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Dario Pergolizzi
L'affare van Dijk
28 mar 2019
28 mar 2019
Un anno fa la cifra spesa dal Liverpool sembrava esagerata, oggi invece si dimostra un investimento proficuo.
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Dario Pergolizzi
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La terza puntata di “All or Nothing: Manchester City”, la docu-serie di Amazon che racconta la storica cavalcata 2017/18 della squadra di Guardiola, si apre con un fitto dibattito tra Txiki Begiristain (direttore sportivo) e i suoi collaboratori, relativo all’imminente finestra di calciomercato invernale. Alle prese con una preoccupante emergenza infortuni in difesa, il nome del candidato principale è quello di Virgil van Dijk, proveniente da un’ottima esperienza al Southampton. Le richieste dei Saints , però, sono ritenute eccessive dai dirigenti del City

che decidono di far saltare la trattativa finendo poi per acquistare Aymeric Laporte. La rinuncia del City spiana la strada al Liverpool di Klopp, che cercava un modo per sigillare la sua linea difensiva, apparsa fin troppo spesso perforabile e in difficoltà nel reggere i ritmi e le distanze imposte dalla filosofia dell’allenatore tedesco.

 

Le qualità dell’olandese sono state ritenute talmente adatte alle impellenti necessità dei Reds che arrivano a sborsare un importo record per un difensore centrale, pari a circa 80 milioni di euro. L’operazione viene accolta, in Inghilterra e all’estero, con grande scetticismo, sia per una scarsa fiducia nelle potenzialità del soggetto, sia per i consueti malumori verso il rigonfiamento dei prezzi di mercato.

 

Il trasferimento si rivela un affare per la squadra e per il giocatore, in realtà, con i dubbi che si sono dissipati rapidamente grazie all’entusiasmante percorso in Champions e alla stagione corrente: grazie a van Dijk il Liverpool è passato dall’essere una squadra discontinua nei risultati e con carenze strutturali evidenti, all’avere una delle migliori fasi difensive d’Europa; e a poco più di un anno solare dal suo acquisto, van Dijk è ritenuto quasi universalmente tra migliori in assoluto nel suo ruolo, e nel frattempo è anche divenuto anche capitano della sua nazionale.

 



Il modello di gioco di Jurgen Klopp, come ben noto orientato in maniera inequivocabile alla verticalità, al gegenpressing, alla proiezione offensiva repentina e con più uomini possibile, richiedeva un centrale difensivo in grado di restare spesso come ultimo uomo a molti metri di distanza dal portiere, per questo esposto al rischio delle ripartenze avversarie e necessariamente capace di coprire rapidamente grandi distanze. Ma anche di temporeggiare per rallentare l’offensiva, o scivolare in aggressione sia frontale che laterale, per coprire lo sbilanciamento offensivo dei terzini o dei mediani. Inoltre, serviva che fosse sufficientemente bravo nei duelli aerei, per poter raccogliere i lanci forzati dei difensori avversari, incentivati dagli asfissianti dispositivi di pressione kloppiani.

 

Van Dijk racchiude in sé tutte queste qualità, con una peculiarità: la stazza e il portamento potrebbero suggerire l’idea di un difensore aggressivo, prettamente fisico, propenso a utilizzare prevalentemente il vantaggio della corporatura cercando il contatto, van Dijk è invece un raffinato lettore dei tempi, che dà il suo meglio sull’anticipo, unendo capacità di interpretazione delle traiettorie, di accelerazione (anche su distanze medio-lunghe) e pulizia di intervento. Il che gli consente di beneficiare di partner più volti all’aggressione anticipata, come Gomez o Matip, che a loro volta trovano fiducia e maggior efficacia grazie alle sue abilità di copertura.

 

Avere un difensore con queste caratteristiche ha consentito al Liverpool di poter sfruttare in maniera più evidente le proiezioni frontali dei terzini, che oggi si alzano in fase di possesso quasi simmetricamente per dare ampiezza alla manovra e consentire agli attaccanti esterni di potersi stringere verso il centro; e di poter accorciare rapidamente verso il portatore di palla avversario: la palla in posizione laterale è uno degli inneschi per il pressing più frequenti nel gioco dei Reds.

