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Elena Marinelli
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29 gen 2016
29 gen 2016
Un ricordo della bellezza irripetibile di Justine Henin a 5 anni dal suo ritiro.
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Elena Marinelli
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Jean Vigo morì nel 1934, all’età di ventinove anni. Con soli quattro film riuscì a entrare nella storia del cinema, non soltanto per ciò che le pellicole hanno significato quando sono state prodotte, ma anche per quanto hanno rappresentato per le generazioni successive di registi e sceneggiatori.

 

Justine Henin, classe 1982, ha avuto una carriera tennistica che oggi definiremmo breve, considerando l’età dei professionisti che dominano i campi oggi: si è ritirata a ventinove anni, riuscendo a imporre un canone unico e riconoscibile nel tennis femminile moderno.

 



La sua carriera professionistica iniziò nel 1999, ma è nel 2001 e nel 2002 che ottenne i primi risultati importanti: nel 2001 la semifinale del Roland Garros e la finale di Wimbledon, perse rispettivamente contro Kim Clijsters e Venus Williams. Nel torneo londinese, batté consecutivamente quattro teste di serie, tra cui l’ex vincitrice Conchita Martinez ai quarti e Jennifer Capriati, nell’anno migliore della sua carriera, in semifinale. Nel 2002, ancora una semifinale di Wimbledon e ancora una sconfitta contro Venus, nonostante la rilevante vittoria nei quarti contro Monica Seles.

 

All’Australian Open 2003, Justine Henin si fermò in semifinale contro Venus Williams (6-3 6-3), ma quel torneo è da ricordare per la partita del quarto turno,

e vinta faticosamente in tre set (7-5 5-7 9-7). Durante il memorabile ultimo set, il match cambiò diverse volte e i ribaltamenti di fronte fecero venire a galla le qualità di entrambe. Sul 4-1 per la statunitense e sul 15 pari, i meriti di Henin e i demeriti di Davenport girarono il set per la prima volta: Davenport mise un dritto in rete, Henin ne mandò uno fuori concedendo il 30 pari, superando però la statunitense al punto successivo con un pallonetto in cui aveva creduto lei soltanto; infine Davenport concluse con un doppio fallo grossolano. Entrambe sentivano il peso di quel momento, ma la differenza la fece Henin allontanando quella pressione e imponendo il suo gioco. Nel game successivo, tirò fuori il suo colpo migliore, il rovescio, per il 40-15 e una seconda di servizio al limite per il 3-4. Era questo ciò che sapeva fare Justine Henin: calpestare un confine incerto, laddove pochissime possono pensare di arrivare.

 

La seconda svolta arrivò durante l’ottavo game, quando la belga, sotto 0-30, riuscì a recuperare, portandosi sul 4 pari e riaprendo definitivamente la partita.

 

Dopo quasi tre ore di match, sul 7 pari la belga venne colpita da un crampo alla coscia sinistra che la costrinse a chiedere un timeout; sembrava che non avesse la forza di vincere, ma invece riuscì a raccogliere le ultime energie e ad affondare l’avversaria.

 

Questo quarto turno e soprattutto la prima vittoria dell’Open francese segnarono l’inizio della scalata alla vetta WTA, conquistata per la prima volta in carriera quell’anno.

 



Justine Henin vinse il Roland Garros quattro volte, tre delle quali di seguito (2005, 2006 e 2007), record ottenuto soltanto da Monica Seles.

 

Nel 2003 alzò la coppa di Francia battendo 6-0 6-4 la connazionale e amica Kim Clijsters.

, anni dopo, ricordando questa finale come un evento eccezionale – la prima volta di una finale tutta belga a Parigi – dirà: «È stato più di un sogno, è un paese di dieci milioni di persone. Kim e io eravamo numero uno e due contemporaneamente […] Siamo cresciute insieme, abbiamo giocato gli stessi tornei da quando avevamo nove anni, e quando lei migliorava, io volevo migliorare, ero motivata da lei. Senza Kim, non sono sicura che sarei stata la stessa giocatrice […].»

 

Henin riuscì a sfruttare la sua superficie preferita, che le permetteva di giocare un tennis molto pesante e capitalizzare al massimo gli errori dell’avversaria, in quell’occasione troppo nervosa e con poco ritmo nell’impostare il gioco. Il legame speciale di Justine Henin con il Roland Garros risiedeva nella possibilità di armonizzare ancora meglio del solito le sue qualità sul gioco profondo a tutto campo.

