Qualche settimana fa stavo guardando l’Europeo Under-21, Austria e Serbia si affrontavano a Trieste, in una sfida primo novecentesca. Gli spalti del Nereo Rocco, bellissimi coi suoi seggiolini rossi, erano così vicini al campo che non sembrava di essere in uno stadio italiano. L’Austria non toccava il pallone, ma stava vincendo per uno a zero, compatta e organizzatissima nella propria metà campo si muoveva coltivando l’illusione di essere un corpo solo, come un esercito napoleonico. Dall’altra parte la Serbia sembrava invece un insieme di mercenari che non parlava la stessa lingua, ogni giocatore preso a seguire il proprio personale spartito. A un certo punto, con la maglia numero 10 e la fascia da capitano al braccio, è comparso Andrija Zivkovic.
Quando Zivkovic era considerato un giovane prodigio, nel 2014, eravamo in un’epoca diversa. Barack Obama era ancora il presidente degli Stati Uniti e Netflix doveva ancora sbarcare in Italia. È qualche stagione che non si parla più di lui come uno dei migliori talenti al mondo, come è possibile che sia ancora in un Europeo Under-21, una competizione che in teoria dovrebbe funzionare da vetrina dei migliori giovani al mondo?
Non potevo credere che Zivkovic fosse ancora così giovane: neanche 23 anni e già così masticato dal ciclo mediatico del calcio contemporaneo, che lo ha già visto giovane promessa, poi povero stronzo e infine riserva con qualche potenzialità in una squadra della medio-alta borghesia europea come il Benfica. Mi sono chiesto se era un problema di Zivkovic, di come i media raccontano il calcio giovanile oppure se si trattasse proprio di una specie obsolescenza precoce causata dal sistema moderno di selezione/formazione/consumo del talento. Probabilmente, un mix di tutte e tre le cause.
Allora ho aperto la lista dei convocati all’Europeo Under-21 (che nel frattempo si è concluso con la vittoria della Spagna) e non immaginavo di trovare un cimitero degli elefanti del genere. Le squadre erano piene di giocatori che abbiamo già smesso di considerare forti, su cui ci siamo già arresi all’idea di un loro fallimento. Oppure giocatori che si sono già normalizzati, ingrigiti nella classe impiegatizia delle squadre europee. Il calcio contemporaneo crea un orizzonte di aspettative così pressante e precoce che è diventato quasi automatico, per un giovane talento, passare per il momento in cui deluderà le aspettative, prima magari di dimostrare il suo reale valore, oppure di risistemarsi su un livello per forza inferiore rispetto a quello che credevamo.
Se ci pensate, vale quasi per ogni grande talento del calcio che seguiamo ogni giorno – tranne che per qualche prescelto come Ronaldo, Messi o Mbappé. Tutti ci siamo sentiti traditi dalle mancate promesse di un giovane calciatore (su UU abbiamo dedicato una rubrica a questa esperienza comune) e persino i talenti più puri e indubbi – come Neymar, Modric, Bale – hanno attraversato uno, se non più momenti in cui non sono sembrati all’altezza di quanto avevano promesso.
Siamo al paradosso secondo cui per molti giocatori questo Europeo Under-21 serviva più per dimostrare di non essersi ancora bruciati che per mettersi davvero in mostra. Ho raccolto una lista di giovani che in questi Europei mi sono sembrati più vecchi dell’età reale che hanno, che pensavamo spariti, ma che a tutti gli effetti sono ancora troppo giovani per essere dichiarati finiti.