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Federico Principi
La vittoria più difficile di Valentino Rossi
26 nov 2021
26 nov 2021
Quella a Mugello 2004, fondamentale per la vittoria di quel titolo.
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Tra tutte le dediche, i messaggi video e scritti, i regali simbolici e i cimeli ricevuti da Valentino Rossi durante l’ultimo weekend di gara da pilota del Motomondiale, il più strano, ma non per questo meno bello, è stato quello della Yamaha, che ha dato vita alla sua M1 per leggere una lettera dedicata al pilota. Con una voce femminile inglese – chissà se sarebbe stato ancor più significativo farla parlare in giapponese – la Yamaha M1 gli ha ricordato tutti i bei momenti passati insieme quasi come una ex fidanzata, dal primo appuntamento in Malesia nel 2004 e dal “primo bacio” della famosa gara di Welkom, fino all’invecchiamento e alla fine sportiva.

 

https://www.youtube.com/watch?v=a7Blik_leUU

Il messaggio integrale della M1 a Valentino. A un certo punto gli dice: «Mi hai reso di nuovo forte e rispettata».


 

Quella tra Valentino Rossi e la Yamaha è stata, seppur ogni tanto con qualche asprezza, una storia dal legame indissolubile. Una carrellata di ricordi che ancora oggi indispettisce talmente tanto la Honda, piantata in asso da Valentino nel 2003 e poi ripetutamente sconfitta, da non avergli ancora consegnato a casa una moto a cui lui tiene particolarmente, la NSR 500 con cui vinse nel 2001 l’ultimo Mondiale della storia della 500 a due tempi.

 

Dello straordinario campionato di MotoGP 2004 tutti ricordano sia l’esito finale – il successo mondiale di Valentino al suo primo anno in Yamaha – che anche quello della prima stupefacente gara, in Sudafrica a Welkom. Il Mondiale 2004, più di ogni altro ha consacrato Valentino Rossi non solo nella storia dello sport, ma l’ha trasformato in un’icona pop dei nostri tempi, conosciuto in tutto il mondo per il suo stile e la sua unicità.

 

Pochissimi tuttavia ricordano che, seppur sia stata una pagina di elevatissimo valore simbolico, non fu esattamente la gara di Welkom a lanciare la leggendaria parabola di Valentino Rossi e della sua sfida impossibile, fugando da subito i dubbi sulla riuscita di un progetto tanto folle quanto straordinariamente iconico. Il vero punto di fu tuttavia un Gran Premio che quasi nessuno ha nominato in questi ultimi giorni di lungo commiato. Un Gran Premio che forse, con esito diverso, avrebbe cambiato quella fase cruciale della carriera e quindi della legacy di Valentino Rossi.

 



Valentino era reduce da tre titoli consecutivi in top class con la Honda, tra cui quelli stradominati nel 2002 e nel 2003. Per capire esattamente di cosa stiamo parlando: furono due anni consecutivi in cui Rossi non cadde mai e in cui mise a segno complessivamente 31 podi in 32 gare. Solo a Brno nel 2002 si dovette ritirare per colpa della gomma posteriore che si sfaldava, e di quei 31 podi solo due furono terzi posti, di cui uno – Donington 2003 – arrivò per colpa di una tardiva – ma giusta – penalizzazione, dopo che Valentino in gara aveva dominato. Solo lui, con il suo carattere e il suo talento, poteva avere il coraggio e la pazzia di abbandonare quel progetto alla ricerca di una sfida dove il confine tra ambizione ed eccessiva megalomania rischiava di essere molto sottile.

