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Emanuele Mongiardo
Un nuovo inizio per l'Italia?
27 set 2022
27 set 2022
Come Mancini ha cambiato la Nazionale per vincere contro Inghilterra e Ungheria.
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Emanuele Mongiardo
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Alessandro Sabattini/Getty Images
(foto) Alessandro Sabattini/Getty Images
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Non c’è niente di più italiano, a livello calcistico, che rifugiarsi in un 3-5-2 nel momento delle difficoltà. Il 3-5-2 è la nostra copertina di Linus e ormai abbiamo una varietà di registri quasi infinita nell’applicazione dei tre centrali e degli esterni a tutta fascia, come gli eschimesi che hanno decine di parole solo per dire "neve" (in realtà è una leggenda metropolitana, ma insomma, avete capito). La specializzazione, dalla Serie A in giù, della nostra scuola nella produzione di centrali da difesa a tre e di quinti di centrocampo non ha eguali: pensiamo a giocate come i cross da esterno a esterno, ai terzi centrali che cercano l’anticipo a qualunque altezza del campo propri di Gasperini e dei suoi discepoli, o ancora, alle sostituzioni dei difensori a partita in corso di Simone Inzaghi e Juric: tutti indicatori della complessità che gli allenatori italiani hanno raggiunto nell’utilizzo dei tre centrali. Banalmente, forse siamo l’unico paese in cui esiste una categoria di difensori che può giocare solo con la difesa a tre e il cui livello scade se si passa a quattro.

Anche Mancini, che pure ha vinto un Europeo andando in controtendenza rispetto alla nostra scuola tattica, nel momento di maggiore difficoltà della sua esperienza in azzurro, cioè in vista delle partite di Nations League con Inghilterra e Ungheria, ha ripreso in mano il 3-5-2. Hanno inciso anche le numerose assenze e un parco giocatori forse più scarno rispetto al suo primo ciclo, questo è certo. L’Italia vive infatti una grave carestia di difensori, decisamente inusuale per la sua storia tattica. A parte Bastoni, non c’è un progetto di futuro fuoriclasse tra i centrali. Anche a livello numerico, i pochi difensori eleggibili sembrano esaltarsi soprattutto con la difesa a tre, e molti di loro vengono da sistemi particolari come quelli di Gasperini e discepoli (come lo stesso Bastoni, d'altra parte). Si spiega anche così la scelta di cambiare modulo e affidarsi in entrambe le gare di Nations League a tre centrali, uno dei quali con spiccate qualità in anticipo come Toloi – mentre meno comprensibile risulta la predilezione per Acerbi al posto di Bastoni: anche volendo ragionare a breve termine, non c’è dubbio su chi sia adesso un giocatore migliore tra i due, quindi Mancini deve per forza aver notato qualcosa a cui noi osservatori esterni non abbiamo accesso.

La difesa a tre spiegherebbe, peraltro, l’assenza di Davide Calabria, tra i pochi italiani al vertice della Serie A e interprete di un ruolo dove di certo Mancini non ha l’imbarazzo della scelta. Prima della convocazione, il capitano del Milan aveva giocato un’eccellente partita in marcatura su un avversario scomodo come Kvaratskhelia, e in più non aveva fatto mancare il suo apporto offensivo. La mancata convocazione, allora, forse si spiega con le sue caratteristiche: forse il CT ritiene Calabria inadeguato – magari per presenza fisica e attitudine – a giocare stabilmente da terzo centrale e troppo bloccato per agire da esterno a tutta fascia.

In ogni caso, anche in altri ruoli, Mancini è sembrato partire dalla difesa a tre per costruire il resto della squadra delle ultime due partite. L’assenza di ali – Chiesa per i noti motivi, Zaccagni e Zaniolo per scelta tecnica, Politano per problemi fisici – ha indotto il CT a modulare il resto della squadra con un attacco a due punte. L’undici di base è rimasto lo stesso in entrambe le gare. Tra Inghilterra e Ungheria, l’unica variazione ha riguardato la punta al fianco di Raspadori nel 3-5-2: Scamacca a San Siro, Gnonto a Budapest.

Cosa ha funzionato meglio della nuova italia: il pressing alto

Per Mancini il dato più incoraggiante delle ultime due partite è probabilmente il pressing alto. Non si è vista un’Italia fluida e ricca di idee in possesso. Tuttavia, la Nazionale ha mantenuto il controllo del campo e del contesto in entrambe le gare (tranne nell’ultima mezz’ora a Budapest) grazie all’aggressività senza palla.

Il pressing alto dell’Italia non ha portato quasi mai ad un recupero immediato da parte degli attaccanti – tranne in occasione del gol di Raspadori contro l’Ungheria – ma ha costretto gli avversari ad un gioco diretto sugli attaccanti, quasi sempre anticipati dai nostri difensori (Toloi e Bonucci in particolare). Gli intercetti venivano ripuliti in maniera definitiva dai centrocampisti, che potevano così ripartire in transizione su distanze medio-lunghe o comunque stabilirsi nella metà campo avversaria.

