Un nuovo vecchio mondo
Come è cambiata la NBA dopo la scelta di Gordon Hayward, il passaggio di Danilo Gallinari a L.A. e tutte le altre firme del mercato.
La scialuppa di salvataggio dei Clippers
Per qualche breve istante, dopo l’addio di Chris Paul e l’ottimo pacchetto di ritorno che sono riusciti a scucire a Houston, si era sparso il pensiero selvaggio che gli L.A. Clippers potessero far saltare tutto per aria e iniziare una specie di “Process 2.0” nella Western Conference. Invece la scelta ricevuta dai Rockets è durata meno di una settimana tra le mani di Doc Rivers ed è stata immediatamente utilizzata per facilitare la sign & trade che ha portato Danilo Gallinari a Los Angeles con un contratto da 65 milioni di dollari in tre anni, stipendio che lo rende — anche al netto delle tasse e del cambio dollaro-euro — l’atleta più pagato dello sport italiano.
Dal punto di vista del “Gallo”, era difficile fare meglio di così. Dando come irrealizzabili le possibilità di andare in una contender — a meno di ridursi sensibilmente lo stipendio fino a scendere alla Mid-Level da 8 milioni, cosa estremamente sconsigliabile per un 29enne con quella storia clinica e atteso all’ultimo contratto di un certo tipo della carriera —, il Gallo ha comunque trovato una squadra di veterani con ambizioni da playoff, con due All-Star conclamate, un allenatore con pedigree di titolo, un dirigente leggendario come Jerry West (a proposito: dobbiamo attribuire a lui i meriti o i demeriti di questa ricostruzione?), un proprietario dal portafoglio senza fondo come Steve Ballmer e, ciliegina sulla torta, una città con la qualità di vita del livello di Los Angeles. Mettendo assieme tutti questi pezzi, poteva davvero fare meglio di così?
Discorso diverso è quello che riguarda i ragionamenti che hanno guidato i Clippers nella costruzione della squadra. Come avevamo scritto a fine gennaio, Gallinari a questo punto della sua carriera è più un 4 che un 3, quasi più difensivamente che offensivamente. La presenza di Blake Griffin, però, rende molto difficile il suo utilizzo in pianta stabile nel ruolo a lui più congeniale e per quanto i due possano anche funzionare in attacco grazie al talento e alla versatilità dentro-fuori del Gallo e le doti di playmaking di Blake, è difficilmente sostenibile nella metà campo difensiva. Gallinari ha perso la mobilità laterale necessaria per inseguire i 3 che infestano i perimetri della lega, specialmente quelli più atletici, e se coinvolto in un pick and roll con Milos Teodosic (uno che difendeva poco e male in Europa, figuriamoci in NBA) promette di mandare in crisi i propri compagni di squadra ad ogni possesso anche senza considerare i limiti di Blake Griffin.
Nel frattempo, enjoy.
Bisogna poi anche prendere in considerazione, purtroppo, la scarsa consistenza della salute di Danilo: le 63 partite disputate nella scorsa stagione sono il suo massimo da quando si è rotto il legamento crociato nell’aprile del 2013, e per quanto il totale del 2016 sia stato inficiato dal tanking di fine stagione, i dubbi sulla sua resistenza agli infortuni rimangono.
I Clippers hanno scommesso fortissimo su questo gruppo per fare comunque i playoff e convincere DeAndre Jordan a rimanere, ma dovranno impegnarsi sul serio per riuscirci vista la tremenda concorrenza della conference. Strutturati così, i ragazzi di Doc Rivers hanno dei seri limiti strutturali di atletismo, tiro e sovrapposizioni di ruoli da dover risolvere prima di poter competere per un posto tra le prime otto. Dopo l’acqua imbarcata per l’addio di Chris Paul, i Clippers avrebbero potuto lasciare che il veliero affondasse; invece si sono caricati tutti quanti sulla scialuppa di salvataggio alla bell’e meglio, sperando di riuscire a resistere alla mareggiata della Western Conference.
