Alla fine della scorsa Premier League il Tottenham poteva vantare:
- La miglior difesa (35 gol subiti, come il Manchester United)
- Il secondo miglior attacco (69 gol, 2 in meno del Manchester City)
- Il maggior numero di occasioni create (658)
- La quarta miglior performance nel numero di tiri concessi (11,1 a partita)
Eppure, non è bastato per approfittare del vuoto di potere lasciato dai grandi club, e anzi, rimasti a un certo punto gli unici rivali del Leicester per la conquista del campionato, gli “Spurs” hanno consegnato il titolo alla squadra di Ranieri pareggiando 2-2 con il Chelsea, sprecando un vantaggio di due gol.
Un’altra beffa si è poi consumata all’ultima giornata, quando la sconfitta per 5-1 contro il Newcastle ha regalato all’Arsenal il sorpasso al secondo posto: un traguardo effimero, ma molto sentito nella rivalità tra i due club del nord di Londra – basti pensare alla tradizione dei tifosi dei “Gunners” del St. Totteringham’s Day, che si celebra nel giorno in cui l’Arsenal si assicura la matematica certezza di finire il campionato davanti al Tottenham: una maledizione per gli “Spurs” che dura da 21 stagioni (per dire, Dele Alli non era ancora nato l’ultima volta che il Tottenham ha finito la stagione sopra l’Arsenal in classifica).
Quest’anno il gioco della squadra di Mauricio Pochettino è salito ulteriormente di livello e il Tottenham è nel pieno della miglior stagione della sua storia in Premier League. Gli “Spurs” potrebbero infatti ritoccare tutti i record nelle voci che compongono la classifica: punti, vittorie, sconfitte, gol segnati e subiti. Attualmente vantano il maggior numero di occasioni create (561) e il secondo miglior attacco della Premier (68 gol); hanno migliorato i dati sul possesso palla (57,1% in media a partita, terzo miglior dato del campionato) e sulla precisione dei passaggi (82,5%), ma soprattutto concedono ancora meno tiri agli avversari (9 in media a partita) e vantano la miglior difesa del campionato (22 gol subiti).
Competere senza vincere
Eppure, ancora una volta, tutto questo potrebbe non essere sufficiente a strappare il primo posto al Chelsea, nonostante la distanza (dopo la sconfitta della squadra di Conte all’Old Trafford) si sia accorciata a 4 punti, un margine che concede speranze di rimonta, ma che i “Blues” possono ancora gestire a 6 giornate dalla fine.
Le aspettative intorno al Tottenham sono cresciute insieme alle prestazioni, ed è opinione comune in Inghilterra che i miglioramenti nel gioco dovrebbero essere coronati da un titolo. Così, prima della partita contro lo Swansea, Pochettino è intervenuto per rimettere le cose in prospettiva: «Date un occhio alle prime sei squadre, agli investimenti e a tutto quello che succede in Premier League. Invece di parlare di vincere titoli, bisognerebbe riconoscere che il Tottenham merita maggiore rispetto. Tutti noi vogliamo vincere, ma dobbiamo essere realisti: vincere un trofeo non è facile come andare in un negozio a comprare una penna».
È difficile dar torto all’allenatore argentino: il Tottenham, per fatturato e stipendi, è molto lontano dai cinque club più ricchi (i due di Manchester, Chelsea, Liverpool e Arsenal). Imporsi stabilmente nelle prime tre posizioni è quindi già di per sé un grande traguardo. Ma d’altra parte è altrettanto ragionevole l’argomento di chi vede la vittoria di un titolo come naturale completamento del percorso di crescita: il Tottenham è tra le migliori squadre d’Inghilterra e ha davanti a sé l’occasione, forse irripetibile, di sfruttare le crisi più o meno gravi dei grandi club.
Cosa manca quindi agli “Spurs”? E come valutare la loro stagione?