Sia Inghilterra che Ungheria impostavano, sulla carta, con un 3-4-2-1. Ma mentre gli uomini di Southgate hanno mantenuto una costruzione 3+2, con i mediani che rimanevano alti vicino ai tre centrali, i magiari variavano spesso con una sorta di 4+1, dove il mediano Schafer si abbassava accanto al centrale Orban, i braccetti Lang e Attila Szalai diventavano quindi dei terzini di una difesa a quattro e l’altro mediano (Nagy nel primo tempo, Styles nel secondo) rimaneva a centrocampo in una posizione più avanzata. Il pressing alto azzurro è stato puntuale ed efficace contro entrambi i tipi di schieramenti.

In Italia, tutte le squadre che pressano alto adottano un forte riferimento sull’uomo e accettano gli uno contro uno a tutto campo. È un classico delle squadre di Gasperini e Juric ma, negli ultimi due anni, anche del Milan di Pioli. Mancini si è adeguato a questa corrente e anche l’Italia ha agito secondo lo stesso principio. Quasi sempre gli azzurri hanno portato pressing in parità numerica rispetto agli uomini in costruzione. Di solito, la mezzala del lato palla si alzava sulla stessa linea degli attaccanti per aggredire il braccetto che stava per ricevere, determinando poi la scalata di Jorginho alle sue spalle per controllare il centrocampista che rimaneva libero.

Contro l’Inghilterra si è assistito a fasi della gara in cui, invece di pressare da subito con la mezzala in aiuto agli attaccanti, l’Italia ha preferito mantenere un blocco medio-alto. I difensori inglesi avevano maggiore libertà, ma, con i riferimenti al centro bloccati, spesso la loro costruzione sfociava in una verticalizzazione per il terzetto offensivo che invitava i difensori azzurri all’anticipo.

La difesa a tre si è rivelata un’ottima soluzione sia per sopperire alla penuria di centrali sia per impostare in tempi brevi il pressing alto: i riferimenti sull’uomo per una linea a tre sono più immediati, scalare in avanti diventa più intuitivo. In Serie A, come detto, esistono tanti interpreti di quell’idea di difesa a tre aggressiva sul diretto avversario: Toloi la pratica da anni, e chissà che al prossimo giro di convocazioni non possano tornare utili giovani come Buongiorno, Okoli o Scalvini, che magari non saranno talenti generazionali ma stanno crescendo nello stesso solco di principi.

Le idee di Mancini senza palla, complessivamente, hanno funzionato. Esistono però un paio di criticità. La parte sinistra della difesa, composta da Dimarco e Acerbi, ha infatti commesso qualche sbavatura, rispetto ad un lato destro – quello di Toloi e Di Lorenzo – pressoché perfetto nei duelli difensivi. Toloi forse è lo specialista numero uno in Italia della difesa in avanti sull’uomo, il terzo centrale che più di tutti ha incarnato l’ideale di fase di non possesso di Gasperini. Di Lorenzo, poi, è un terzino roccioso, di buona prestanza fisica. Dimarco e Acerbi, invece, sono tutt’altro che spigolosi. Non hanno la stessa sicurezza nelle scalate in avanti e rischiano di farsi raggirare contro avversari di alto livello – senza contare che contro l’Inghilterra Toloi affrontava Sterling, mentre Acerbi aveva davanti Foden: il giocatore del City ha un controllo di palla e un’abilità nel separarsi dal marcatore di un altro livello rispetto alla nuova ala del Chelsea.

Dopodiché, sarà bene lavorare sulle intenzioni della squadra una volta recuperato il pallone. Se si riconquista il possesso con Bonucci o Toloi, vuol dire che resta una metà campo intera da attaccare. L’Italia dell’ultimo giro di convocazioni, però, non aveva gli uomini per ripartire immediatamente verso la porta avversaria e infatti di transizioni pericolose non ce ne sono state. Certo, se dovessero ritornare in pianta stabile Zaccagni, Zaniolo e Chiesa il discorso cambierebbe, e allora le qualità in anticipo di Toloi e la puntualità di Bonucci nei duelli aerei – sempre in controllo sia contro Kane che contro Szalai – avrebbero tutt’altro sapore. Se però Mancini continuasse a rinunciare alle ali, l’Italia dovrebbe tornare ad avere una fase di attacco posizionale più sofisticata una volta conquistata la metà campo avversaria dopo il recupero palla.

