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Fabio Severo
US Open: le semifinali maschili
11 set 2015
11 set 2015
La presentazione di Federer-Wawrinka e Djokovic-Cilic.
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Fabio Severo
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Sempre di più il dato dei confronti diretti tra Federer e Wawrinka non racconta il punto a cui sono delle rispettive carriere: 16 a 3 per Federer, che non verrà mai realmente avvicinato nel numero di vittorie da Wawrinka per intervenuti limiti di tempo, ma che è stato raggiunto nella competitività sul singolo incontro. Resta comunque molto difficile immaginare come possa andare la semifinale che giocheranno a New York, perché mai come in questa occasione i due vanno a incontrarsi portando entrambi un altissimo livello di gioco.

 

I numeri di Federer nel torneo fanno più impressione: nessun set perso, poche ore spese in campo, solo due turni di servizio ceduti (un parziale a cui vanno aggiunte le cinque partite del precedente torneo di Cincinnati, in cui non ha subito neanche un break). Pilastro dell'attuale condizione è proprio il servizio, che ha permesso a Federer di ripensare le strategie dei giochi in risposta appoggiandosi alla solidità dei propri turni di battuta. Da lì è nata l'iperoffensività delle partite delle ultime settimane, dove il gioco di attacco si è ulteriormente evoluto dalla cosiddetta "cura Edberg" e tutto il serve & volley e la generale progressione a rete che ne sono conseguite.

 

L'emblema della nuova strategia è l'ormai famigerata risposta in demi-volée colpita quasi sulla riga di servizio, battezzata in vari modi tra cui il semi-ufficiale SABR, Sneak Attack By Roger. Sneak come subdolo, come è la corsa che Federer fa verso la palla quando il movimento della seconda di servizio dell'avversario non si è neanche compiuto interamente. La strategia ha portato diversi punti vinti sul campo, ma soprattutto ha sortito l'effetto di tenere sulle spine i più suscettibili tra i giocatori che ha dovuto affrontare, inducendo errori. A volte il punto si è giocato sulla base del virtuosismo di Federer, come nel terzo turno di Cincinnati contro Kevin Anderson:

 



 

Ma il vero guadagno di quella strategia non è sul singolo scambio, è sulla minaccia costante che costituisce un giocatore disposto a essere così aggressivo in risposta.

 

https://www.youtube.com/watch?v=4YeQfwcfz1c

 

In fondo la vera novità di questa estate nel gioco di Federer non è tanto nelle occasionali risposte kamikaze, ma piuttosto nella posizione media di attesa della seconda di servizio, che non è mai stata così dentro il campo. Per ogni tentato arrembaggio che fa fare "ooohh" al pubblico ci sono dieci risposte almeno un metro dentro la riga di fondo, che si traducono in vincenti, presa del controllo dello scambio, rottura del ritmo dei colpi per l'avversario.

 

Federer gioca ormai per fuggire dalle insidie del power tennis contemporaneo, cercando di giocare ogni punto nella terra di mezzo tra il primo colpo in risposta e l'inizio dell'inerzia del forcing dal fondo. Quella sembra la trappola che ha capito di volere evitare, la guerra di attrito, per quanto gli spostamenti laterali dal fondo continuino a essere molto veloci. Ma logorare l'avversario non è più cosa che vuole provare a fare, piuttosto preferisce privarlo del suo gioco, e così facendo preservare la propria stamina, fisica e mentale.