 


Justine Henin e Kim Clijsters si sono scontrate ben otto volte durante il 2003: alla fine dell’anno il conteggio delle vittorie era in parità. L’Open parigino e quello newyorkese furono i loro tornei migliori, entrambi vinti da Henin.


 

A New York, qualche mese dopo, la vittoria su Clijsters fu per 7-5 6-1 ma la partita girò in modo diverso rispetto a quella di Parigi. I cinque game iniziali del primo set furono uno degli esempi migliori della qualità che entrambe sfoggiavano nelle loro sfide. Come sempre, quando due atlete di tale livello si incontrano, lo scontro quasi si dissolse, per lasciare posto a una visione del tennis in purezza. A guardarle ancora oggi, viene da rimanere in silenzio e accomodarsi, e il nostro occhio da spettatore, come di fronte a un classico del cinema, riesce a trovare quei canoni di stile che non deludono mai: Henin con rovesci sicuri e precisi, Clijsters con gioco angolato e solido.

 

Durante il primo set, molto più combattuto del secondo, Clijsters si portò in vantaggio per 5-4, ma Henin non mollò: gli scambi tesi e a tutto campo sembravano giocare a favore di un imminente ribaltamento. Henin mise in campo ancora una volta il meglio possibile: un rovescio a rete per il 6-5 e un dritto profondo incrociato per forzare un errore dell’avversaria, costatole il set.

 

Sempre nel 2003, ma a Wimbledon, fu la volta della rivincita di Serena Williams in semifinale: Justine Henin perse 6-3 6-2.

 

Se a Parigi e a New York la belga fece vedere tutto il talento e la maestosità tennistica di cui era capace, in Inghilterra si offuscò. L’avversaria non era semplice, sia perché favorita sull’erba, sia perché particolarmente agguerrita: le due avevano appena giocato una polemica semifinale del Roland Garros, costata a Williams la possibilità di conquistare cinque Slam consecutivi. Dopo la partita a Parigi, Serena aveva accusato Justine di aver tenuto un comportamento antisportivo durante il terzo set e il pubblico di essere stato

. Iniziò così un rapporto poco amichevole tra le due e sul campo di Wimbledon la leggendaria determinazione di Serena Williams trovò uno dei più difficili muri da scalare.

 



Nel 2004 Henin vinse il primo e unico Australian Open della carriera e la prima e unica medaglia d’oro alle Olimpiadi, ad Atene. Nei primi tre mesi della stagione, perse una sola volta nella semifinale di Doha e vinse in tutte le altre ventitré occasioni.

 

A Melbourne incontrò nuovamente in finale la connazionale Kim Clijsters. Vinse 6-3 4-6 6-3.

 

https://www.youtube.com/watch?v=kHk769PCBSw

(Dal minuto 1:01) Sebbene all’inizio del secondo set sembrasse che la partita dovesse girare come al solito, con Henin che conduceva 4-2, nel settimo game Clijsters inizia la rimonta, approfittando di alcuni errori dell’avversaria e di un turno di servizio sfruttato alla perfezione, riuscendo a imporre il suo miglior tennis.


 

Il momento decisivo per il match arrivò sul 4-3: il giudice di sedia chiamò fuori una ribattuta di Clijsters, ribaltando la decisione iniziale e assegnando il punto a Henin. Da un possibile 40 pari e un 4-4 utile a Clijsters, fu invece il 5-3 e il turno di servizio per il match a Henin.

 

Ad Atene la medaglia d’oro rappresentò soprattutto uno spunto di

importante riguardo alla sua vita e alla sua carriera: «Non sono mai stata così felice di essere semplicemente sul campo come ad Atene. Questa è stata la chiave del mio successo, probabilmente. Ho giocato solo per me stessa, probabilmente per la prima volta nella mia carriera volevo vincere solo per me. Quando sono tornata, ho sentito di essere fortunata perché ho potuto giocare e fare ciò che amo di più. È una lezione per me. Spero di godermi le vittorie di più, d’ora in poi.»

