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La nascita del Wunderteam
24 set 2020
Un estratto dal libro "Una casacca di seta blu", di Paolo Frusca.
(articolo)
8 min
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Pubblichiamo un estratto del romanzo "Una casacca di seta blu" di Paolo Frusca, uscito da poco per Mondadori. Il capitolo racconta la nascita del leggendario Wunderteam.

Vienna, 1931

15

Ora l’ho intravisto, almeno credo, nella folla di passeggeri dentro l’atrio principale della stazione Westbahnhof.

Sì, è lui: impermeabile addosso e cappello in mano, alza la mano destra per salutarmi appena mi vede. Arriva di fronte a me e il sorriso è amaro, fatico a riconoscerlo così.

«Grazie di essere venuto.»

Voce senza smalto, sarà la stanchezza del viaggio, ma lo vedo opaco e non è da lui. Ci abbracciamo. «I tuoi bagagli dove sono?». Lui indica la sola piccola valigia che sta portando. «Tutto qui.». Tutto ciò che ha con sé dai lunghi anni passati in America: una piccola borsa di cuoio e qualche capello in meno sulla testa. Meglio non fare più domande. Sono semplicemente felice di rivederlo.

Scendiamo la scalinata e cerchiamo un taxi.

«Arrivi giusto in tempo, se non sei troppo stanco, prima di accompagnarti a casa andrei a sentire la conferenza stampa di Hugo Meisl. Ti va? Roba grossa, ha convocato tutti i giornalisti di Vienna, domani giochiamo contro la Scozia, aria di rivoluzione in nazionale. Così ci mangiamo anche qualcosa, come sempre lui organizza questi incontri al ristorante».

Béla parla a voce bassa: «Hugo lo rivedo volentieri, magari conosce qualche squadra che sta cercando un allenatore».

Ecco la vettura per noi. Saliamo al volo.

Dico al tassista l’indirizzo e seguito a parlare con Béla: «Allenatore? Un giocatore, vuoi dire, un centrocampista come te, con la squadra in pugno, uno con tecnica, grinta e tanta geometria in mezzo al campo. Ci sei mancato qui nel vecchio mondo».

Mi guarda mesto. «Sono finiti quei tempi, Willi, non sto più in piedi. E se non posso essere il migliore in campo, preferisco piantarla qui.» Spero ci ripensi ma, se lo conosco un po’, non lo farà: è troppo orgoglioso per arrivare secondo su un pallone o lasciar andar via un attaccante avversario senza contrastarlo. Ma che prima o poi avrebbe fatto l’allenatore, di questo ero sicuro, e sono anche certo che sarà un grandissimo allenatore.

Entriamo nel locale dove Meisl ha organizzato l’incontro coi giornalisti: il Ring Café, in pieno centro.

È stracolmo, fortunatamente dal giornale mi hanno riservato un tavolo. Mi guardo intorno, sono tutti qui.

La stampa austriaca è in subbuglio da mesi, la posizione di Hugo Meisl come selezionatore della nazionale traballa vistosamente, siamo in crisi di risultati ma soprattutto di gioco.

Non sono ancora seduto che un collega si avvicina e mi grida nell’orecchio: «Oggi gli leviamo la pelle a Hugo! Se di nuovo non ha convocato Cartavelina non la passa liscia!».

Sono sempre affascinato dal fatto che quella mia primissima descrizione immaginifica di Matthias Sindelar, delle sue qualità di giocatore e della sua indubbia fragilità fisica abbia portato, negli anni, ad affibbiargli esattamente quel soprannome: Cartavelina! Quasi mi sento in colpa.

I commenti dei giornalisti intorno sono unanimi. «Dalla Scozia domani ne prendiamo tre, quattro, o forse di più».

Molto pessimismo e rabbia. E impazienza, anche. Guardo l’orologio: il protagonista che tutti attendiamo è in ritardo di trentacinque minuti.

A Hugo Meisl le messinscene sono sempre piaciute, adora essere al centro dell’attenzione. Così è anche stavolta: oggi ci lascia attendere nel locale per più di mezz’ora, poi appare, improvvisamente, da un ingresso laterale del caffè: elegantissimo come al solito, un cameriere gli si avvicina, timoroso, e lui porge bastone, pastrano e bombetta. Béla mi dà di gomito. «Che ingresso, che istrione, sarebbe stato un grande attore». Brusio inquieto dei presenti. Un altro cameriere arriva e gli offre un pacco di quotidiani freschi di stampa. Lui si è fatto riservare un tavolo dal quale può dominare la sala. Si siede, senza fretta, nonostante sia in ritardo, apre un giornale, proprio la mia testata, non so se sia un onore o una velata minaccia! Quindi si accende un sigaro, accavalla le gambe e inizia a leggere. Mi sembra che sbirci davanti a sé per valutare la reazione del suo pubblico: l’élite del giornalismo sportivo austriaco, anzi, del giornalismo austriaco tout court, che è lì, in attesa impaziente delle sue parole.

E lui si gusta ogni singolo istante.

«Egregi signori!» Finalmente saluta, sembra essersi accorto di noi solo ora. «Grazie di essere venuti. Immagino stiate aspettando qualcosa da me. Arrivo subito al punto: come ben sapete domani giochiamo contro i maestri scozzesi, e non sarà facile. Loro in Europa non hanno mai perso e voi, come sempre, state mettendo il povero selezionatore sulla graticola, la vostra specialità».

Risatine del pubblico.