Continuità
Dall’anno scorso non è cambiato molto. La qualificazione in Champions League ha contribuito a trattenere le stelle della squadra e gli sforzi sul mercato si sono quindi concentrati su giocatori da inserire nelle rotazioni, specie nel reparto avanzato. Oltre al portiere Pau López, preso in prestito dall’Espanyol, sono così arrivati Moussa Sissoko, Vincent Janssen, Georges-Kévin N’Koudou e Victor Wanyama. A eccezione di quest’ultimo, tutti hanno faticato a trovare minuti, a dimostrazione di quanto sia difficile entrare in un sistema collaudato e fortemente connotato secondo certe caratteristiche.
Se Janssen e N’Koudou hanno ovviamente sofferto la concorrenza con i titolari nel reparto avanzato (Kane e i vari trequartisti), Sissoko, acquistato per ben 30 milioni di sterline nell’ultimo giorno del calciomercato estivo, ha pagato la particolare interpretazione del ruolo di esterno richiesta da Pochettino. Nel modello di gioco dell’allenatore argentino gli esterni sono di fatto dei trequartisti, chiamati a entrare dentro il campo per innescare le combinazioni negli ultimi 30 metri nello spazio tra difesa e centrocampo avversari. Sissoko è costretto quindi a muoversi in spazi troppo stretti per mettere in mostra il suo strapotere atletico e le sue caratteristiche conduzioni. Anche per questo il suo impatto è stato deludente.
Non ha deluso invece Wanyama, entrato immediatamente nella formazione titolare come schermo difensivo e pienamente a suo agio in un ruolo che non gli dà grandi responsabilità in fase di costruzione e gli affida soprattutto il compito di recuperare palloni (1,2 intercetti per 90 minuti in media e 3,9 contrasti tentati, con il 72% di successo). L’ingresso in squadra di Wanyama è stato uno dei motivi che ha spinto Pochettino a cambiare in maniera stabile il sistema: dal 4-2-3-1 a 3-4-2-1, per inserire Wanyama e far convivere tutti i giocatori chiave. Il keniota ha occupato infatti la posizione di proprietà, fino all’anno scorso, di Eric Dier, uno dei pilastri della squadra e tatticamente troppo importante per scivolare in panchina. Pochettino ha preferito rinunciare a un trequartista (Son) pur di abbassare Dier nella difesa a 3 con Alderweireld e Vertonghen: dietro la punta si schierano così solo Dele Alli e Christian Eriksen.
Pochettino si è dimostrato estremamente flessibile nella scelta dei moduli: oltre ai due sistemi base, il 4-2-3-1 e il 3-4-2-1, ha sperimentato ad esempio il 4-3-3 nella trasferta col Gent in Europa League o il 4-3-1-2 nella gara di campionato contro il West Ham. Una varietà che permette al Tottenham di adattarsi ai contesti tattici che si trova ad affrontare di volta in volta e di cambiare con disinvoltura a gara in corso. Quasi tutti i titolari possono giocare in più ruoli, il che permette a Pochettino di modificare la situazione in corsa senza ricorrere alla panchina. Nella gara con lo Swansea, ad esempio, l’allenatore argentino ha modificato almeno quattro volte il proprio schieramento, scivolando con disinvoltura dal 4-2-3-1 iniziale al 3-4-2-1, per poi tornare a un 4-2-3-1 ancora più offensivo (con Eriksen da interno di centrocampo), con cui ha ribaltato la partita (da 0-1 a 3-1) negli ultimi minuti.
La flessibilità tattica e la duttilità dei giocatori (su tutti Dier: interno di centrocampo, centrale nella difesa a 3 o a 4, l’inglese è sempre in campo) ha permesso di assorbire senza scadimenti particolari nelle prestazioni le diverse assenze per infortuni o squalifiche. Da Lamela, che ha praticamente saltato l’intera stagione, a Dembélé e Alderweireld o, più di recente, Wanyama e Kane: pedine chiave che Pochettino ha saputo sostituire mantenendo comunque un livello piuttosto alto.