 

Da aprile a fine stagione giocò solo quattro tornei a causa di un virus che le provocò un grave problema al sistema immunitario, dal quale si riprese solo in parte prima della stagione sulla terra – uscì al secondo turno del Roland Garros contro l’italiana Tathiana Garbin, ottantaseiesima del mondo – e che le costò la partecipazione al resto dei tornei da settembre in avanti.

 

Avrebbe dovuto ricominciare a giocare nel 2005, ma il ritorno sui campi venne ritardato da un infortunio alla rotula durante un allenamento. Riuscì a rientrare nel circuito solo a fine marzo, per il torneo di Miami: nonostante la sconfitta contro Maria Sharapova nei quarti (6-1 6-7 6-2), la condizione fisica della belga appariva in speranzoso miglioramento.

 



Come in un porto sicuro, a Parigi Justine Henin ebbe di nuovo la soddisfazione della vittoria di un Grande Slam, sia nel 2005 che nel 2006.

 

Nel 2005, il torneo fu conquistato in finale contro Mary Pierce con uno schiacciante 6-1 6-1 – la prima vittoria così netta a Parigi da quella di Steffi Graf nel 1988 – durante la quale non ci fu partita per la francese, che si vendicò, però, al quarto turno dello US Open successivo.

 

Se la terra rossa, di nuovo, era riuscita a curare i suoi mali, almeno superficialmente, l’erba di Wimbledon acuì un infortunio al tendine di una gamba: nella seconda parte dell’anno riuscì a giocare solo undici partite.

 

Nel Roland Garros 2006, invece, Justine Henin battè Anna-Lena Groenefeld nei quarti per 7-5 6-2, Kim Clijsters in semifinale per 6-3 6-2 e Svetlana Kuznetsova in finale per 6-4 6-4. In tutto il torneo, la belga non concesse nemmeno un set.

 

Di questi tre incontri, il più combattuto fu quello dei quarti, sia per l’incertezza del primo set, sia perché quel sentimento di rinascita che Henin aveva percepito così chiaro ad Atene due anni prima, la spinta decisiva a proseguire e a vincere, sembrava essere più presente che mai. La tedesca arrivava da un buon momento di forma (in generale il 2005 e il 2006 sono stati i suoi anni migliori) ed era quattordicesima in classifica, mentre per la belga la condizione fisica era ancora uno spauracchio.

 

Il primo set iniziò incerto, con Groenefeld che mise subito in difficoltà la campionessa uscente. Dopo un insperabile 4 pari nel primo set, Henin subì il controllo della partita e l’aggressività fisica della tedesca, che conquistò il 5-4 senza perdere di lucidità né cedere alla pressione, al contrario della belga, che appariva opaca sul campo, con poche idee.

 

https://www.youtube.com/watch?v=i4hffpNIOOk

(Dal minuto 5:49 al minuto 7:45) Justine Henin rientra in campo, dà uno sguardo veloce al cielo di Parigi e coglie qualcosa che solo lei può aver riconosciuto, lo protegge con la visiera del suo cappellino e serve una delle battute migliori della partita. Non è il momento di essere avari, rischia la seconda per il 30 a 0, una seconda centrale e potente, il rischio che da sempre sa quando è giusto osare. E lo fa di nuovo, per il 40 a 0, stavolta angolando la sua seconda opportunità. Infine il rovescio, uno dei migliori del mondo, uno dei migliori in assoluto nella storia del tennis femminile.


 

Da quella partita, la stagione ricominciò daccapo per Justine Henin, che giocò cinque finali su sei tornei a cui partecipò, vincendone tre (Eastbourne contro Anastasia Myskina, New Haven contro Lindsay Davenport e le Finals contro Amélie Mauresmo) e cedendone due (Wimbledon e US Open, rispettivamente alla francese e a Maria Sharapova), terminando comunque l’anno prima in classifica WTA.

 



Nel 2007 Justine Henin concluse la sua migliore stagione in carriera, con dieci titoli, confermò il primo posto finale in classifica WTA per la seconda volta consecutiva (terza in assoluto) ed entrò nel 2008 con una striscia di venticinque vittorie, nonostante quell’anno per lei fosse iniziato male e in ritardo. Saltò, infatti, la prima parte di stagione, Australian Open compreso, per problemi personali e conseguì risultati altalenanti fino alle prove su terra rossa, culminate con la conquista di un Roland Garros eccellente, il terzo consecutivo.

