale, non aiuta a creare una cultura sana su uno sport così complesso e ricco di episodi. Dall’altra però, viene da una passione investigativa che con il calcio ha poco a che fare. Almeno con il 99% del calcio, che poi sarebbe quello giocato su campi senza telecamere. Quando giocavo in Promozione mi chiedevo cosa sarebbe successo se avessimo avuto a disposizione il replay, noi e gli avversari. Oggi penso che probabilmente ci saremmo picchiati con maggiore violenza. L’essenza del calcio è nello scorrere del tempo. Nell’impossibilità - contraddetta di fatto dal VAR - di interrompere il flusso della partita. Questa era anche la principale difficoltà di chi arbitrava, quello che lo avvicinava alle difficoltà che provavano i calciatori in campo: dover prendere una decisione in quel momento, con il sudore che gli aveva appannato la vista e la pressione dei giocatori che gli gridano in faccia. D’altra parte, appunto, i calciatori non possono mettere pausa, guardare come sono messi i compagni in campo e poi decidere cosa fare con la palla. Non voglio dire che le cose debbano tornare come erano, ma soprattutto non voglio restringere il discorso alle questioni arbitrali. Prendiamo il caso dell’errore di Tammy Abraham di qualche settimana fa, nella partita tra Roma e Verona.Lo screenshot che è circolato è questo:

Abraham sembra pronto a tirare, quasi di fronte alla porta vuota. Nella realtà, invece, in quel momento esatto Abraham stava correndo dietro alla palla che si era allungato, cercando di tornare composto dove una specie di saltello con cui aveva evitato il contatto con il portiere. Quando Abraham riesce a tirare ha un angolo più stretto, la porta è sempre vuota ma lui arriva al tiro scoordinato, con il passo lungo. Capiamoci: resta un errore clamoroso e forse persino ridicolo, ma è dovuto ad alcune ragioni chiare, vedendo l’azione. All’angolo di corsa di Abraham, verso l’esterno, all’uscita del portiere gli fa allungare la palla, alla difficoltà con cui Abraham controlla la palla in corsa e al modo goffo con cui si coordina. Questo insieme di cose quello screenshot non le racconta e l'errore resta semplicemente incomprensibile. Può sembrare una sottigliezza, ma fa tutta la differenza del mondo tra una narrazione in cui alcuni attaccanti - non solo Abraham, Dzeko o Timo Werner ma anche Darwin Nunez e Haaland ci sono passati - sbagliano gol assurdi e una narrazione in cui giocare a calcio è difficile persino per attaccanti di Serie A e Premier League, persino nei suoi aspetti apparentemente più semplici e scontati.Insomma, ci allontaniamo ancora una volta dall’essenza del calcio giocato, a favore di una cultura sensazionalistica che vuole parlare alla parte peggiore di noi, quella più cattiva e giustizialista, pronta a condannare chiunque con un numero anche insufficiente di prove (una cultura che poi finisce con le Iene che inseguono persone per le strade delle nostre città). Ma è anche la parte più infantile. Quella che vuole credere che in fondo Haaland non è poi così più forte di nostro cugino che ha fatto le giovanili in qualche club importante. Mi viene in mente la storia della celebre foto di Maradona contro l’intera difesa del Belgio, in cui Maradona sembra dover affrontare sei avversari l’uno dopo l’altro, come in un film d’azione o in un videogioco.In realtà - il video lo trovate facilmente e ci sono stati scritti molti pezzi di debunk sopra - Maradona si era messo al lato della barriera su una punizione a trequarti di campo e quando il compagno gli ha passato la palla il muro belga si è girato verso di lui. La foto è scattata da dietro Maradona e non si capisce che la porta del Belgio in realtà non è dietro i difensori ma a destra. E questo fa tutta la differenza del mondo.Resta una bella foto. Così come quello di Abraham resta un errore incredibile. Così come (quasi) tutti gli episodi arbitrali che finiscono nel nostro feed sono complessi e discutibili. Per questo, in teoria, c’è un solo arbitro: perché l’applicazione del regolamento - che comunque cambia in continuazione, proprio perché non è stato scolpito nella pietra - è spesso una questione anche soggettiva. La cultura dello screenshot, sorella della cultura degli highlights (per cui giocatori vengono analizzati fuori dal contesto della partita, o delle partite di un determinato periodo della loro carriera, per trarre giudizi sempre definitivi e molto trancianti), semplifica il calcio fino a snaturarlo. È la stessa cultura in cui i giocatori vengono giudicati dalla faccia che hanno quando entrano in campo - è più una faccia da “adesso spacco la partita” o una faccia da “domattina devo ricordarmi di pagare l’acconto delle imposte”? - in cui basta un controllo sbagliato, un tiro calciato sulle gambe del portiere anziché sopra le gambe del portiere, per essere classificato, catalogato, giudicato una volta e per tutte. Ma siamo sicuri che questa sia davvero cultura?

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