Automatismi e varietà
Merito soprattutto di un’identità ben definita: se gli schieramenti possono cambiare, i princìpi di gioco sono gli stessi di sempre. E alla terza stagione con Pochettino in panchina, è inevitabile che l’esecuzione si sia affinata. L’uscita del pallone dalla difesa viene garantita da quattro o cinque giocatori: i tre difensori centrali e i due interni di centrocampo quando gli “Spurs” si schierano col 3-4-2-1; i due difensori centrali e i due interni di centrocampo nel caso del 4-2-3-1, con la possibilità che un terzino resti più bloccato per aiutare la costruzione.
Di solito è la presenza di Eriksen a determinare la posizione asimmetrica dei due terzini: il danese abbandona presto la teorica posizione di esterno per entrare dentro il campo a facilitare la risalita del pallone, anche abbassandosi a centrocampo. Sulla sua fascia l’ampiezza in zone avanzate deve essere quindi garantita dal terzino, che si alza velocemente fin dalle prime fasi dell’azione. Questa attitudine di Eriksen si combina bene con le caratteristiche dei terzini (Walker e Trippier a destra, Rose e Davies a sinistra), bravi a spingere e a loro agio nel garantire una presenza costante sulla trequarti avversaria.
Il set di movimenti previsti da Pochettino per portare fuori il pallone dalla difesa è comunque piuttosto vario (dalla salida lavolpiana all’abbassamento degli interni di centrocampo negli spazi lasciati dai terzini) e permette al Tottenham di adattarsi agevolmente alle prime linee avversarie per trovare gli spazi in cui far partire l’azione. A quel punto la palla raggiunge le zone avanzate o grazie a un passaggio in verticale a tagliare le linee oppure grazie alla conduzione di un difensore centrale o di Dembélé.
È ovvio che la presenza di un trequartista in più nel 4-2-3-1 facilita l’occupazione degli spazi negli ultimi 30 metri, specie quando tutti e due i terzini sono alti e gli esterni possono entrare dentro il campo. In quel caso il Tottenham ha maggiori possibilità di dare il via alle combinazioni per arrivare al tiro. Lo sbilanciamento viene compensato da un atteggiamento molto aggressivo a palla persa: i due interni di centrocampo seguono da vicino l’azione per accorciare immediatamente in caso di perdita del possesso (come in occasione del gol di Son al Bournemouth, generato da un recupero di Dier, schierato a centrocampo), e anche la posizione più bloccata di un terzino (solitamente quello sinistro, dato che Eriksen gioca prevalentemente a destra), oltre a garantire maggiore copertura in caso di errore nelle prime fasi dell’azione, aggiunge un giocatore, posizionato solitamente appena fuori l’area di rigore avversaria, per forzare il recupero immediato del possesso.
Gli spazi alle spalle dei terzini, sia quando entrambi sono alti sia quando uno è più bloccato, restano comunque facilmente attaccabili in transizione dagli avversari.
Il Chelsea è una delle squadre ad averne approfittato.
Il 3-4-2-1, al contrario, garantisce una struttura più equilibrata e meno esposta alle ripartenze avversarie. Allo stesso tempo gli “Spurs” perdono parte della loro imprevedibilità (la rinuncia a un trequartista, con l’ampiezza che deve essere sempre garantita dai due laterali, mentre nel 4-2-3-1 un esterno poteva rimanere largo ed essere isolato nell’uno contro uno) e della loro aggressività a palla persa: non è raro infatti che il triangolo di centrocampo ruoti (un vertice basso e due mezzali) per ristabilire l’ampia occupazione degli ultimi 30 metri persa con la rinuncia a un trequartista.
In quel caso resta solo un centrocampista ad accorciare nella zona in cui viene persa la palla e toccherebbe ai centrali di difesa occupare le zone strategiche fuori dall’area di rigore avversaria, uscendo molto in alto rispetto alla loro posizione. Un rischio che va calcolato attentamente e che infatti suggerisce il più delle volte la scelta più prudente di restare in copertura della propria metà campo.