Kevin Durant ha rinunciato a 10 milioni per fare in modo che Golden State potesse firmare Nick Young.
Ok, ora rileggete la frase qua sopra una decina di volte e pensate a quanto sia folle quello che è successo.
Durant aveva già permesso agli Warriors di mantenere la flessibilità necessaria per trattenere Andre Iguodala e Shaun Livingston (e fin qui nulla da dire) facendo capire che si sarebbe accontentato del “mini-max” da 31.8 milioni, ma è andato addirittura oltre prendendo addirittura meno soldi dell’anno scorso semplicemente per abbassare la luxury tax dei proprietari degli Warriors — che vedranno il valore della franchigia decollare a livelli mai visti non appena trasferiranno la squadra nella nuova arena di San Francisco. Chiaro, poi la dirigenza degli Warriors ha portato in squadra Nick Young e Omri Casspi, oltre a riconfermare Zaza Pachulia e David West (in attesa di capire se utilizzare l’ultimo posto a roster per JaVale McGee), ma è abbastanza assurdo il favore che KD ha fatto per fargli semplicemente risparmiare dei soldi — in un’epoca in cui LeBron James, dall’altra parte degli Stati Uniti, esce dal suo silenzio estivo per chiedere che Steph Curry venga pagato 400 milioni invece dei 200 imposti dalla presenza di un cavillo anti-capitalista come il massimo salariale.
Dion Waiters, James Johnson e Kelly Olynyk a Miami
Tra gli effetti collaterali della scelta di Hayward rimane la decisione di Pat Riley di utilizzare lo spazio salariale per confermare il gruppo che nella seconda metà dello scorso anno ci ha regalato una delle più improbabile rincorse ai playoff della storia recente. Waiters è stato confermato con un quadriennale da 52 milioni di dollari; James Johnson anche, ma per 60 milioni (pur avendo una team option sull’ultimo anno) e sempre per la stessa durata è stato preso Kelly Olynyk a 50 milioni complessivi. In questo modo Riley riconsegna a Erik Spoelstra sostanzialmente la squadra dello scorso anno a cui aggiungere la versatilità di Olynyk (che forse farà il Luke Babbit 2.0 da titolare, ma sarebbe probabilmente al suo meglio da 5 tattico piuttosto che da 4) e il rientro di Justise Winslow, che all’inizio della scorsa stagione era stato impostato come “Kawhi Leonard Project” e ora si trova una situazione del tutto diversa in cui cercare di sviluppare il suo talento. La durata dei contratti e il monte salari già ampiamente esaurito fa pensare che questa sia l’ultima squadra creata da Riley prima del meritato ritiro dalle scene: il caro vecchio Pat ha sempre un piano, e in questo caso sembra essere quello di godersi una squadra da playoff ma senza lasciarsi la flessibilità necessaria per portare una o più stelle in squadra, stile Heatles 2010.
Patrick Patterson a Oklahoma City
Per qualità del giocatore e costo del suo contratto, questa è senza ombra di dubbio la miglior firma di tutto il mercato. Patterson ha avuto una brutta stagione a Toronto e quel ginocchio potrebbe non essere più in buone condizioni, ma rimane un giocatore che ha sempre impatto positivo quando scende in campo, copre una posizione di necessità (con la possibilità di giocare anche titolare), offre versatilità sui due lati del campo e costa meno di 6 milioni all’anno — meno ad esempio di Jodie Meeks a Washington che praticamente non è sceso in campo nelle ultime stagioni. Con il suo arrivo i Thunder hanno quattro tiratori credibili dalla lunga distanza in rotazione (lui, Abrines, McDermott e George) per poter allargare il campo agli assalti di Russell Westbrook all’area avversaria, e può essere utile tanto con Steven Adams quanto con Enes Kanter — nella speranza che ne coprano le mancanze difensive a rimbalzo. Considerata anche la conferma di Andre Roberson a prezzi da riserva (30 milioni in tre anni), la street cred del GM Sam Presti esce enormemente rafforzata da quest’estate dopo qualche stagione di chiaro-scuro.