 

Prima del suo ultimo Gran Premio a Valencia, quando la Dorna gli ha mostrato le moto dei suoi nove titoli mondiali, guardando la Yamaha 2004 – per sottolineare quanto fosse inferiore alla sua Honda del 2003 – Rossi ha detto: «Questa sembra di cinque o sei anni più vecchia dell’altra, poverina». Capire negli anni il senso della decisione di lasciare una moto così vincente per saltare sulla Yamaha – che non vinceva un titolo in 500/MotoGP dal 1992 con Wayne Rainey e che nel 2003 aveva raccolto al massimo un terzo posto – è stato un complicato esercizio di ricostruzione non solo storica, ma soprattutto psicologica. Valentino stesso, attraverso le dichiarazioni accumulate negli anni, ne ha metabolizzato in maniera sempre più lucida e matura le ragioni.

 

In un’intervista a Giorgio Terruzzi, a fine 2004, Valentino disse che era «stufo di sentire persone (anche all’interno del direttivo della Honda stessa,

) e avversari che dicevano che vincessi solo per merito della moto, quando per me era chiaro che vincevo perché ero il più forte». Qualche mese prima, a gennaio 2004 su

, aveva detto di aver maturato la decisione definitiva «mentre stavamo mangiando una piadina in Romagna. Parlavamo per l’ennesima volta della possibilità di trasferirmi in Yamaha. All’improvviso dissi: “Facciamolo”. Volevo cambiare ma avevo paura, tutte le sere prima di dormire mi ripetevo sempre: “Non hai le palle”. Quando dissi quella frase all’improvviso mi sentii meglio».

 

https://www.dailymotion.com/video/x5k4cec

 

La vittoria a Sukuza nel 2002, la prima gara della nuova era della MotoGP. A fine corsa i vertici Honda dissero che comunque il grande merito andava dato alla moto.


 

Oggi, da ultraquarantenne, Valentino può riguardare a quella scelta in maniera ancora più lucida, visto anche il successivo fallimento in Ducati: «Andare in Yamaha in quel momento fu un grandissimo rischio, avevo una gran paura», ha detto qualche settimana fa a Guido Meda, «però è stata la scelta che mi ha fatto diventare così famoso e seguito in tutto il mondo. Molta gente voleva vedere cosa sarei stato in grado di fare. A volte mi chiedo quanto avrei potuto vincere di più se fossi rimasto alla Honda: ci ho perso come numeri, ma è stata la scelta vincente». Per rimarcarla con ancora più orgoglio ha tirato una stilettata piuttosto esplicita a Marc Marquez, rimasto invece fedelissimo alla Honda: «Comunque non era una scelta facile, perché anche oggi tanti piloti avrebbero potuto farla, ma nessuno ha avuto i coglioni».

 

Da Valentino Rossi più in generale, e da queste parole in particolare, abbiamo tratto proprio questo insegnamento: e cioè che tutto sommato, nella vita, i successi materiali e ufficiali, quelli scritti sulla carta, non sono sempre fondamentali rispetto alla possibilità di provare emozioni indimenticabili. Più che contare numericamente i successi, tutto ciò che ci accade andrebbe pesato per capire davvero quanto sia importante e gratificante per ciascuno di noi, non solo per uno sportivo.

 

Valentino negli anni è sempre stato guidato da una passione impossibile da sradicare, un sentimento fanciullesco nel quale ha trovato anche la forza di cambiare profondamente stile di guida dopo i 30 anni e la voglia di correre anche dopo i 40. Qualche mese fa, nel corso della disastrosa stagione di Rossi ma poco prima dell’annuncio del ritiro, Marquez ha detto: «Non riuscirei a immaginare e ad accettare di correre nella sua situazione». Di sicuro a separare Rossi e Marquez non c’è solo il bruttissimo finale della stagione 2015, ma anche questa diversa visione dello sport, del proprio lavoro e dello scopo dei propri successi: forse più legata all’affermazione attraverso i numeri quella dello spagnolo, più guidata invece dal divertimento e dalle emozioni quella di Valentino.

 



Ma per rendere ancora più credibile la bontà della sua folle scelta, Valentino Rossi aveva bisogno di candidarsi in modo concreto alla vittoria del campionato. Fece pole position e vittoria nello stratosferico weekend di Welkom, in Sudafrica, sconfiggendo Max Biaggi – il suo più grande rivale a livello personale – nella sua gara di esordio in Yamaha, una corsa passata alla storia per mille significati e che tutt’oggi Valentino definisce la migliore della sua carriera.