 

Quell’anno a Parigi la belga portò con sé da un lato un notevole carico di frustrazione, dall’altro la ferma volontà di non soccombergli: ripose sul suo terreno più felice i migliori intenti di riscatto. Vinse di nuovo senza lasciare alle avversarie nemmeno un set. Dai quarti in poi, giocati tutti contro tenniste in top ten, Henin fece vedere sul campo ciò che dall’inizio dell’anno le era mancato: concretezza, facilità di risposta, forma fisica, gestione della partita, grinta di gioco.

 

I quarti contro Serena Williams furono la chiave di volta sia del torneo sia dell’anno di Henin, non tanto per la forza dell’avversaria – Serena Williams in quel momento era ottava in classifica e affrontava uno dei momenti di rinascita della sua carriera – quanto per il modo in cui la belga portò a casa il risultato.

 

Le due si sono scontrate quattordici volte dal 2001 al 2010 e il bilancio di vittorie è a favore della statunitense per otto a sei. Nel 2007 hanno affrontato il maggior numero di incontri: a Miami, a Parigi, a Wimbledon e a New York, tutte partite giocate nei quarti eccetto la prima, l’unica finale, vinta da Williams.

 

Dopo i quarti, al Roland Garros Justine Henin battè Jelena Janković in semifinale (6-2 6-2) e Ana Ivanović in finale, per 6-1 6-2 in poco più di un'ora.

 

Nello stesso anno, arrivata a Wimbledon da favorita (aveva appena vinto contro Amelie Mauresmo in finale sull'erba di Eastbourne per 7-5 6-7 7-6), perse in semifinale contro la sorprendente francese Marion Bartoli – diciannovesima del mondo in quel momento – per 1-6 7-5 6-1.

 

Fu infine allo US Open che Justine Henin si ritrovò ancora una volta durante quel meraviglioso anno e, dopo aver vinto contro le sorelle Williams, affrontò in finale Svetlana Kuznetsova, vincendo con uno schiacciante 6-1 6-3, improntando la partita a senso unico. Come per l’Open di Francia, la belga non lasciò alcun set all’avversaria di turno.

 



Dopo un anno eccellente, il successivo si aprì con due record: il 14 gennaio 2008 Justine Henin iniziò la centesima settimana in carriera al numero uno WTA, il 10 marzo diventò la settima tennista nella storia a rimanere prima per dodici mesi consecutivi. A gennaio, ancora contro la russa Svetlana Kuznetsova, Justine Henin conquistò il torneo di Sydney in tre set (4-6 6-2 6-4): una vittoria in rimonta, più sofferta rispetto a quella di New York ma altrettanto convincente.

 

Poco dopo, però, lasciava gli Australian Open nei quarti, perdendo malamente contro Maria Sharapova per 6-4 6-0, e il torneo di Miami, ancora nei quarti, contro Serena Williams per 6-2 6-0.

 

Maria Sharapova sembrava inarrestabile e dava la prospettiva ancora più amplificata di una Henin che per quanto provasse a rimanere in partita, non ci sarebbe riuscita. E che ci fosse qualcosa in più dietro quella performance negativa è un dettaglio che può essere riconosciuto solo a posteriori. Ciò che in quelle settimane apparve comunque lampante fu che il periodo nero non era finito.

 

Quando si domanda a un tennista di più di trent’anni per quanto ancora giocherà – succede spesso oggi con Roger Federer o Serena Williams, per esempio – la prima decisa risposta è che sta bene fisicamente. Non è un caso. Imparata la tecnica e la gestione emotiva delle partite, a un tennista di talento basta allenarsi, migliorare, non cedere al dolore fisico né perdere il desiderio di competere, mantenere il corpo più composto possibile, lontano da infortuni e recuperi, crepe complicate da rimettere insieme.

 

L’equilibrio del corpo è l’ultimo ad arrivare e il primo ad andarsene; per chi possiede questa qualità fin dall’inizio della carriera, il segno premonitore dell’abbandono è ancora più evidente.

 

Ciò che noi non avevamo visto così chiaramente, a Justine Henin risultò invece come un lampo. A maggio, prima dell’inizio del Roland Garros, annunciò il suo ritiro a soli venticinque anni, al top della carriera e della classifica: «Non sono triste, sono più che altro sollevata. So che è uno shock per molte persone, ma è una decisione a cui ho pensato a lungo. […] È la fine di una meravigliosa avventura, la fine di qualcosa che ho sognato da quando avevo cinque anni.» (

.)