 

Tre esempi di risposta anticipata che sabotano il gioco di Gasquet nel quarto di finale, in cui Federer non fa punto diretto, ma rispettivamente prepara il colpo successivo, provoca un doppio fallo e prende la rete:

 







 

Curiosamente la risposta kamikaze è stata provata con successo anche da Wawrinka durante il quarto di finale che ha dominato contro Kevin Anderson:

 



 

Ma quello che è emerso di veramente positivo nel torneo sinora disputato da Wawrinka non è stato il tentare numeri fuori dal suo repertorio, ma piuttosto ampliare le sue tattiche consolidate: oltre alla consueta potenza da fondo, la solidità al servizio e i tanti rovesci lungolinea da museo, Wawrinka ha dimostrato notevoli capacità difensive contro il tennis uno-due di Anderson e una ricerca della rete molto meno avventata che in occasioni passate. Nella semifinale delle ATP Finals contro Federer del novembre dell'anno scorso Wawrinka è stato capace di

(su quattro complessivi) facendo dei serve & volley autodistruttivi, come se fosse stato colto da un improvviso vuoto mentale. Sbagliati nella scelta tattica, ancora di più nell'esecuzione. Contro Anderson ha preso la rete in modo molto più ragionato, addirittura finendo l'incontro con due s & v consecutivi sul 30-0 e sul 40-0 dell'ultimo game:

 



 

Il torneo di Wawrinka finora presenta risultati solo un po' meno immacolati rispetto a Federer: un set perso, 5 tie-break disputati (tutti vinti), qualche ora in più in campo, ma l'arrivo in semifinale conferma una volta di più le sue qualità di contendente Slam indiscusso, che ancora dopo l'Australian Open vinto nel 2014 venivano considerate incerte, vittime della storica incostanza della sua carriera. A Parigi nei quarti di finale Wawrinka ha stravinto su Federer in tre set senza mai perdere il servizio, ma è difficile che possa ripetersi una sua vittoria così univoca.

 

Casomai, se riuscirà a tenere Federer dietro a scambiarsi bordate e poi a passarlo un numero di volte sufficiente a scoraggiarlo quando cercherà la rete, se proteggerà il proprio servizio un'altra volta così efficacemente come al Roland Garros, Wawrinka potrebbe di nuovo prevalere per consunzione dell'avversario. Ma è altrettanto probabile che Federer sia in grado di spezzare il gioco e togliere ogni forma di regolarità allo scambio, cosa di cui Wawrinka necessita per calibrare i suoi fondamentali pesantissimi e tenere basso il margine di errore di colpi così difficili. Novak Djokovic vince assorbendo il gioco dell'avversario e colpendo quando questo esaurisce le risorse, Wawrinka cerca di imporre il proprio gioco rompendo la barriera difensiva dell'avversario, Federer invece gioca ormai in controtempo, inserendo tocchi e traiettorie nei vuoti del gioco dei propri rivali, colpendo prima che se ne accorgano, prima che possano rispondere o che lo costringano a correre.

 





 

Quando dodici mesi fa Marin Cilic ha alzato la coppa degli US Open nessuno pensava che ci saremmo ritrovati oggi a parlare delle sue possibilità in semifinale. Nel mezzo ci sono stati molti ritiri, parecchie sconfitte banali e altrettanti sospetti, generati soprattutto

.

 

In questi US Open Cilic ha però fatto di tutto per mettere quel risultato sotto una luce assolutamente non casuale. È tornato a essere una sorta di robot da cemento americano: ingiocabile al servizio, potente e solido nello scambio dal fondo, abbastanza puntuale nel gioco a rete. Fino agli ottavi il sorteggio gli era stato piuttosto benevolo, ma nelle ultime due partite ha battuto prima Chardy, uno dei tennisti col migliore schema servizio-dritto del circuito, e poi Tsonga, con tutto lo stadio Arthur Ashe a tifargli contro.

 

Cilic ha vinto da perfetto

, anche se con quell’alone di sfiga di chi interpreta il ruolo del cattivo senza in fondo averne molta voglia.

 


Marin Cilic vs. United States of America.