 

https://www.dailymotion.com/video/xa6ljw

 

Partì dalla pole anche a Jerez, nonostante sia sempre stato relativamente carente sul giro secco rispetto alla gara: due pole position nelle prime due qualifiche in Yamaha significavano davvero molto per Valentino. La pioggia torrenziale della gara della domenica – che consentì la prima vittoria di Marco Simoncelli in 125 – fu tuttavia il primo grande ostacolo della sfida di Rossi in Yamaha. Il Gran Premio di Spagna fu vinto da Sete Gibernau davanti a Max Biaggi e Alex Barros, tutti e tre – guarda caso – su Honda. Valentino chiuse quarto a un distacco abissale da Gibernau, 58 secondi, praticamente mezza pista.

 

Guidare sul bagnato non è mai stata la miglior qualità naturale di Rossi, ma negli anni precedenti con la Honda aveva comunque fatto belle gare e ottenuto ottimi risultati sotto l’acqua: nel 2002 vinse sia in Giappone, nella prima gara della storia della MotoGP a quattro tempi, sia nel Gran Premio del Brasile che gli consegnò anche il Mondiale. Beccare all’improvviso un minuto da Gibernau significava quanto meno che ci fossero carenze della Yamaha sul bagnato, ma anche che queste carenze condizionassero in modo pesante la confidenza del pilota con la moto, almeno in quelle condizioni.

 

La gara successiva a Le Mans si concluse con lo stesso risultato ma, se possibile, con sensazioni ancora peggiori per Valentino. Chiuse stavolta quarto anche in qualifica e in gara fu sconfitto, oltre che dai soliti Gibernau primo e Biaggi terzo, anche da un’altra Yamaha in seconda posizione, quella di Carlos Checa. Per Rossi in Francia non c’era neanche l’alibi della pioggia di Jerez e cominciavano ad affiorare i primi dubbi sull’opportunità di abbandonare la Honda per costruire una storia leggendaria, che in quel momento era totalmente ridimensionata dalla dura realtà.

 

Valentino nonostante tutto

: «Non copierò l’assetto di Checa, non siamo così disperati», disse dopo le prove libere del venerdì di Le Mans. «Prima abbiamo altre idee per risolvere alcuni problemi. In frenata non siamo a posto, la moto ondeggia, è un problema di ciclistica». Quello della staccata e dell’inserimento in curva è sempre stato il tratto distintivo di Rossi, la principale motivazione del suo dominio basato sui duelli corpo a corpo nei giorni migliori e contemporaneamente delle sue grandi difficoltà – soprattutto nei due anni in Ducati – quando la sua moto era carente in quegli aspetti. Per questo avere quei tipi di problemi, in quel momento, era per Valentino un campanello d’allarme piuttosto significativo.

 

Oggi che conosciamo tutta la storia di Valentino Rossi e dei suoi alti e bassi, stiamo forse sottovalutando quanto la grande vittoria di Welkom 2004, seppur estremamente simbolica ed emozionante, rischiasse all’epoca di rimanere un exploit isolato. Soprattutto perché il quarto appuntamento in calendario era il Mugello, la pista di casa di Valentino nella quale aveva dominato nel 2002 e nel 2003, ma nella quale fondamentalmente era già condannato a vincere per perseguire il suo sogno impossibile fin dal primo anno. Dopo tre gare Rossi era già a 15 punti di distacco da Gibernau, leader del campionato, con lo spagnolo che per giunta ottenne la pole position proprio al Mugello, nel solito sciame di Honda a circondare Valentino sulla griglia di partenza.