I margini di miglioramento in attacco posizionale

In fase di possesso, invece, l’Italia non è stata particolarmente brillante. Certo, per la prima volta si è passati dal 4-3-3 ad un altro tipo di disposizione. Più che lo schieramento, però, sono state le numerose assenze a condizionare il modo di attaccare degli azzurri. Zaniolo, Zaccagni e Chiesa con i loro spunti in uno contro uno potranno offrire un contributo preziosissimo, ma per la fluidità del gioco di Mancini hanno pesato davvero tanto le defezioni a centrocampo, non solo Verratti ma anche di Tonali, Pellegrini e Locatelli, che, per quanto non viva un buon periodo di forma, garantisce un controllo tecnico secondo solo a quello di Verratti per la Nazionale. È a partire da una gestione pulita della palla che l’Italia di Mancini, nei suoi migliori momenti, riusciva a scambiare le posizioni, destrutturare le difese avversarie e trovare spazi utili in cui colpire.

Il CT stavolta ha dovuto abbassare il tasso tecnico, anche perché Rovella e Miretti - che, per quanto verdi, appartengono già al filone di centrocampisti tecnici del nostro calcio - sono rimasti in Under 21. Così, insieme ai titolari Jorginho e Barella, il CT ha optato per Cristante come mezzala sinistra. Mentre Barella si alzava quasi subito vicino alle due punte, Cristante partiva più vicino a Jorginho. Il suo contributo in fase di possesso, però, era ridotto. A differenza di Verratti e Locatelli, il romanista non ha la qualità per avvicinarsi al regista del Chelsea e scambiare nel breve per far uscire in maniera pulita la palla dalla pressione.

In generale, per conformazione del centrocampo stavolta Jorginho non aveva compagni vicini con cui scambiare. Non c’era modo per il regista del Chelsea di praticare il gioco a pochi tocchi che lo contraddistingue. Gli unici riferimenti prossimi erano i difensori per i retropassaggi. Per il resto, Jorginho si è ritrovato a forzare verticalizzazioni che non combaciano con la sua interpretazione del ruolo. Certo, senza palla ha offerto un contributo prezioso, sia alzandosi in pressione sia schermando le linee di passaggio di fronte alla difesa. Tuttavia, con la palla non è stato lucido come al solito, condizionato, come detto, dal poco supporto. Non è un caso che le sue giocate più brillanti siano arrivate sulla trequarti offensiva quando lui, le due mezzali e Raspadori in appoggio erano costretti a rimanere vicini e a combinare sul corto, come in occasione del gol di Dimarco all’Ungheria.

L’Italia, più che un 3-5-2, ha adottato un 3-5-1-1 – per i più romantici 3-4-3 a diamante nelle fasi in cui gli esterni erano particolarmente alti – dove pochi metri davanti a Jorginho c’erano Cristante, Raspadori e Barella vicini tra loro e alle spalle degli avversari. Le combinazioni più sofisticate dell’Italia in fase di attacco posizionale sono arrivate quando questa sorta di rombo è riuscito a muoversi in maniera compatta a ridosso dell’area avversaria, favorito dai due esterni alti e aperti che allargavano le maglie avversarie.

La centralità di Raspadori

Jorginho, insomma, ha somatizzato qualche difficoltà di troppo con la palla. La notizia migliore per la fase di possesso azzurra, invece, è Giacomo Raspadori, e i gol sono solo una parte della ventata di freschezza rappresentata dal nuovo giocatore del Napoli.

Raspadori ha letture e giocate da vero centravanti in prossimità della porta. Nelle partite contro Inghilterra e Ungheria, però, a risaltare sono state soprattutto le sue qualità in fase di manovra, quasi da enganche per come si abbassava a dialogare con regista e mezzali. Raspadori era colui che trasformava il terzetto di centrocampo in un rombo. I suoi movimenti incontro spesso prolungavano il possesso azzurro laddove sembrava senza sbocchi. Oltre al lavoro di raccordo, ci sono stati anche momenti in cui ha provato ad accelerare i nostri attacchi: quando, ad esempio, riusciva a ricevere dietro i centrocampisti avversari e quasi a memoria cambiava gioco per l’esterno alto e aperto sul lato debole.

Non sempre è stato preciso nell’esecuzione, ma avere un giocatore così intelligente e a proprio agio nella lettura degli spazi e nelle ricezioni incontro è una grande notizia per Mancini. Si tratta di una funzione che aveva svolto, anche se per poco, nell’Under 21 di Nicolato, che, come la Nazionale oggi, qualche anno fa adottava il 3-5-2: lavorare su questa attitudine alla cucitura di Raspadori può essere davvero interessante per i futuri sviluppi tattici dell’Italia. Soprattutto quando ci sarà Verratti, che sembra perfetto per dialogare nel breve con l’attaccante di Bentivoglio.