 

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Sebbene non sia il suo tratto più distintivo, van Dijk resta un difensore più che affidabile anche in marcatura, nel controllo fisico dell’avversario. Forse le uniche sbavature le compie nella gestione degli smarcamenti sul suo “lato cieco”, quelle situazioni in cui occorre adattarsi immediatamente allo spostamento dell’avversario alle proprie spalle per mantenerne il controllo, senza perdere il contatto visivo col pallone. Si tratta, comunque, di una delle situazioni più complicate da gestire per un difensore; anche i migliori degli ultimi anni hanno acquisito la padronanza assoluta di quei momenti solo in età più matura.

 

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Nella slide sopra possiamo notare la consapevolezza di van Dijk in una situazione abbastanza complicata: il Napoli attacca in parità numerica e sposta il possesso verso l’esterno; Alexander-Arnold e Gomez sono orientati verso il pallone, e quest’ultimo non controlla l’inserimento di Insigne. Van Dijk, dopo aver controllato più volte ruotando la testa sia l’avversario di fronte che quello dietro, si accorge di dover accorciare su Insigne per impedirgli il tiro, e riesce a disturbarlo efficacemente.

 

Quindi, Virgil abbina a qualità straordinarie lontane dall’area di rigore, e in particolare in recupero e temporeggiamento, una stazza e una tecnica difensiva che lo rendono dominante anche in area di rigore.

 



Oltre alla ribalta internazionale e tutto ciò che ne consegue in termini di abitudine a performare in contesti dall’alto coefficiente di stress, con margini di errore sempre più esigui, giocare per il Liverpool ha consentito a van Dijk di far emergere alcuni aspetti rimasti sommersi nelle stagioni precedenti, in cui si era distinto più per le sue caratteristiche prettamente difensive che per una completezza generale del profilo.

 

I Reds, fino alla scorsa stagione, non avevano particolarmente qualità nella costruzione del gioco dal basso, pur applicando un gioco posizionale fluido e scaglionando bene i suoi effettivi. La ragione era strutturale: il modo in cui Klopp intende la fase offensiva non è crea i presupposti per un’occupazione razionale degli spazi che crei, con la calma necessaria, la superiorità posizionale dietro le linee di pressione, anzi è un gioco offensivo prevalentemente orientato a cogliere l’avversario di sorpresa con repentine verticalizzazioni o attacchi alle seconde palle.

 

Questo modello di gioco, oltre che costringere tutti i suoi interpreti ad assumersi il rischio di sbagliare parecchie verticalizzazioni, è diventato così efficace che ha spinto gli avversari ad adottare come contromisura un atteggiamento remissivo. Così il Liverpool si è trovato costretto a cercare una maggiore complessità nelle fasi di attacco posizionale, coinvolgendo anche i difensori centrali.

 

Non è un caso che oggi sia Matip (66.9 p90) che van Dijk (66.5 p90) siano nella top 5 dei difensori centrali di Premier per passaggi corti completati (dietro solo a Laporte, Stones e Rudiger, due difensori di Guardiola e uno di Sarri, allenatori che enfatizzano ancor di più questo aspetto). Sebbene il loro apporto non sia particolarmente illuminante in termini di regia, appare comunque chiaro un grande livello di responsabilizzazione ed efficacia.

 

Della coppia del Liverpool, però, solo van Dijk è tra i migliori difensori del campionato anche per quanto riguarda i passaggi lunghi completati, piazzandosi alla sesta posizione con 5.7 p90. Questo consente alla sua squadra di avere una risorsa temibile anche nel pescare lo smarcamento più distante, tra le linee o in profondità, e di conseguenza di essere più imprevedibile nello sviluppo della manovra.