 



Il 6 giugno 2004 si corre in terra toscana il quarto appuntamento del Motomondiale in quella che già da diverso tempo si era trasformata in una torcida gialla. I tifosi di Valentino Rossi erano già diventati la netta maggioranza della popolazione di appassionati di moto e di lì a qualche mese avrebbero conosciuto lo zenit dell’epica del loro idolo. Quella della marea gialla è una caratteristica che Valentino si è portato appresso in qualunque situazione, in qualunque angolo del pianeta la MotoGP sia mai andata a correre, e che è destinata a restare presente negli spalti dei circuiti anche nelle prossime stagioni.

 

Sono stato in tribuna alla curva del Carro nell’ultimo Gran Premio dell’Emilia-Romagna a Misano, l’ultimo corso da Valentino in Italia. Solo un settore in tutto il tracciato era riservato ai tifosi ducatisti: il resto degli spalti era immerso in un tripudio di maglie, cappellini e fumogeni tutti gialli, pronti a salutare per l’ultima volta “il Dottore”. Sotto di me c’era un uomo straniero, appartenente al Fan Club ufficiale, una persona di mezza età di cui non sono riuscito a capire la madrelingua mentre parlava con un suo amico, ma che capiva invece cosa dicevo ai miei amici e in qualche caso mi ha anche risposto in italiano.

 

Questo è solo uno degli esempi che testimoniano quanto l’adorazione che si è venuta a creare negli anni attorno alla figura di Valentino Rossi sia stata sempre più vasta ed eterogenea sotto molti aspetti, tra cui età, nazionalità, condizione sociale. Valentino ha fatto breccia nel cuore di tutti, dai bambini agli anziani, perché universale e contagioso è stato il suo messaggio di profondo amore per la vita espresso sotto forma di una passione sconfinata per una qualsiasi cosa, nel suo caso le moto. Durante la prima ondata di Covid una signora di 102 anni, guarita dal virus, aveva espresso il desiderio di conoscerlo e ha poi ricevuto una sua telefonata. Brad Pitt, anni fa, disse: «Darei tutto per essere come Valentino Rossi».

 

 


Tifosi schierati al Mugello 2004. Oltre alle solite maglie e bandiere gialle con il 46, trionfavano anche dei pannelli blu, anch’essi con il 46, che richiamavano alla carena della Yamaha di Valentino.


 

La marea gialla era quindi pronta a sostenere il Dottore nella sua difficile rincorsa al titolo. Alla partenza e al primo giro le cose sembrano mettersi nel migliore dei modi per Rossi: Gibernau dalla pole parte male e alla prima staccata sono tre moto affiancate a contendersi la leadership, con Valentino più esterno, Nicky Hayden sulla Honda al centro e Loris Capirossi sulla Ducati più interno. Rossi stacca più forte di tutti perché situato nella parte più pulita della pista, ma forse anche perché è riuscito a mettere a posto la frenata rispetto al GP di Francia.

 

Valentino prende quindi la leadership, ma è subito braccato da Biaggi in seconda posizione e da Capirossi in terza. Poi Hayden quarto, Melandri quinto a difendere la bandiera Yamaha davanti ad altre due Honda competitive e pronte alla risalita, quella di Makoto Tamada e soprattutto quella di Gibernau, leader del Mondiale, nascosta in settima posizione.

 


Gibernau si intravede con la moto blu con inserti gialli, alle spalle del 33 di Melandri. Rossi comanda il gruppo con la leggendaria Yamaha blu.


 

Anche nelle sue migliori stagioni, Valentino Rossi non è stato mai abituato a scappare in fughe solitarie come in futuro avrebbero spesso fatto Dani Pedrosa e Jorge Lorenzo. Nel post-gara di Donington nel 2002, disse: «Dopo la caduta di Checa per me è stato solo tra virgolette più facile. È stato molto difficile fare ritmo per 10-11 giri da solo, ho anche dolore alle mani». Nel 2004 a Giorgio Terruzzi disse che la maggior parte delle volte un pilota cade per distrazione. Per Valentino, rispetto ad altri piloti, è sempre stato meglio fare gara di corpo a corpo piuttosto che impostare ritmo in solitaria: sia perché nei duelli dei suoi migliori anni è stato quasi sempre invincibile, ma forse anche perché in bagarre ha sempre guidato più concentrato.

