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Federico Principi
Valentino Rossi, pura gioia
10 ago 2021
10 ago 2021
Anche nell'addio alle corse ci ha mostrato la sua grandezza.
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Federico Principi
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Riggan Thomson, il protagonista del film

interpretato da Michael Keaton è un attore in crisi di popolarità. Ossessionato dal rilancio della propria carriera e dalla volontà di darle una venatura ancora più artistica, si va a impelagare nella produzione e nella direzione di uno spettacolo teatrale che lo prosciugherà a livello economico, emotivo e personale.

 

Nel film si ragiona prevalentemente sulla megalomania e sulla volontà di affermazione degli artisti che in qualche modo, inseriti nella logica dello

, sono costretti a cedere gran parte della propria identità più profonda in nome del raggiungimento e del mantenimento di uno status di successo. Tutto si dipana in un lunghissimo conflitto interiore, molto più aspro ed esplicitamente definito rispetto, ad esempio, a quello messo in scena per il celebre personaggio del regista Guido Anselmi in

di Fellini.

 

Il cinema, per Riggan Thomson ma anche per lo stesso Guido Anselmi, si trasforma da obiettivo di piacere allo strumento attraverso il quale soddisfare le proprie ambizioni smisurate di riconoscimento materiale del proprio ego. È quello che accade a molti sportivi particolarmente ossessionati dai record, a tal punto da soffocare la dimensione ludica dello sport. Quella sorgente in cui andrebbe sempre ricercato lo scopo primordiale attraverso il quale uno sportivo decide di fare della sua disciplina una ragione di vita, prima ancora che una professione.

 

Nella sua conferenza stampa di annuncio dell’addio alle moto a fine stagione, Valentino Rossi ha dimostrato ancora una volta di essere un uomo che vive di passione e divertimento, indipendentemente dal riconoscimento dell’opinione pubblica. Quando una giornalista gli ha chiesto cosa gli mancherà di più di quello che ha fatto nella sua vita sportiva finora, Valentino non ha menzionato le vittorie, i titoli, il raggiungimento dei record, ma «gli allenamenti tra un Gran Premio e l’altro: mi piacciono tanto e mi diverto davvero molto nel farli. E poi quelle sensazioni della domenica mattina, delle due ore prima della gara: in quei momenti non mi sento sicuro, confortevole, ma più spaventato. Ma è comunque un’emozione forte che mi mancherà».

 

Valentino è riuscito dove il Riggan Thomson di

aveva invece fallito: nel non perdere mai di vista il fascino del processo, nel non sostituire completamente lo strumento con l’obiettivo nel proprio focus mentale. Al centro dei pensieri di Valentino è sempre rimasta la

e solo successivamente il

. E Rossi è arrivato al momento del suo addio con una tangibile serenità: con quel piacere della rinuncia che deriva, nel suo caso, dalla profonda consapevolezza di se stesso, delle sue priorità, dei reali motivi che lo hanno spinto così avanti a continuare a correre e degli altri che ora gli suggeriscono che è arrivato il momento di chiudere.

 

D’altronde forse solo Valentino Rossi, a 42 anni, con il ritiro già fissato a fine stagione e nel mezzo di quella che di gran lunga è la peggiore annata della carriera, potrebbe commentare il suo tredicesimo posto al Gran Premio di Stiria, l’ultimo disputato, dicendo di non riuscire ancora «a usare bene il dispositivo anteriore, che richiede una differente messa a punto elettronica: ci stiamo lavorando». Con la lungimiranza che solitamente ci aspetteremmo da un pilota che guarda alla propria crescita futura.

 



Come gli sportivi più ossessionati dal riconoscimento esterno – rispetto a quelli più appassionati – vivono diversamente la loro routine di avvicinamento alle competizioni, così altrettanto diverso è il loro modo di affrontare la fine della loro storia. Qualche tempo fa Ion Tiriac disse che Serena Williams si sarebbe già dovuta ritirare

. Una prospettiva talmente miope da non prendere minimamente in considerazione quanto Serena magari si diverta davvero a fare quello che fa tutti i giorni e che non se la senta di interrompere. E soprattutto che non gliene importi nulla di

, di

, forse proprio perché uno sportivo, o almeno lei stessa insieme ad altri, fa o dovrebbe fare questo mestiere principalmente per stare bene con se stesso.

 

È stato uno spettacolo altrettanto raccapricciante assistere in questi mesi a persone che

a Valentino Rossi di

ritirare dal motociclismo. Come se Valentino avesse l’obbligo di corrispondere alle aspettative di altre persone e di chi gli paga lo stipendio. Per l’ennesima volta una nutrita parte dell’opinione pubblica ha frainteso quanto le ragioni professionali di uno sportivo debbano essere legate principalmente a scelte personali di qualsiasi tipo, anche quelle – in altri casi – di non usufruire a pieno del proprio talento preferendo una vita con più svaghi.

 

Valentino in questi ultimi anni non ha fatto mistero di voler correre principalmente per passione, forse anche per sindrome di Peter Pan, per quella paura ancestrale di tagliare per sempre il cordone ombelicale con il suo eterno amore fanciullesco. A inizio 2021, all’alba della sua nuova e ultima avventura nel team Yamaha Petronas, Valentino aveva già rinunciato alle ambizioni da titolo e aveva detto di voler proseguire se fosse stato competitivo

. E difatti anche nel 2020 lo era stato più volte: sia a Jerez, dove ci è salito per l’unica – e forse ultima – volta, sia nel primo weekend di Misano, ma anche e soprattutto a Barcellona dove ha lottato per la vittoria fino alla caduta in curva 2.

