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Emanuele Mongiardo
Il gioioso addio di Valentino Rossi
15 nov 2021
15 nov 2021
«Hanno provato a farmi piangere, però secondo me questa doveva essere una festa».
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Emanuele Mongiardo
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La giornata di Valentino Rossi, nel giorno del suo addio al motomondiale, non si è conclusa in pista, con l’ultimo giro strozzato in gola, o subito dopo, con le interviste di rito che avevano un sapore diverso dal solito. In serata Rossi è entrato in via ufficiale nella hall of fame della Moto GP, insignito del titolo di

ai FIM Moto GP awards

Dopo aver messo al collo la medaglia della premiazione, una sorta di collarino portachiavi rosso con attaccato un simil-triangolo massonico, si è avvicinato al microfono per il discorso di rito.

 

Sono tante le cose a cui avrà pensato il pubblico questa domenica, giro dopo giro, mentre inesorabile si avvicinava la fine della carriera di Valentino Rossi, una fine che qualcuno avrà pensato non sarebbe mai arrivata. A ognuno sarà tornato con la mente il suo momento Valentino Rossi, tutte quelle domeniche passate insieme al

, a quanto fosse eccitante vederlo fiutare l’odore del sangue negli ultimi giri di un Gran Premio negli anni d’oro. Se gli addii sono sempre una cosa triste, un personaggio come Rossi ha lasciato troppo agli appassionati per non strappare un sorriso anche ieri, in una giornata che doveva essere inesorabilmente triste.

 

https://twitter.com/MotoGP/status/1459986089549127685

 

Per me quel momento è arrivato proprio in apertura del suo discorso di ringraziamento ai Moto GP awards: mentre iniziava a parlare ho pensato che – per un bel po’ di tempo – quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei sentito Valentino parlare in inglese. Chi conosce Rossi sa quanto la sua pronuncia in inglese ne abbia caratterizzato la figura in questi 26 anni anni (in un video tributo della Moto GP, dopo aver vinto il primo mondiale in 125, chiede all’intervistatore di poter rispondere in italiano, con la promessa di imparare l’inglese per la stagione successiva). La forte venatura romagnolo-marchigiana del suo inglese, nella cadenza certo ma anche nel modo in cui modula la voce lo rendeva spontaneamente simpatico e lo ha fatto entrare nella vita di milioni di persone in maniera familiare.

 

https://twitter.com/MotoGP/status/1459997785781067779

 

«Dopo aver fatto ventisei anni così, ho sempre pensato a questo giorno come ad un incubo, la fine di una lunga carriera, ma alla fine sono stato molto contento», ha dichiarato il pilota di Tavullia a una platea che aveva occhi solo per lui. In effetti, in pieno spirito col personaggio, non ci sono state lacrime da parte sua, almeno davanti alle telecamere. Rossi anche nell’addio ha offerto un sorriso a tutti, come nei suoi giorni migliori. Si è concesso perfino lo stage diving all’interno del suo box, come più che un addio fosse l’ennesima performance: «Ho fatto stage diving come Jim Morrison, è stato sempre il mio sogno. Speravo di farlo al Mugello ma temevo che non mi trovassero più», ha commentato, mantenendosi sul filo dell’ironia e della consapevolezza dell’amore da parte del proprio pubblico.

 

Forse è lecito pensare che questi ultimi tre anni, affrontati per pura passione senza essere troppo competitivo, siano serviti proprio a diluire il dolore nel giorno dell’addio, a prepararlo. In maniera graduale, Rossi e i suoi tifosi hanno iniziato a prefigurarsi la giornata di ieri, fino ad accettarla con serenità, per quanto possibile. Lo dimostra il clima nel box della Yamaha Petronas, con Migno e Bezzecchi, due piloti della sua Academy, a lanciare cori in suo onore sulle note di

. Sarebbe stato possibile affrontare l’addio con lo stesso spirito, senza gli ultimi anni piene di sconfitte? Con Rossi relegato nelle retrovie mentre i riflettori erano già puntati su altri piloti? Difficile dirlo. Forse, però, se Valentino avesse lasciato dopo il lugubre finale di Valencia 2015, o un paio di stagioni dopo, sarebbe stato difficile salutarlo con la stessa gioia, con un senso di compiutezza che non c’era in quei momenti, frustrati dal rimorso per quel maledetto decimo mondiale sfuggito.