 

Contro Tsonga, Cilic ha tirato molti ace, 29, ma questo non deve farci pensare a un giocatore il cui rendimento è totalmente legato al servizio, o almeno non in un modo sproporzionato rispetto agli standard contemporanei. Cilic ha un gioco molto solido, regolare, quadrato: ottiene molti vincenti (63 contro Tsonga), ma mai attraverso eccessivi margini di rischio. È un colpitore, ma senza il talento e la ricercatezza di uno Stan Wawrinka: la potenza che riesce a esprimere con i fondamentali da fondocampo gli permette di controllare lo scambio senza cercare angolature raffinate. In alcune fasi della partita Cilic sembra un martello: incapace di qualsiasi variazione balistica, e per questo paradossalmente efficace. Soprattutto su una superficie come quella del cemento americano, che offre rimbalzi medi e una velocità non eccessiva, che gli permette di mascherare parte dei problemi negli spostamenti laterali.

 


Uno scambio medio, ma davvero MEDIO, di Cilic. Il modo di controllare il gioco del croato è di tenerlo abbastanza centrale: il campo viene così ristretto in ampiezza, e anche i cambi di ritmo sfruttano la profondità, ma non ricercano le righe.



 

Inutile dire che il pronostico contro Djokovic rimane chiusissimo. Nole ha perso solo due set nel torneo, uno con Feliciano López e l’altro con Bautista Agut, entrambi nel momento in cui i suoi avversari hanno deciso di giocarsi tutto, estremizzando il proprio gioco sia nella strategia che nell’esecuzione. Sebbene in alcuni momenti delle sue partite sembri scricchiolare, soprattutto su un piano fisico, Djokovic non mostra mai cedimenti veri nel monolite agonistico che rappresenta in questo momento della sua carriera. Non esiste nel circuito un giocatore in grado di mascherare così bene le difficoltà passeggere di una partita, ad arrestarle prima che diventino un problema reale. Con Bautista, per esempio, ha perso il servizio quattro volte, ma non ha mai davvero dato l’impressione di smarrire il controllo della partita. Djokovic non è nel suo momento migliore di forma, ma sa meglio di tutti quanto gli serve per vincere una partita.

 

Anche guardando le stats accumulate in questi US Open Djokovic sembra vincere per inerzia, come se non avesse bisogno di così tanto tennis per piegare i propri avversari. Rispetto a Cilic, Djokovic gioca un tennis percentuale, in grado di acquistare forza proprio appoggiandosi sull’esuberanza del tennis dei suoi avversari. Cilic, che invece è una macchina da numeri (come visto nelle stats con Tsonga), ha perso tutti e 13 gli scontri contro il serbo.

 


Per qualche strano bug del sito il confronto di stasera è stato già assegnato a Cilic. Come la prenderà il karma?



 

È chiaro che il tennis di Cilic non ha mai rappresentato una minaccia per Djokovic, nemmeno su cemento, dove si sono disputate la maggior parte delle partite. Cilic ha

tipo di partita a disposizione per battere Djokovic, che non ha a che fare con particolari piani di gioco, ma piuttosto col loro annullamento. Per quanto possa sembrare banale, Cilic può solo provare a tirare più forte, più profondo, più angolato, con più ritmo. Elevare ulteriormente il proprio tennis fino a quel livello in cui è il tennis che gioca Cilic e non il contrario. Arrivare a un’intensità e a un controllo dello scambio tali da annichilire la capacità di Nole di assorbirne e risputarne la potenza.

 

Quel tipo raro di partita che ha a che fare con la trascendenza dei propri limiti, e che ha portato alcuni dei risultati più inaspettati degli ultimi anni. Ultimo dei quali la vittoria di Wawrinka in finale al Roland Garros proprio contro Djokovic. Cilic non ha il talento dello svizzero, né probabilmente quel particolare fuoco sacro che sembra incendiare la mano di Stan in alcuni momenti. Se però Djokovic si mostrasse meno pronto del solito nell’anestetizzare i colpi e riportarli dentro la sua logica, Cilic potrebbe provare ad abbattere il monolite.

 
 

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