 

È possibile anche che Valentino, più o meno volontariamente, nei periodi migliori della sua carriera abbia anche provocato ancora più frustrazione nei suoi rivali proprio per la sua condotta di gara, che spesso li ha illusi fino all’ultimo di poterlo finalmente battere. Nel 2005, al suo secondo anno in Yamaha, Rossi ha praticamente posto fine alle carriere di Gibernau – scomparso ad alti livelli dopo il duello perso a Jerez 2005 – e Biaggi, dopo una stagione deludente nonostante avesse finalmente conquistato il posto in Honda Repsol. Quello di lasciare l’impressione di giocare al gatto col topo per sfiancare mentalmente gli avversari è stato un atteggiamento che Rossi, con l’andare degli anni, è stato però costretto a limitare sempre di più.

 

Ma neanche al Mugello 2004 Valentino può permettersi di speculare troppo. Se ne ha, meglio provare a scappare via, soprattutto prima che Gibernau si sbarazzi dei piloti che ha davanti. Ma Valentino non riesce a fuggire perché la Honda, sul lungo rettilineo del traguardo, è un missile e gli rimangia tutto quello che lui prova a guadagnare nei tratti più guidati. Dal primo giro comincia quindi una danza che si ripete con regolarità a ogni passaggio sul traguardo: Valentino si presenta primo all’ultima curva, viene sverniciato da una o due Honda e poi con una staccata paurosa alla curva San Donato si riprende la prima posizione per impostare nuovamente il ritmo.

 


Dall'uscita della curva Rossi viene prima sverniciato da Tamada, poi sembra sul punto di essere totalmente inghiottito in rettilineo dalle tre Honda, ma con una staccata fenomenale allontana alle spalle Biaggi e Gibernau e si riprende la posizione sul giapponese. Un copione ricorrente.


 

Cominciano ad arrivare le indicazioni sulle gomme dalla grafica televisiva. Tutti hanno optato per la media all’anteriore, mentre sul posteriore le scelte sono diversificate: Rossi monta una dura mentre le Honda, sia di Biaggi che di Gibernau, sono andate per la scelta della media. In parte c’entra lo stile di Valentino, che essendo un pilota alto di statura non ha mai digerito gomme particolarmente morbide, ma anche da questo si vede la superiorità della Honda: non ha bisogno di una gomma più dura perché tende a non stressarla troppo vista la bontà del telaio, o in ogni caso non ha bisogno di usare troppo la gomma nel tratto misto vista la stratosferica superiorità di motore nei rettilinei.

 

Fatto sta che anche per via della scelta della gomma più dura Valentino non riesce a scappare nei primi giri, ma forse è stato più lungimirante degli altri. Pian piano, però, da dietro inizia la pericolosa risalita di Gibernau. Al sesto giro lo spagnolo conquista la quarta posizione e trova il gancio delle due Honda gialle di Tamada secondo e Biaggi terzo, gancio fondamentale per provare a riacciuffare Valentino. Il pesarese perde la leadership al settimo giro a vantaggio di Tamada e all’ottavo giro sia Gibernau che Biaggi riescono a passare Rossi. A 15 giri dal termine, con tre Honda davanti, solo la gomma dura – più adatta al finale – può salvare Valentino dalla terza gara deludente consecutiva.

 



Una delle caratteristiche più iconiche di Valentino Rossi, una di quelle che più ha contribuito alla sua epica, è la sua maggiore capacità in gara rispetto alla qualifica. Il modo in cui Valentino ha spesso trasformato una posizione anonima in griglia di partenza in una gara leggendaria, attraverso rimonte impossibili e duelli corpo a corpo studiati alla perfezione e risolti all’ultimo giro, ha lasciato di frequente la sensazione che, più che a una corsa motociclistica, stessimo tutti quanti assistendo alle vicende di un supereroe. Un personaggio fumettistico che con il suo 46 ben stampato sul petto – sulla carena in questo caso – riusciva a risolvere positivamente, con un perfetto climax emotivo, le situazioni apparentemente più impossibili.

