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Insomma, la VAR è cambiata davvero?
20 set 2018
20 set 2018
Secondo molti una modifica regolamentare starebbe impedendo agli arbitri di ricorrere ai VAR come nella passata stagione.
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La Serie A si è di nuovo impantanata in una pozza di polemiche arbitrali, in questo caso nella loro versione 2.0 che riguarda l’intervento più o meno invasivo dei VAR nelle partite. Era già successo l’anno scorso, ad inizio stagione ad esempio, quando probabilmente si faticava ancora a digerire la grossa novità introdotta, ma anche in diverse occasioni più avanti, come nel caso controverso di Lazio-Torino, e sta succedendo oggi più o meno con gli stessi contenuti, anche se in una nuova forma.

L’attuale pomo della discordia riguarda la decisione da parte dell’IFAB (The International Football Association Board, l’organo indipendente che decide sulle regole del calcio) ad inizio marzo di quest’anno di modificare la locuzione con cui descrivere l’eventualità in cui i VAR possono assistere l’arbitro con la revisione video, passando da “clear error” (chiaro errore, com’era scritto nelle linee guida precedenti all’implementazione ufficiale nelle leggi del gioco) a “clear and obvious error”, aggiungendo cioè che l’errore debba essere non solo chiaro ma anche evidente, anche se sempre per le quattro categorie conosciute: rigori, assegnazione o annullamento di un gol, rossi diretti e casi di scambi di identità per i cartellini.

È un’aggiunta di difficile interpretazione che deve ancora essere chiarita ufficialmente, ma anche l’anno scorso si era discusso su come si potesse riconoscere sistematicamente un errore “chiaro” e distinguerlo dagli errori “non chiari”. La differenza l’ha fatta soprattutto buona parte della stampa e dell’opinione pubblica italiana, che non ci ha pensato due volte a puntare il dito sul secondo aggettivo, “evidente”, per dare un senso agli errori e ai veleni accumulati in queste prime quattro giornate.

La teoria di un VAR ridotto

La tesi, in realtà lanciata da pochissime fonti prima dell’inizio del campionato e diffusasi a macchia d’olio con l’accumularsi degli episodi, è che il rafforzamento semantico deciso dall’IFAB abbia ristretto i casi in cui i VAR possono assistere gli arbitri con la video assistenza.

La più autorevole e seguita è quella dell’ex arbitro Luca Marelli, secondo cui questa modifica avrebbe portato a «meno episodi rivisti col VAR, soprattutto nelle aree di rigore», come quelli che l’anno scorso portarono ai discussissimi rigori assegnati a Crotone e Fiorentina contro Cagliari e Lazio, mentre non avrebbe toccato le altre fattispecie (a parte i casi in cui applicare l’espulsione diretta, che secondo Marelli non è ancora chiaro se rientrino nella modifica).

Aiuta in questo contesto ricordare le parole dei protagonisti dopo quelle partite. Zenga, allora allenatore del Crotone, commentò così la partita contro il Cagliari, in cui gli fu annullato un gol dopo l’intervento del VAR per un fuorigioco poi rivelatosi inesistente: «Onestamente viene un po' da ridere perché credo che l'arbitro si sia confuso, e un assistente non può commettere un errore così grossolano nel calcio professionistico. Forse hanno cambiato le regole».

Dopo la partita pareggiata in casa con la Fiorentina, invece, il DS della Lazio Tare entrò in campo per parlare animatamente con l’arbitro Massa e nel dopo-partita Inzaghi dichiarò: «C'è molta amarezza: prendere un rigore così, che rivedi venti volte senza capire il motivo per cui è stato fischiato, è un qualcosa che lascia l'amaro in bocca».

Il giorno dopo l’account Twitter ufficiale della Lazio pubblicò dei brevi estratti delle linee guida IFAB sull’intervento dei VAR, aggiungendo la chiosa maliziosa “What else?”.

Oggi, però, di tutto questo non è rimasto traccia e l’aggiunta “obvious” è largamente considerata l’origine di tutti i mali della classe arbitrale italiana, che non potrebbe più utilizzare l’aiuto dei VAR come prima o, addirittura secondo alcuni, si starebbe ribellando in maniera passivo-aggressiva all’utilizzo della tecnologia nel campionato italiano.