 

Di solito per i grandi atleti il ritiro è come un momento di lutto collettivo, ma è stata forse proprio la coda così lunga di Rossi a renderlo un momento quasi di felicità. Certo è merito anche del personaggio, di quella guasconeria contagiosa rimasta viva nonostante i 42 anni. Se a vent’anni le vittorie erano una scusa per fare baldoria nel ghiaione o sotto al podio insieme ai suoi amici, domenica pomeriggio «smettere è stata una scusa per fare un po’ di casino», per dirla con parole sue.

 

Che poi c’è stata anche la pista: Rossi è riuscito a chiudere il suo ultimo Gran Premio tra i primi 10, il risultato che si augurava all’inizio di questo weekend. Per tutto il pomeriggio la telecamera principale è rimasta incollata alla gara risoluta di Bagnaia e alle sue bagarre con Martín e Rins, mentre a Rossi spettava un riquadrino dedicato al suo on board – impossibile, tra i mille ricordi, non chiedersi come potessimo seguire la Moto GP senza riquadrino negli spot pubblicitari. E mentre, per un’ultima volta, sorprendeva pubblico e colleghi fermandosi per gli abbracci alla prima curva dopo il traguardo, senza giro d’onore come si aspettavano tutti quanti, andavano in onda i saluti di atleti (Federer, Hamilton, Pirlo, Buffon), celebrità (Keanu Reeves e Tom Cruise) e piloti, la categoria da cui è stato più interessante avere un punto di vista sul percorso di Rossi.

 

Jorge Lorenzo, che ha condiviso il box con Marquez in HRC, ai microfoni di Sky lo ha descritto come «il compagno di squadra più forte della mia carriera» e sul suo profilo Instagram lo ha definito «la più grande leggenda della Moto GP». Le parole più emotive, però, le ha pronunciate Max Biaggi, con cui, a differenza di Stoner, Lorenzo e Marquez, il limite dello scontro fisico è stato quasi certamente valicato. «Aver avuto un rivale come Rossi ha dato più lustro a quelle volte in cui sono riuscito a batterlo, e viceversa avere un rivale come me ha amplificato il valore delle sue vittorie. La rivalità tra italiani è ancora più sentita dai tifosi, ma tutti i rivali di Valentino in generale hanno contribuito a rendere la sua carriera quella che è. Si ritira Rossi, una parte di me si ritira con lui».

 

Il saluto di Biaggi non può non riportare a Welkom 2004, il successo più sofferto di Valentino Rossi, il più rappresentativo della sua grandezza, che qualcuno qualche mese fa ha pensato bene

in versione integrale. Risuonano profetiche le parole di Guido Meda in telecronaca: «I giochi più belli si fanno col miglior amico (in riferimento al loro duello

) e questo qui è un gioco strepitoso. Forse non lo sanno, lo scopriranno a ottant’anni incontrandosi col bastone, “ma sai che tutto sommato non mi eri tanto antipatico”». Alla fine, è bastato solo far passare del tempo per mettere nella giusta prospettiva la grandezza di Valentino, anche agli occhi dei rivali più accaniti.

 


ANNA ZIEMINSKI/AFP via Getty Images


 

Con lui, però, non ci lasciamo indietro solo i rivali di questi 26 anni – i Biaggi, i Lorenzo o gli Stoner – ma anche una parte del cuore di chi lo ha amato. Se la Moto GP continua, come è giusto che sia, difficilmente l’esperienza

sarà ripetibile. Valentino era capace di generare negli spettatori una specie di

: se il sabato in qualifica non era stato perfetto, sapevi che la domenica avrebbe portato in pista la sua versione migliore, che ci avrebbe regalato una vittoria spettacolare fatta di duelli corpo a corpo negli ultimi giri.

 

Se è vero che Rossi ha coinvolto milioni di persone nel mondo con la sua ilarità, la sua freschezza e le sue gag («Quando ho visto arrivare un ragazzo che si truccava i capelli, portava orecchini e giocava a Superman in moto, ho capito che la mia epoca stava tramontando» ha confessato Aspar Martinez quest’estate), in pista – finché ha potuto – è stato un cannibale. Sono state le vittorie, tante, tantissime, ad attirare a lui tutto il pubblico italiano, ma quello che rimane, più delle vittorie in sé o dei divertenti post-gara, è il modo in cui Rossi vinceva. Oltre alla passione per le moto, Rossi ha trasmesso ai suoi tifosi l’amore per la competizione estrema, la possibilità di vedere le carene incrociarsi come serpenti fino all’ultima staccata. Carmelo Ezpeleta, dg di Dorna, ha detto che «Valentino ha attratto la gente perché vinceva molto. E vinceva in condizioni molto spettacolari».