 

Anche nella gara del Mugello 2004 ci sono stati diversi momenti in cui per lui tutto sembrava perduto. Al nono giro Valentino è quarto e sembra staccarsi dai primi due, ma all’undicesimo si rimette di nuovo in testa. Ormai è una lotta a quattro con Gibernau, Biaggi e Tamada: forse Gibernau, per via della rimonta iniziale dal settimo posto, sembra il rivale più accreditato per Valentino, quello con il passo gara migliore. Ai giri 13 e 14 passa infatti prima Tamada e poi Valentino alla San Donato, con il giapponese che si ferma poi per un problema meccanico.

 

La gara sembra doversi risolvere in un duello tra i due piloti che si sono giocati, anche se fino all’estate, il titolo MotoGP nella stagione precedente. La situazione dell’uno contro uno teoricamente avvantaggerebbe Rossi sia a livello psicologico che a livello di gomma, visto che con la dura dovrebbe conservare qualcosa in più per il finale. Per questo motivo, a 9 giri dalla fine, Gibernau tenta la fuga. Vuole evitare ad ogni costo il duello corpo a corpo con Valentino, che inizialmente sembra cedere. Così come la scrematura effettuata dallo spagnolo, che tenta di fare selezione con un’accelerata improvvisa del ritmo come uno scalatore in salita, fa desistere definitivamente Biaggi dall’agganciare il treno per la vittoria.

 


Approccio dell’ultima curva del giro 14 di 23: Biaggi è ormai staccato e anche Rossi cede qualche metro a Gibernau, che forse sente che questo è il momento chiave per costruirsi la vittoria.




La fuga dura poco: Valentino è più veloce nella prima parte della pista e riagguanta e supera di nuovo Gibernau nel giro 15. Stavolta Rossi non sceglie di mettersi dietro al rivale per studiarlo e infilarlo all’ultimo giro. Teme che lo spagnolo possa scappare e allora vuole guidare la corsa, tenerlo lì. La stessa cosa che farà in una gara molto più famosa, quella di Laguna Seca del 2008 e dello straordinario duello vinto contro Casey Stoner. Valentino conduce fino a metà del giro 18 e sembra avere qualcosa in più di Gibernau, quando la sfortuna sembra stoppare la sua riscossa: inizia a piovere e, come da regolamento dell’epoca, la gara viene sospesa con la bandiera rossa.

 



Dal 2003 le regole prevedevano, in caso di sospensione per maltempo, un aggiornamento importante e ulteriormente penalizzante per Rossi e Gibernau rispetto a quelle in vigore fino all’anno precedente. Se fino al 2002 era prevista la ripartenza da fermi in griglia ma con la somma dei distacchi accumulati fino al giro precedente alla sospensione, stavolta si dovrà correre una mini-gara di 6 giri dove l’unico elemento ereditato dalla “gara precedente” alla sosta sono le posizioni in griglia di partenza. Da lì in poi, però, tutto viene resettato e anche chi parte quindicesimo può vincere.

 


Rossi e Gibernau alzano il braccio per segnalare alla direzione gara che sta cadendo la pioggia e che la gara va sospesa. Scene che abbiamo dimenticato nell’attuale epoca del “flag to flag”.




Ovviamente sia per Rossi che per Gibernau sussisteva il problema che il vantaggio accumulato in “gara-1” veniva totalmente azzerato. Valentino aveva già avuto un’esperienza negativa di questo tipo in Francia nel 2003: dominatore sull’asciutto in “gara-1”, aveva poi perso nel finale il duello con Gibernau in “gara-2” sul bagnato. Oltretutto c’era un’altra incognita nel regolamento, che renderà questa mini-gara sprint ancora più imprevedibile: da lì in poi la corsa non poteva più essere sospesa una seconda volta per motivi meteorologici.