La convinzione, ad esempio, che nell’ultima giornata di Serie A durante Inter-Parma, l’arbitro non abbia potuto fare affidamento sull’aiuto dei VAR in tutti gli episodi contestati - il rosso diretto non dato a Gagliardini e Stulac, il rigore non assegnato all’Inter per il tocco di mano di Dimarco - è diffusa e comunemente accettata.

A questo punto però dobbiamo chiederci: siamo sicuri sia davvero così? In un dibattito pubblico sempre molto polarizzato e violento come quello italiano è quanto meno salutare conservare il dubbio, soprattutto in mancanza di prove sufficienti.

Bisogna dire innanzitutto che la modifica dell’IFAB è stata già applicata prima dell’inizio della Serie A, durante il Mondiale russo, dove non ci cono state polemiche rilevanti. È vero che un Mondiale rappresenta un campione limitato di partite, statisticamente poco rilevante, ma resta il fatto che nessuno si è lamentato di una eventuale differenza interpretativa rispetto all’uso che del VAR era stato fatto nella precedente stagione di Serie A (abbiamo contattato telefonicamente Roberto Rosetti, presidente della Commissione Arbitri dell’UEFA e responsabile del progetto VAR per il Mondiale russo, per chiedergli se la modifica dell’IFAB avesse limitato l’operato degli arbitri durante Russia 2018, ma l’ex arbitro italiano non ha voluto rilasciare dichiarazioni a riguardo).

Marcello Nicchi, presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, in un'intervista alla Gazzetta dello Sport successiva a Inter-Parma, ha detto: «C’è un protocollo chiaro, e non è cambiato nulla dallo scorso anno». Poi ha aggiunto: «Se gli arbitri lo seguono è ok, se sbagliano non seguendolo è un errore. Il VAR ha indicazioni chiare su come essere utilizzato» (abbiamo anche contattato l’AIA via mail per avere una conferma ufficiale dell’organizzazione riguardo questa linea, ma non abbiamo ricevuto una risposta al riguardo prima della pubblicazione di questo articolo).

Quello che possiamo fare, quindi, è analizzare gli episodi contestati per cercare di capire quanto la teoria secondo cui gli arbitri non possano più fare affidamento sui VAR nella maggior parte dei casi sia suffragata dai fatti.

Gli episodi

Partiamo proprio da Inter-Parma. Non sembra in effetti che l’arbitro abbia discusso con i VAR degli interventi di Gagliardini e Stulac (non fischiato il primo, sanzionato con il giallo il secondo), ma in questo caso non bisogna dimenticare che gli arbitri all’assistenza video sarebbero potuti intervenire solo se avessero giudicato quei falli da espulsione diretta. E che non abbiano giudicato nessuno dei due interventi come tali ci sembra un’ipotesi plausibile al di là del passaggio da “chiaro errore” a “chiaro ed evidente errore”.

Impossibile non notare, invece, che, dopo il famoso tocco di mano di Dimarco, a palla ferma, l’arbitro si porti la mano all’auricolare (il gesto con cui gli arbitri indicano a giocatori e pubblico che sta parlando con i VAR) per poi dare l’ok per continuare il gioco. In questo caso, cioè, sembra che un consulto ci sia stato e che sia stata presa una decisione (che, come tutte le decisioni, può essere erronea).

Più chiaramente: anche a me, e a tutte le persone con cui ne ho parlato, sembra chiaro (ed evidente) che andasse fischiato il rigore a Di Marco ed è difficile sapere come siano andate esattamente le cose. Non c’è ragione di pensare che c’entri qualcosa il regolamento, però, piuttosto che l’interpretazione soggettiva. Lo stesso Marelli che ritiene sia il fallo di Gagliardini che quello di Stulac senza dubbio alcuno da rosso e ritiene che le ragioni vadano ricercate in quella che definisce la “linea imposta dal IFAB”, nel caso del fallo di Di Marco dice che “il non intervento del VAR Rocchi è un errore”, sottintendo pur con la modifica al regolamento.

È interessante ricordare, inoltre, che un caso meno luminoso di quello successo durante Inter-Parma, e cioè il rigore assegnato al Sassuolo negli ultimi secondi della partita contro il Cagliari, sia stato assegnato dopo l’intervento dei VAR nella seconda giornata di campionato. In quel caso l’arbitro, dopo il tocco ravvicinato di Romagna con il braccio (molto più vicino al corpo rispetto a quello di Dimarco) a seguito del tiro tentato da Babacar, ha assegnato il rigore dopo essere stato richiamato dai VAR e averlo rivisto sul monitor a bordo campo.