 

Un esempio lampante delle sue qualità è arrivato nell’ottavo di finale di ritorno contro il Bayern di Monaco, poche settimane fa, con il lancio di van Dijk che ha premiato il bel taglio di Sadio Mané tra terzino e centrale difensivo avversari.

 



Da questa inquadratura possiamo apprezzare la curva pazzesca del lancio verso Mané contro il Bayern Monaco. La lettura della situazione, la rapidità di pensiero, la fluidità del movimento.


 

Per uno spettatore occasionale, quello potrebbe sembrare il “lancio della vita”, ma in realtà è

vedere il centrale olandese tentare queste giocate complesse. Una peculiarità di van Dijk, anzi, è proprio quella di riuscire a trasformare una spazzata, o un intervento in tackle, in una verticalizzazione (corta o lunga). Un’altra abilità particolarmente adatta alle esigenze tattiche del Liverpool, e che probabilmente, anzi, si è ulteriormente sviluppata nel contesto di gioco di Klopp, con i suoi chiari riferimenti offensivi avanzati per la transizione offensiva.

 


In questa breve intervista, van Dijk espone una considerazione eloquente sul modo in cui interpreta il ruolo: “A volte hai bisogno di rallentare il gioco e a volte di accelerarlo; il modo in cui giochiamo può portare al caos, ci sono tante ripartenze…credo che una squadra così abbia bisogno di qualcuno in grado di capire come gestire i ritmi”.


 

Come detto, van Dijk da quasi un anno è anche capitano della nazionale olandese, che sta vivendo forse il miglior momento dopo un lustro deludente. I funzionamenti difensivi dell’Olanda sono abbastanza differenti da quelli del Liverpool, oltre che meno efficaci, e spesso van Dijk è costretto a dover rimediare a scalate errate, fuorigioco ritardati o mancati raddoppi dei compagni. In quel contesto, che mette più alla prova le sue doti di lettura della singola azione, si è finora destreggiato egregiamente, nonostante qualche comprensibile imperfezione dovuta alla minore intesa coi compagni o al confronto diretto contro avversari che possano mettere in risalto le suddette mancanze della linea difensiva, come ad esempio è capitato nella sconfitta per 2-3 contro la Germania.

 

Ma le capacità di van Dijk sono un valore aggiunto inestimabile per i meccanismi della nazionale, e la speranza degli olandesi è che l’intesa con De Ligt possa aumentare ulteriormente, affinché i due formino una delle migliori coppie di centrali di tutto il panorama internazionale.

 

Gli spettatori, nel calcio contemporaneo, cercano spesso di tracciare una la linea netta tra le responsabilità e i meriti individuali e quelli collettivi, come se fosse facilmente individuabile. In realtà, in quest’epoca calcistica distinguere tra prestazione individuale e collettiva ha forse un valore meno significativo rispetto al passato, e persino l’attribuzione dell’errore o del merito per una singola situazione di gioco è spesso complicata da identificare.

 

L’efficacia di una squadra passa inequivocabilmente dalle doti dei calciatori, dalle relazioni tecniche e tattiche interne degli stessi, e dall’abilità dell’allenatore a cogliere e sfruttare le qualità dei singoli in modo da farne beneficiare i singoli stessi, aumentandone il rendimento individuale e quello collettivo attraverso un legame covalente.

 

Il percorso di van Dijk e del Liverpool è finora un esempio di questo equilibrio: un singolo giocatore, acquistato in un momento di estrema necessità e per un prezzo fuori dal normale, moltiplica il suo rendimento in maniera esponenziale grazie al contesto; il medesimo contesto riceve dal singolo una spinta clamorosa che migliora il nitidamente rendimento collettivo.

 

Così, succede che una squadra ritenuta fragile difensivamente diventi una delle più invalicabili d’Europa, pur adottando un approccio apparentemente spregiudicato e ad alto rischio. Del resto,

che ha paragonato van Dijk a una

: «Non hai bisogno di parcheggiare l’autobus in area di rigore, se possiedi un SUV».

 

 

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