 

Valentino Rossi ha dimostrato una qualità che rappresenta uno dei segreti della sua longevità anche nell’ultima gara della carriera disputata a Valencia pochi giorni fa: la sua passione sfrenata per le corse è stata tale da farlo completamente isolare una volta immerso nel mood della gara. Come è riuscito a correre una corsa relativamente eccezionale a Valencia chiudendo la carriera con un decimo posto, obiettivo che si era prefissato nonostante le mille emozioni dell’ultima volta; così sicuramente in quella lunga sospensione tra “gara-1” e “gara-2” del Mugello 2004 non è stato intaccato da pensieri di frustrazione e ha subito settato il cervello sul preparare al meglio i 6 giri finali. Una manciata di curve che potevano significare già molto per la stagione e per la sua sfida impossibile.

 

Il meteo è incerto e c’è molta tensione perché è complicato scegliere la gomma giusta. Gibernau esce dai box con gomme da bagnato sia all’anteriore che al posteriore, ma una volta allineato in griglia capisce che ha ormai smesso di piovere e che l’asfalto è pronto per tornare alle gomme da asciutto. Troy Bayliss, compagno di Capirossi sulla Ducati ufficiale, opta inizialmente per una soluzione di mezzo: le gomme intermedie. Rossi, Biaggi e Melandri escono invece dai box fin da subito con le gomme slick.

 

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Valentino subito pronto con le slick. Nelle altre immagini la gamma completa delle Michelin: le gomme da bagnato estremo montate inizialmente da Gibernau e poi le intermedie di Bayliss.


 

Al momento di ripartire per due giri consecutivi di ricognizione esce anche uno spicchio di sole nel rettilineo principale. In prima fila sono schierati i tre piloti più forti, tutti e tre con gomme da asciutto: Rossi primo, Gibernau secondo e Biaggi terzo. Ma non appena partono i giri di warm up, dalla telecamera dell’elicottero si ricominciano a vedere delle gocce d’acqua. Come detto, da regolamento la gara non può più essere interrotta: i piloti inizieranno almeno i primi giri della mini-corsa con gomme slick su una pista leggermente bagnata in alcuni tratti.

 

Alla prima curva è una roulette: la leadership viene incredibilmente presa da Norick Abe, compagno di team di Valentino, scattato in griglia dalla settima casella. A lui si accodano Biaggi secondo e Rossi terzo, con Barros quarto davanti a Gibernau. I cinque sembrano già scappare via in quest’ordine, ma le condizioni della pista sono totalmente aleatorie e man mano dalle retrovie riemergono due piloti che non ti aspetti: Troy Bayliss sulla Ducati ufficiale e soprattutto l’insospettabile Ruben Xaus sulla stessa moto, ma quella non ufficiale del team D’Antin. Xaus che fino a pochi giorni fa è stato il capo di un altro team clienti Ducati, quello Avintia che nell’ultima stagione ha lanciato Luca Marini – fratello di Valentino Rossi – e soprattutto Enea Bastianini.

 

All’inizio del secondo giro la pioggia sembra ulteriormente intensificarsi. Valentino appare piuttosto guardingo e timoroso di commettere un errore sull’asfalto ormai molto insidioso, ma così facendo viene inghiottito in settima posizione mentre Gibernau è là davanti, secondo, a lottare per la vittoria. Restano quattro giri e mezzo per sovvertire completamente il destino di un Gran Premio fin lì maledetto per Rossi, che però comincia a risalire.

 


Prima curva del terzo giro: l’asfalto è bagnato e i piloti piegano molto meno che sull’asciutto. Xaus è in testa ma non fugge, Valentino inizia la sua rimonta sorpassando la Honda gialla di Biaggi in staccata.