Un altro episodio molto contestato è stato il fallo al limite dell’area assegnato all’Atalanta alla fine della partita con la SPAL, per un intervento di Petagna su Ilicic, secondo molti commesso all’interno dell’area di rigore. Anche in quel caso l’arbitro ha parlato a lungo con i VAR prima di confermare la sua decisione, come prescrivono le stesse regole dell’IFAB che per le decisioni cosiddette “fattuali” non consiglia il controllo delle immagini a bordo campo (al contrario di quelle “soggettive” come ad esempio l’intensità di un fallo da rigore).

Anche il gol annullato a Berenguer contro l’Udinese, di cui il Torino si è lamentato molto, non si può ricondurre alla disputa sul cambio regolamentare dell’IFAB. L’arbitro, fischiando prima che il pallone entri in porta, infatti, ha escluso a priori l’intervento dei VAR, che possono attivarsi solo per le decisioni riguardanti la convalida o l’annullamento di un gol.

Questi sono solo alcuni episodi contestati ma, insomma, sembrano indicare che il problema non sia il cambio regolamentare dell’IFAB, già difficilmente interpretabile di per sé. Certo, ci sono le parole, comunque vaghe, del designatore arbitrale della Serie A, Nicola Rizzoli, che a inizio giugno aveva dichiarato di voler riportare l’utilizzo della revisione video «ai casi più eclatanti».

Ma per adesso è davvero difficile ricondurre queste parole ad un cambiamento radicale, così come viene detto in questi giorni, nell’intervento dei VAR nelle partite di Serie A. Stupisce, anzi, che un’interpretazione così netta si sia diffusa in maniera repentina su un argomento da veri e propri giuristi, come l’aggiunta di una singola parola - “obvius” - in un regolamento di diverse pagine. L’impressione è che se da una parte sarebbe utile un qualche chiarimento ufficiale, dall’altra che ci si trovi di fronte a una polemica vecchia vestita con abiti nuovi, basandosi su dei presupposti di cui non possiamo essere così certi.

Non sappiamo come andrà a finire questa storia e magari arriveremo davvero al punto in cui si lascerà votare il pubblico sui falli da rigore. L’aspetto più paradossale della vicenda è che mentre lo scorso anno, di fronte ai primi errori ed episodi problematici, qualcuno ha proposto di fare a meno dei VAR, quest’anno si sta chiedendo un maggiore utilizzo del VAR. Ne sta uscendo rafforzata l’idea, insomma, che i VAR siano una tecnologia che permetta di eliminare del tutto gli errori arbitrali, anche sugli episodi più controversi come i rigori e le espulsioni (per quanto riguarda il fuorigioco, invece, da quest’anno c’è effettivamente una tecnologia 3D che elimina di fatto il margine di errore).

Un’idea non solo poco razionale - i VAR di fatto sono sempre e solo degli assistenti che ricontrollano le scelte dell’arbitro in video, e come tali possono fare valutazioni soggettive controverse o incorrere in errori loro stessi – ma anche smentita empiricamente: proprio un’idea di questo tipo aveva trascinato la Bundesliga nel caos solo l’anno scorso.

Accettare gli errori di arbitri e assistenti ovviamente non implica il voler tornare indietro ad un mondo senza VAR, che continuano ad aiutare gli arbitri a prendere decisioni più accurate, ma rimane comunque l'unica via, al di là di come viene applicata la revisione video, per godersi il calcio in maniera sana. Potrebbe anche darsi, però, che ci piace talmente tanto litigare sugli arbitri che abbiamo bisogno ogni anno di un nuovo pretesto, per rimanere al passo con i tempi.

edit: l'AIA ha risposto alla mail poco dopo la pubblicazione di questo articolo, rimandando la risposta ufficiale all'intervento su questo tema di Rizzoli alla trasmissione RAI "Domenica Sportiva" di questo weekend.

edit del 24/09/2018: dopo Nicchi, anche Rizzoli ha smentito che il protocollo per l'applicazione della revisione video sia cambiato rispetto alla passata stagione.

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