Meisl prosegue. «Abbiamo avuto ultimamente contrasti sul mio modo di far giocare la squadra, so che vorreste più, diciamo così, inventiva, qualche colpo di genio e meno corsa, ho sentito a questo proposito malumori sull’esclusione del signor Sindelar. Io non sono d’accordo, resto dell’idea che senza ritmo e aggressività le partite non si vincono, tuttavia...» Qui fa una lunghissima pausa. «... Ho deciso la formazione per domani, e vado a comunicarvela».

Ha una personalità magnetica, non stupisce che abbia in mano le sorti del football europeo, che abbia avuto intuizioni geniali e straordinarie come la Mitropa Cup. O la necessità di passare al professionismo per vedere grandi squadre e grandi partite.

La stampa presente rumoreggia d’impazienza, freme, un fiume in piena di attese e curiosità, tutti gli occhi sono rivolti al selezionatore.

Che succede? Pare che dovremo attendere ancora: un cameriere arriva al suo tavolo e, assieme alla tazza di caffè, gli porge un menu del locale. Un grande, doppio, foglio azzurrino. A che scopo? Lui ha già ordinato, evidentemente, a cosa gli potrebbe servire di nuovo il menu? Una stranezza, mi sembra l’ennesima scena preparata, anche perché il cameriere trattiene a stento le risate.

Meisl ringrazia, poggia appena le labbra sulla tazza e poi la ripone lentamente sul tavolo con espressione disgustata. Manca zucchero. Con calma riempie per due volte un cucchiaino e lo versa nel caffè.

Ci guarda ironico.

Toglie dal taschino una penna stilografica d’oro e inizia a scrivere su quel foglio. Io sono in prima fila, a pochi passi da lui, e nel silenzio di tomba lo sento quasi compitare fra sé, man mano procede nella scrittura. Il pennino stride sulla carta ruvida. «Hiden, Schramseis, Blum...». Scrive con calma, con ampi gesti del polso. Ogni tanto si ferma e soffia per asciugare l’inchiostro. Béla sogghigna e mi dice a bassa voce: «Sembra un incantatore di serpenti, avrebbe dovuto lavorare in un circo. Nemmeno io sarei stato in grado di mettere su questa strepitosa sceneggiata». «Schall, Vogl...».

Pausa. Prolungata. Poi il nome che tutti attendevano.

«Sindelar...». Ha terminato. Soffia ancora sul menu del ristorante. Ora afferra quel foglio di carta, si alza e fissa tutti i presenti, uno per uno, quindi senza urlare, ma scandendo bene le parole dice: «Da habt’s euer Schmieranski-Team!». Ride e lancia in alto il foglio azzurrino, che volteggia per un istante nell’aria fumosa del locale, poi atterra esattamente sul mio tavolo, senza rovesciarmi addosso né caffe né latte né zucchero, una specie di miracolo. In un attimo sono circondato da colleghi, ci strappiamo di mano quel reperto, leggiamo ad alta voce la formazione che Meisl ha vergato, e ne esce una combinazione irresistibile, poiché i nomi dei giocatori che scenderanno in campo domani contro la Scozia sono scritti in bella grafia fra antipasti, contorni, zuppe e bevande che si possono ordinare al Ring Café, prezzi compresi.

Grande euforia fra i giornalisti, Sindelar giocherà, finalmente: torna in campo dopo quattordici partite della nazionale viste dalla tribuna, e il suo nome, sottolineato, appare fra la zuppa di patate, che costa uno scellino e cinquanta centesimi, e la birra piccola, a ottanta centesimi.

Ho copiato i nomi della formazione. Non vedo l’ora di correre al giornale e buttare giù la notizia per l’edizione di domani! Meisl ha ceduto evidentemente alle pressioni della stampa e farà giocare i più dotati tecnicamente, sacrificando magari corsa e ritmo. Vediamo come andrà a finire.

Noto ora che sta discutendo con Béla, si conoscono da tanti anni. Mi avvicino in tempo per sentire Meisl dirgli: «Perché non vai in Olanda? A Enschede cercano un allenatore, io sono amico del presidente, se vuoi gli scrivo io...». Contro la Scozia è stata una vittoria incredibile, inaspettata: cinque a zero. Un risultato talmente imprevisto che non riesco nemmeno a pronunciarlo, me lo devo ripetere in testa: cinque a zero! Sindelar ha ricamato calcio per novanta minuti, ha servito tre assist e realizzato la nostra quinta rete. Dalla tribuna di Hohe Warte vedo i giocatori in maglia bianca che si abbracciano a centrocampo. I blu d’oltremanica si congratulano coi nostri, strette di mano e molta sportività, credo in realtà siano più sorpresi che delusi: mai sconfitti prima in Europa, oggi non gli abbiamo proprio fatto vedere il pallone.

Hugo Meisl passeggia a bordocampo, marcia a passo veloce, anzi, con bombetta e bastone, la faccia è soddisfatta ma, se lo conosco bene, una punta di amarezza per avere visto trionfare un calcio non esattamente aderente alla sua visione del Gioco credo ce l’abbia, anche se riesce a mascherarla bene, da attore qual è.

Oggi qui è nato qualcosa di grande.

Vienna, 16 maggio 1931, stadio Hohe Warte. Austria-Scozia 5-0.

Austria: Hiden, Schramseis, Blum, Braun, Smistik, Gall, Zischek, Gschweidl, Sindelar, Schall, Vogl (all. Meisl).

Scozia: Jackson, Nibloe, Bray, McNab, Walker, McDougall, Love, Robertson, Patterson, Easson, Liddle (all. Fleming).

Arbitro: Ruoff (Svizzera). Spettatori: 40.000. Marcatori: Schall 27’, Zischek 29’ 69’, Vogl 49’, Sindelar 79’.

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