 

Forse i piloti che solitamente ottenevano meno risultati – in questo caso Xaus, Bayliss, Barros e Abe – hanno affrontato i primi giri di questa mini-gara prendendosi qualche rischio in più nella guida, cosa che chi si sta giocando il titolo non può permettersi troppo, soprattutto con le gomme slick in quelle condizioni. Finito il tentativo di fuga di Xaus inizia quello di Bayliss al giro 3: al terzo passaggio sul traguardo il ducatista ha un po’ di margine su Gibernau secondo e Rossi terzo. Man mano i due contendenti per il Mondiale stanno trovando confidenza e per loro arriva una buona notizia: ha nuovamente smesso di piovere.

 



Il fatto che sia stato più lento di Abe nei primi giri della mini-gara finale del Mugello 2004 testimonia come Valentino, seppur in una situazione caotica e delicata per il campionato, sia rimasto molto lucido: non ha cercato subito il limite per evitare eccessivi rischi, ha studiato diversi piloti davanti a sé e da metà gara in avanti ha deciso di dare un’accelerata. Ora che la pista torna ad asciugarsi, Rossi e Gibernau possono nuovamente sfoderare il loro pieno potenziale.

 

Tanto per cambiare, Valentino passa lo spagnolo in staccata all’inizio del giro 4 di 6 e si lancia all’inseguimento di Bayliss. Gli basta mezza pista per recuperargli mezzo secondo e attaccarsi ai suoi scarichi, superandolo e distanziandolo immediatamente di parecchi metri in tutto lo splendido complesso di curve Casanova/Savelli/Arrabbiata 1 e 2. È esattamente questo il classico momento finale della gara in cui Valentino dà la stoccata decisiva agli avversari, allo stesso modo di un supereroe uscito dalla fantasia di uno scrittore o di uno sceneggiatore.

 

L’ultimo ostacolo per Valentino Rossi è quello di passare indenne alla staccata, ancora bagnata, di curva 1 all’ultimo giro. Dopo una serie interminabile di trappole, in un pomeriggio lunghissimo, Rossi vince la seconda gara della stagione davanti a Gibernau e Biaggi, mangiando così solamente 5 punti in classifica allo spagnolo e portandosi a -10. Ma quel Gran Premio del Mugello sarà il primo di una serie di tre vittorie consecutive per Valentino, vincitore poi a Barcellona e Assen in quello che sarà uno degli scorci di campionato più decisivi della sua carriera.

 


Eppure le celebrazioni furono – relativamente al personaggio – più sobrie del solito. Il massimo della goliardia che si concesse fu questa linguaccia sul podio con il trofeo in mano.


 

Chissà se e come sarebbe cambiata la legacy di Valentino se non fosse riuscito a portare a casa il titolo al primo anno in Yamaha. Nella scelta di rinunciare alla Honda il rischio concreto era quello che un’eventuale sconfitta, agli occhi dell’opinione pubblica, ridimensionasse le sue capacità di pilota, ma soprattutto la credibilità del suo carattere. Rispetto al suo arrivo in Ducati nel 2011 Valentino, all’alba del 2004, era invece al top della forma fisica e aveva comunque già un discreto bagaglio di esperienza. Rossi ha giocato un all in pokeristico, in cui ha messo sul piatto la sua intera figura a 360 gradi, e la sensazione incredibile che ci ha lasciato è che lo abbia fatto più per divertimento che non per megalomania.

 

Per narrare correttamente una delle più grandi imprese sportive di ogni epoca, il titolo 2004 di Valentino Rossi, era necessario ricordare le abilità di ogni tipo – tecniche, tattiche, mentali, di concentrazione – che gli hanno permesso di uscire vittorioso da una delle gare più delicate e complicate che abbia mai corso. Il Mugello 2004 è uno dei più importanti punti spartiacque della carriera di Valentino, un momento senza il quale, forse, anche noi avremmo imparato meno cose di quelle che è poi riuscito a insegnarci.

 

 

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