 

E forse già da diversi anni, dal 2017 in poi, Valentino aveva capito di avere ormai perso ogni chance per vincere un ultimo titolo mondiale, ma che la sua volontà di continuare a correre fino a 42 anni rispondesse alla logica di provare ancora quelle sensazioni «di pura gioia» per una vittoria indimenticabile, come le ha definite lui, «per quelle gare dopo le quali ridevo per una settimana, e dopo dieci giorni ero lì che ancora ogni tanto ridevo e mi chiedevo perché, ma subito mi ricordavo che appunto era una sensazione che mi era rimasta dalla gara precedente».

 

https://www.youtube.com/watch?v=2Q32h-qFwp4

Catalogna 2009: forse la regina di questo tipo di gare, forse quella con il più bel sorpasso della sua carriera, quello all’ultima curva dell’ultimo giro.


 

Valentino ha detto che negli ultimi anni non si sentiva ancora pronto a smettere perché voleva ancora provare dei cambiamenti, prima di alzare bandiera bianca. A fine 2019 aveva iniziato a testare la nuova tecnica della frenata con sole tre dita; subito dopo è arrivato l’addio al suo capotecnico Silvano Galbusera, colui che lo ha aiutato a sfiorare il titolo nel 2015. Forse tutti gli appassionati, e non solo i meno attenti, hanno sottovalutato con quanta lucidità Valentino si sia auto-analizzato e si sia mosso nell’ambiente per compiere le sue ultime scelte e per capire definitivamente, durante il 2021, che non ce n’era più.

 

Soprattutto la lucidità con la quale ha chiarito le proprie priorità e ha scelto – confermandolo – il momento per l’addio, ma anche proprio la fermezza e la tranquillità con le quali lo ha comunicato sono state le spie rivelatrici della sua immensa forza interiore e del suo carisma. Valentino ha scelto di smettere nel momento in cui ha capito che stava diventando troppo dura continuare a divertirsi: le aspettative su se stesso erano tarate prevalentemente su questo parametro e non c’è stata altra scelta possibile in una stagione che solo lui, nella posizione in cui si ritrova, è capace di portare avanti col sorriso e ancora con la determinazione ad allenarsi e a lavorare.

 



Tantissimi personaggi intervistati in questi ultimi giorni hanno indicato in Valentino Rossi un’icona sportiva di spessore trasversale e leggendario, scomodando paragoni soprattutto con giganti come Michael Jordan e Muhammad Ali. Ma forse c’è un aspetto su cui Valentino ha primeggiato su ogni atleta mai apparso nella storia dello sport: il suo modo di fare così scanzonato ed esplicitamente goliardico, come mai visto prima della sua comparsa. Nessun altro sportivo, prima e dopo di lui, ha comunicato al mondo intero con così tanta forza l’amore viscerale, perfino infantile, per la propria disciplina.

 

Jeremy Burgess, suo storico capotecnico di tutti i Mondiali conquistati nella classe regina, disse che «quando Valentino arrivò a correre per noi nel 2000 in Honda nella 500, ci ha fatto improvvisamente sentire tutti molto più giovani. Vedi Valentino parlare, camminare o muoversi nel paddock e ti accorgi che ha una mentalità differente da quella classica del motociclista professionista. Lavorare con lui è stata un’esperienza straordinaria nella mia vita».

 

Le conferenze post-gara di Valentino Rossi, qualunque fosse stato il risultato finale ottenuto, a eccezione di rarissimi episodi – gli ultimi due drammatici e controversi Gran Premi del 2015 – hanno sempre sortito una specie di effetto terapeutico, attraverso un tono di voce sempre giocoso e adolescenziale, sempre pronto all’autoironia. Fateci caso: difficilmente nelle vostre vite avete conosciuto una persona che sprizza gioia e piacere in quello che fa come Valentino Rossi. Come nessuno ci era mai riuscito, Valentino ci ha insegnato a non prendere la vita troppo sul serio.

 

Il segreto del suo successo planetario, della sua capacità di trascinare enormi folle di neofiti verso il suo sport sta proprio nel suo spirito gioviale, i cui straordinari risultati hanno funto “solamente” da cassa di risonanza per l’espressione del suo carisma. Nella sua conferenza di addio Valentino non ha praticamente mai insistito sulla pesantezza dei suoi successi, ma si è soffermato più che altro sulle sensazioni lasciate dalle singole vittorie e ha ripetuto più volte: «È stato tutto molto divertente».

 

https://youtu.be/JjUZLc_IFKk

 

Valentino ci ha anche insegnato come raggiungere un difficilissimo equilibrio tra ambizione e profonda passione: due entità che non sempre tendono a convivere pacificamente, ma anzi a sopraffarsi l’una sull’altra. Anche la longevità, una condizione che solitamente presuppone un numero sempre crescente di sacrifici, è sembrata una caratteristica che Valentino ha acquistato senza sforzo, attraverso il puro piacere di continuare incessantemente a sperimentare e ad apprendere collaborando quotidianamente con piloti più giovani. Il famoso “Ranch” di Tavullia è diventato il teatro principale in cui mettere in scena la gioia di allenarsi e correre in moto.

 

L’eredità di Valentino si porta con sé centinaia di piloti che hanno provato a imitarne il modo di comunicare, senza mai riuscire a colpire davvero per naturalezza. Molti di noi appassionati perderemo a breve il principale ambasciatore del motociclismo, colui che come nessuno prima d’ora è stato in grado di comunicare la bellezza del proprio sport. Avevamo bisogno di un personaggio come Valentino Rossi per avere un punto di riferimento di approccio alle difficoltà della vita, per non imbruttirci eccessivamente con il passare degli anni e per non perdere mai quella sana parte fanciullesca del nostro carattere. Forse siamo già pronti alla sua assenza dalle corse del motomondiale, ma non lo saremo mai per vederlo scomparire dalla scena pubblica.

 

 

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