Rudy Gay y nada màs
Tra gli sconfitti dell’estate ci sono inevitabilmente i San Antonio Spurs, che pur convincendo Pau Gasol a rinunciare a 16 milioni di dollari con un jedi mind trick, non sono riusciti a migliorare sensibilmente il roster per colmare il gap con i Golden State Warriors. R.C. Buford ha confermato Patty Mills a cifre ottime (50 milioni in 4 anni) ed è in attesa di risolvere la situazione con Jonathon Simmons, ma per il resto ha provato a scommettere sul recupero di Rudy Gay da un infortunio — la rottura del tendine d’Achille — che solitamente non lascia molte speranze. Gay offre un po’ di doti realizzative che mancano nel roster dei nero-argento, ma chissà se Gregg Popovich riuscirà a convincerlo che il suo meglio lo può dare da 4 invece che da 3.
Kentavious Caldwell-Pope
Prendiamoci un minuto di silenzio per i restricted free agent di questa sessione di mercato. Già il Draft del 2013, quello con Anthony Bennett alla numero 1, era quello che era; se poi ci aggiungiamo la pochezza delle offerte arrivate per i restricted di quest’anno, vien voglia da dedicare un brindisi triste ai ragazzi del 2013. Tra questi, i Detroit Pistons hanno addirittura preferito legarsi le mani da soli per offrire un contratto a Langston Galloway e poi hanno scommesso su un anno di Avery Bradley (con la quasi certezza di doverlo strapagare tra dodici mesi per evitare di perderlo a zero) pur di non dare dei soldi a Kentavious Caldwell-Pope. Ora l’assistito di Rich Paul può scegliersi la squadra che vuole, ma in un mercato in cui ormai i soldi — o almeno, i soldi che lui si aspettava per quest’estate, in cui si parlava anche di massimo salariale — sono quasi del tutto spariti. Nelle stesse condizioni si trovano anche Nerlens Noel a Dallas, Mason Plumlee a Denver, Jamychal Green a Memphis e Alex Len a Phoenix, mentre Otto Porter per sua fortuna ha trovato una sponda favorevole a Brooklyn, costringendo Washington a pareggiare alla simpatica cifra di 106.5 milioni in quattro anni — più di quello che prenderanno Rudy Gobert e Giannis Antetokounmpo che hanno esteso un anno fa a cifre inferiori rispetto al max.
George Hill, Zach Randolph e Vince Carter a Sacramento
Se c’è una cosa che abbiamo imparato da questo mercato è che, a differenza degli anni scorsi, le squadre hanno molto meno spazio salariale da investire sui free agent. Come se si facesse a un enorme giro alle sedie musicali, la canzone per uno come George Hill — che solo qualche mese fa ha sdegnosamente rifiutato un’estensione da 20+ milioni all’anno da Utah — si è fermata molto velocemente, trovando una sedia a Sacramento ma dovendo concedere un terzo anno solo parzialmente garantito (mentre Jeff Teague a Minnesota li ha avuti tutti per il solo fatto di essersi mosso in fretta). I Kings si sarebbero potuti accontentare di aggiungere un giocatore di sicuro affidamento e una presenza positiva in spogliatoio per i propri giovani, ma hanno voluto impegnare ulteriormente il loro preziosissimo spazio salariale su due anni di Zach Randolph a 24 milioni complessivi e un anno di Vince Carter a 8 milioni — due veterani rispettati e rispettabilissimi che aiuteranno i giovani a capire come si vive nella NBA, ma che occupano minuti e aiutano a vincere un filo troppo rispetto a quanto sarebbe auspicabile. Prima di queste ultime due firme l’estate dei Kings poteva avvicinarsi a voti altissimi come il 9, considerando anche l’ottimo Draft svolto, ma le ultime mosse ci mostrano che anche nella NBA il lupo perde il pelo ma non quell’altra cosa là.