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Foto di Matthias Hangst / Getty Images
Calcio Arnaldo Greco 4 febbraio 2019 3'

2019: l’anno in cui ci siamo fatti piacere il razzismo negli stadi

Offendere gli avversari in maniera razzista non sembrava poi una cosa così grave.

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Non possiamo che accogliere con entusiasmo la decisione della Lega – ma una parte del merito va riconosciuta anche alla FIGC -, di riconsiderare ciò che è razzismo e ciò che non lo è. È una decisione in linea con quella che oggi è la reale sensibilità del paese e la speranza che un cambio di rotta intervenga anche qui è tanta. Finalmente il calcio reagisce agli stimoli nostrani invece di stare al passo delle solite lobby che governano i nostri miliardi, e quel che è peggio la nostra passione, nascondendosi dietro una parodia dei buoni sentimenti. Mettono in mano ai calciatori due cartelli con qualche pensierino da scuole elementari e intanto intascano le percentuali sui trasferimenti, peraltro spesso verso squadre che si reggono con i soldi del petrolio, della delinquenza e della speculazione.

 

Quelli che impropriamente venivano definiti “cori” o “insulti razzisti” verranno ricondotti a ciò che è la loro natura: semplici sfottò. Resta la condanna della violenza e, anzi, occorre tolleranza zero contro ogni gesto di violenza, ma non ci presteremo più a fingerci indignati per un po’ di goliardia. O dobbiamo impedire anche l’esecuzione de “I watussi” perché certi versi ormai ci sconvolgono? Siamo diventati ipersensibili improvvisamente? Volete farci credere che Pelè, in Italia, non avrebbe segnato per colpa di un paio di cori contro?

 

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Tutti ricordano il meraviglioso striscione dei tifosi del Napoli contro i veronesi “Giulietta, sì na zoccola”. C’era fantasia e c’era invenzione, e infatti gli stessi veronesi lo apprezzarono. Perché quello deve essere ricordato come un momento di goliardia (giustamente) mentre lanciare un casco di banane in campo dovrebbe essere considerato un gesto razzista e violento? Oggi il genio di Giulietta sarebbe rimasto misconosciuto. Qualcuno benpensante avrebbe impedito l’ingresso allo stadio dello striscione come vivessimo nell’Alabama dell’Ottocento.

 

Invece, per nostra fortuna, viviamo in un paese finalmente pacificato, in cui non esiste più alcun tipo di discriminazione in base al colore della pelle, dove le opportunità sono scarse – questo è inutile negarlo -, ma solo per colpa di quarant’anni di cattiva politica e cattiva amministrazione, dunque chi può sentirsi minacciato da una bonaria presa in giro? Diciamo sempre che è necessario riavvicinare i bambini e le famiglie allo stadio: recuperare la capacità di sorridere e scherzare non è il migliore dei modi a nostra disposizione? Pensate quanta spensieratezza se i nostri stadi vedessero fiorire striscioni sempre più divertenti e ironici! Una sfida di punzecchiature tra curve opposte, magari la cosa riuscirebbe anche ad alleviare le tensioni! Dovremmo prendere l’esempio, anzi, proprio dai bambini che vedono le differenze evidenti, le riconoscono, ci scherzano su, ma poi continuano a giocare assieme. Sono gli adulti con le loro ipocrisie a trasformare la sincerità dei bambini in sensi di colpa.

 

E questo non vale solo per il cosiddetto “razzismo” (poi qualcuno dovrebbe anche spiegarci perché se la prendono per il colore della pelle solo con i calciatori forti e mai con quelli scarsi), ma anche per l’ancora più ridicola “discriminazione territoriale”. Possiamo dirlo chiaramente: il problema di “Vesuvio, lavali col fuoco” è che non fa ridere, non che offenda realmente qualcuno. Ho tanti amici napoletani e loro sono i primi a scherzare sul fatto che i napoletani rubino i portafogli e buttino la spazzatura in mezzo alla strada: non si sentono mica offesi da me se anche io oso fargli una battuta. Anzi, ne ridono perfino di più. Ci sentiamo uniti dall’amicizia e amicizia è anche saper ridere ognuno dei difetti dell’altro, saper riconoscere i propri e sentirsi in qualche modo gratificati quando anche gli altri li riconoscono. L’idea che esistano discriminazioni territoriali tra italiani è un’idea figlia del solito eccesso di politically correct: impedirci di dire le cose come stanno per continuare ad amministrarle in accordo con le lobby.

 

Un importante esponente politico accoglieva, anni fa, a San Siro i tifosi del Napoli con i sacchetti della spazzatura in bella mostra e oggi può andare in visita a Napoli ed essere accolto da imponenti ovazioni. I tifosi del Napoli non sono senza memoria come qualcuno vorrebbe lasciar intendere – peraltro mostrando, sì, stavolta una discriminazione su base territoriale – ricordano perfettamente il gesto, ma comprendono allo stesso tempo che prendeva forma da un’idea prima di tutto scherzosa e giocosa. Non è giusto e corretto neanche dire che l’abbiano perdonato o dimenticato, perché non c’era niente da perdonare.

 

E, in ogni caso, se qualcuno dovesse sentirsi offeso, beh, lascerà la Serie A, pazienza, magari così vedremo in campo qualche talento italiano in più e chissà che non possa anche trarne giovamento la nazionale italiana dopo le magre degli ultimi anni.

 

Tags : distopiarazzismoserie a

Arnaldo Greco (1979) ha pubblicato un paio di libri per Fandango. Ogni tanto scrive per qualche rivista, ma vive e ha due bambini grazie al fatto che il suo nome scorre nei titoli di coda di “Che tempo che fa”.

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