 

Proprio per questa sua grande spettacolarità, per la capacità di rendere ogni gara uno show – il suo show – tifare Rossi era facile, non bisognava capirne di moto. È questa la differenza con altri grandi piloti: in uno sport spesso ostico per chi non conosce alcune dinamiche, Valentino era universale. Se i tifosi possono innamorarsi di Lorenzo per il modo in cui conduceva le gare partendo dalla pole, o della pulizia tecnica di Pedrosa o del modo in cui Stoner e Marquez si mangiavano i cordoli, per innamorarsi di Rossi bastava vederlo su una moto. I duelli ingaggiati ogni volta lo rendevano uno spettacolo per tutti: Rossi, in un certo senso, faceva scomparire la moto, riportava in primo piano i protagonisti in carne ed ossa. Da questo punto di vista, il pilota di Tavullia è indiscutibilmente il numero uno, in grado, duello dopo duello, di corrodere le sicurezze e la psiche dei propri avversari: «In un modo o nell’altro sapeva canalizzare le energie così da mettere in soggezione i suoi rivali. È stato difficile, per me, perdere quel rispetto reverenziale nei suoi confronti», ha detto Dani Pedrosa.

 

Forse per gli atleti di sport individuali è più semplice, ma in pochissimi sono riusciti a creare intimità col proprio pubblico come Valentino. Per noi italiani non è stato difficile: è raro trovare un nostro connazionale che riesce a elevarsi a volto di un intero sport per un tempo così lungo, diventare un icona a livello planetario e inserirsi prepotentemente nei discorsi intorno al più grande di sempre in quello sport. Godere di un campione del genere, in grado di elevare il pathos di alcune vittorie al livello delle più grandi imprese sportive della storia, induce per forza il pubblico a costruire un legame prima ancora individuale che comunitario con Rossi. È il motivo per cui i suoi tifosi ricordano dove erano durante Catalunya 2009; il motivo per cui la sua carriera, per molti, ha camminato di pari passo con le proprie vite.

 

Quando nel 2006 Rossi ha perso il mondiale, per me è stato un momento di crescita nell’infanzia: la scoperta che le sue vittorie non erano legge, non andavano date per scontate, così come molte altre cose nella vita. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, diciamo, è arrivato anche quando ho dovuto rinunciare alla Moto GP – e quindi a Rossi – la domenica d’estate mentre pranzavo in veranda da mia zia, perché avevo iniziato a lavorare in un lido. Anche da lì, però, mi accorgevo di come era magnetico Rossi: quando c’era lui, la sala tv del lido si riempiva ben oltre la norma, tra pranzi, birre alla spina e arachidi. Venivano da altri lidi, immagino senza tv, solo per guardare le sue gare.

 

Sarebbe stato banale se alla fine Rossi ci avesse lasciato tra le lacrime, come un campione qualunque. Fino all’ultimo, invece,

è rimasto sé stesso, forse conscio che alcuni suoi fan avrebbero avuto bisogno di supporto morale in un momento così significativo. La Moto GP ci ha provato a farlo travolgere dalle emozioni: ha messo in fila le moto dei suoi nove titoli iridati, ha fatto correre i piloti dell’Academy con alcuni dei suoi caschi più belli, ha provato a far parlare la sua M1 con una lettera, una sorta di risposta, a diciassette anni di distanza, alle parole che Valentino le aveva sussurrato a fine gara a Welkom; hanno tentato di smuoverlo persino con Ronaldo il fenomeno, nel suo box prima della gara per una riedizione di quella foto di più di vent’anni fa, con Rossi e la maglia numero nove dell’Inter autografata. Alla fine, però, non è bastato, forse perché il grado di maturità di Valentino gli permette di godere di questi momenti con gioia imperturbabile, o forse perché ha preferito riservare le lacrime per il momento in cui le telecamere si sarebbero spente: «Ho sempre cercato di fare un’ultima gara nel mio stile. Hanno provato a farmi piangere, però secondo me questa doveva essere una festa

.

 

Da casa, allora, più che per il suo ritiro, dispiaceva non essere lì a far casino insieme a lui, come nei giorni delle vittorie più belle.

 

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