Al momento, comunque, il giocatore con cui Raspadori sembra aver costruito l’intesa migliore è Bonucci. Si è visto soprattutto nel gol all’Inghilterra, dove lo juventino ha pescato il giocatore del Napoli con un bel lancio in profondità; poi Raspadori ci ha messo del suo con un aggancio, una sterzata e un tiro degni del Kun Agüero. Qualche minuto prima della rete, l’Italia aveva provato la stessa giocata, con il difensore libero di lanciare e l’attaccante emiliano che aveva sorpreso Walker in profondità. L’asse Bonucci-Raspadori, comunque, non è stato utile solo per attaccare lo spazio dietro la difesa. Se l’Italia riusciva ad allungare gli avversari, infatti, Raspadori era abile a posizionarsi alle spalle dei centrocampisti avversari in pressione e a dettare il passaggio sui piedi a Bonucci, in grado di pescarlo con filtranti liftati a media altezza di difficile esecuzione.

Se Mancini troverà il modo di mettere a frutto la qualità dei movimenti del suo nuovo numero dieci, l’Italia avrà soluzioni inedite in attacco. Sarà però importante elevare la qualità intorno a lui. Detto di Verratti, sarà interessante vedere se il CT riuscirà a farlo convivere con ali come Zaniolo, Zaccagni e Chiesa – da falso nove di un 4-3-3 o, viaggiando con la fantasia, da trequartista di un 4-2-3-1. Al momento, il 3-5-2 sembra l’abito perfetto per esaltare le sue caratteristiche.

Che Italia vedremo

Sembra inevitabile, a questo punto, che già dal prossimo giro di convocazioni nasca il dibattito su quale modulo debba usare l’Italia. Dalle parole di Mancini post-Ungheria, solo un assunto sembra granitico: «Ci sono giocatori abituati a fare questo tipo di sistema» ha detto a proposito del 3-5-2, prima di aggiungere che comunque «a centrocampo non cambia nulla, perché sono sempre in tre». La mediana a tre è la vera certezza della nazionale. D’altronde, si tratta dell’unico reparto che offra qualità e abbondanza di scelte. Viste le assenze, però, è difficile pronosticare quale strada seguirà Mancini. Il 3-5-2 penalizza gli unici giocatori abili in dribbling del nostro calcio, ma del resto maschera bene la crisi di difensori, visto che molti centrali di Serie A, davvero lacunosi in alcuni fondamentali difensivi, riescono a sopravvivere grazie a sistemi a tre fortemente orientati sull’uomo e sull’anticipo.

Una soluzione creativa, di cui al momento non esistono avvisaglie e che cozza con l’idea di Mancini di centrocampo a tre, potrebbe essere un 3-4-3 o 3-4-2-1. Certo, si dovrebbe rinunciare a un centrocampista in un periodo davvero florido per il reparto, ma è una soluzione che potrebbe avere senso: Verratti sta sperimentando quel modulo al PSG e il doppio mediano avvantaggerebbe Tonali, che inizierebbe così a garantire il ricambio a Jorginho – che a sua volta ha usato quel tipo di sistema con Tuchel. Nemmeno Barella e Locatelli avrebbero problemi a interpretare il doble pivote. Da mezzapunta sinistra, poi, Raspadori potrebbe continuare a muoversi in appoggio alla manovra.

In ogni caso, per Mancini è il momento di sperimentare, le grandi competizioni per l'Italia purtroppo sono ancora lontane. È giusto farlo non solo con i numeri, ma anche con i giocatori. Un po’ più di coraggio nelle convocazioni non avrebbe fatto male. Il 3-5-2 presuppone esterni profondi e in grado di coprire tanto campo. Senza una costruzione troppo elaborata per via delle assenze e del nuovo modulo, l’Italia delle volte si è trovata a cercare il lancio diretto sugli esterni alti e aperti: perché non rischiare Udogie, che ha caratteristiche perfette per quel tipo di gioco? La Salernitana utilizza soluzioni simili in costruzione grazie a Mazzocchi, perché non dargli qualche minuto in più? Dimarco, per qualità tecniche, fisiche e difensive, può mantenere il posto in Nazionale? Sono questioni a cui avranno pensato in molti durante la partita e che si riallacciano al discorso sulla fiducia a elementi in età avanzata, o senza troppo margine di miglioramento, come Acerbi, Gabbiadini e Cristante (oltre ovviamente a Bonucci e Toloi, che però dalle ultime partite sembrano ancora affilati).

I più ottimisti hanno parlato di un nuovo inizio per l’Italia. Ma è davvero così? Questo giro di convocazioni invece sembrava diretto più al breve termine. La vittoria del girone di Nations League era una necessità così impellente da negare una chiamata a chi sembra destinato a rappresentare la Nazionale ai prossimi Mondiali? Al momento capire quale sia il progetto dell’Italia è più difficile di quanto suggeriscano due belle partite.

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