Ma non era ancora finita.

 



Il servizio è il colpo che Justine Henin ha migliorato notevolmente nel corso della sua carriera e che non è mai stato considerato uno dei suoi punti forti. Eppure, nella seconda di servizio risiedeva una sua peculiarità mentale: spesso ripeteva la battuta senza cedere un’oncia di rischio. Non tornava alla linea di fondo preoccupata, come tutti, di dover evitare il doppio fallo, ma decisa a correggere ciò che la prima volta non aveva funzionato. E ciò non implicava minore aggressività o angolazione o potenza, anzi: era come se non avesse a cuore il dopo, la partita, la vittoria finale, ma soltanto il momento presente da costruire perfetto. Una sorta di estrema fiducia nelle seconde occasioni.

 

A settembre 2009, Justine Henin annunciò il ritorno alle competizioni per l’anno successivo, evento salutato in modo favorevole dall’ambiente tennistico, non soltanto a causa della brutalità del ritiro, ma soprattutto per la mancanza che aveva provocato. Durante il periodo fuori dai campi, la belga si era occupata di attività benefiche, della

nata nel 2007 e, in generale, della sua vita privata. Il suo allenatore di una vita, Carlos Rodriguez,

il rientro con la ricerca di una vittoria a Wimbledon, unico Slam a mancarle, mentre Henin

di una fiamma che si era riaccesa.

 

Nel 2010, già a Melbourne riuscì a gareggiare a un ottimo livello, arrivando in finale contro Serena Williams e perdendo, però, 6-4 3-6 6-2. Giocò una partita senza risparmio né mancanza di motivazione, che lasciò la sensazione di un ritorno per nulla nostalgico, basato sula convinzione di poter riallacciare il nodo laddove era stato reciso.

 

https://www.youtube.com/watch?v=iF2utjD9Ikg

Una collana di punti quasi tutti perfetti.


 

Dopo l’uscita prematura al Roland Garros al quarto turno, però, l’intento di conquistare Wimbledon quell’anno fallì: Justine Henin venne fermata sempre al quarto turno da Kim Clijsters per 2-6 6-2 6-3. Il terzo set fu uno dei migliori giocati dalle due, nonostante Henin si fosse ferita un gomito scivolando. In quell’occasione fu, letteralmente, tradita dall’erba di Wimbledon perché proprio quell’infortunio, con conseguente parziale rottura dei legamenti del gomito, non le permise di finire la stagione, di riprendere l’inizio della seguente, di conquistare l’ultimo Slam che le mancava e la costrinse a ritirarsi per la seconda volta, quella definitiva, dal tennis professionistico il 26 gennaio 2011.

 



Justine Henin trovava la solidità dei colpi migliori cercando di gestire completamente il suo corpo. Se immaginassimo una linea che la attraversi dalla testa ai piedi, potremmo notare che i movimenti di gambe e le rotazioni degli arti inferiori rimanevano fluidi e solidi sul campo, senza rinunciare mai alla potenza, alla profondità, alla sorpresa di un anticipo. Aveva una capacità di gambe, di copertura del campo e di equilibrio assoluti, era una tennista pratica ma al tempo stesso lieve, tanto che nel 2007 Martina Navratilova,

, disse che sulla terra in quel momento Justine Henin era superiore a chiunque altro e che il circuito aveva «il Federer femminile, o forse come se i ragazzi avessero la Justine Henin maschile». Nello stesso anno, dopo lo US Open, Billie Jean King l’ha

la migliore atleta che avesse mai visto, sentimento ripreso anche da

.

 

La delicatezza di Justine Henin stava nell’esercizio ostinato delle sue qualità, in una cura senza pari di ciò che il tennis significava per lei, nel presente di una partita come fuori dal campo. Si legge

:

 

«Oggi diamo il benvenuto a studenti/giocatori da tutto il mondo che hanno un progetto di crescita personale e tennistica. La filosofia della Justine Henin Academy si basa sul fatto che la performance non dovrebbe essere fine a se stessa. Il risultato di un’attività è essenzialmente il risultato di uno stato mentale.»

 

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