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21 apr 2016
21 apr 2016
La nuova Lazio di Simone Inzaghi fa il solletico a una Juventus sempre, sempre in controllo. Lo scudetto è sempre più vicino.
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La carriera di Simone Inzaghi in panchina è stata finora piuttosto particolare. Nel 2010, con ancora un anno di contratto da calciatore, decide di ritirarsi e accettare la proposta di Lotito di allenare gli Allievi regionali. Una stagione dopo viene promosso agli Allievi nazionali dove resta due stagioni e mezzo, quando viene chiamato a sostituire in corsa Alberto Bollini, portato in prima squadra, alla guida della Primavera. Sulla panchina della Primavera resta due anni, vince due Coppe Italia e una Supercoppa e perde un campionato ai rigori. Dopo la sconfitta nel derby Lotito lo sceglie, a 7 giornate dalla fine della Serie A, come successore dell’esonerato Stefano Pioli: a quasi 6 anni dall’inizio della sua carriera da allenatore, Inzaghi esordisce così in Serie A. La sua scalata non è stata rapida come quella di altri ex giocatori (senza andare troppo lontano, come quella del fratello Filippo, ad esempio), ma nemmeno si può dire che abbia fatto davvero la “gavetta”, essendo sempre rimasto nel settore giovanile biancoceleste senza mai misurarsi con un campionato professionistico. Il debutto è stato senz’altro positivo: la Lazio ha battuto Palermo ed Empoli senza subire gol e ha iniziato a credere a una rimonta sul Milan per il sesto posto, distante 4 punti prima della partita contro la Juventus. Curiosamente, dopo aver vinto le prime due partite della propria carriera in Serie A, Simone, così come il fratello Filippo, ha incontrato i bianconeri. Per l’occasione non ha cambiato il proprio sistema, il 4-3-3, anche se nel tridente d’attacco ha dovuto rinunciare agli indisponibili Klose e Candreva, rilanciati dalle buone prestazioni contro Palermo ed Empoli: al loro posto Djordjevic e Felipe Anderson, titolare per la prima volta da quando in panchina siede Inzaghi. Ragionare Il nuovo tecnico biancoceleste ha ereditato da Pioli una squadra diretta, il cui rendimento dipendeva soprattutto dall’esecuzione delle fasi di transizione e i cui difetti più grandi erano le difficoltà ad attaccare difese schierate e a difendere nella propria metà campo. Pur senza stravolgere nulla (e con così poco tempo a disposizione sarebbe impossibile per chiunque), Inzaghi ha provato a migliorare le cose, innanzitutto con una costruzione della manovra più ragionata. I primi minuti della partita sono stati un lungo possesso palla quasi ininterrotto della Lazio, che non si faceva problemi a tornare indietro e ricominciare l’azione per provare a muovere la Juve e sorprenderla con verticalizzazioni improvvise. Era proprio quella la chiave indicata da Inzaghi alla vigilia della partita: «Dobbiamo essere veloci quando riconquistiamo palla, verticalizzando subito per far sì che la loro difesa non si schieri». L’impostazione della manovra era così affidata ai 4 difensori e a Biglia: Patric e Lulic rimanevano vicini a Hoedt e Gentiletti, garantendo uno scarico semplice sulla fascia, Biglia si prendeva pochi rischi allargando il gioco e facendo da riferimento per i terzini per cambiare lato d’attacco. I soli 4 passaggi sbagliati su 61 totali indicano come la priorità per l’argentino fosse dare continuità al possesso e non forzare la giocata, magari rischiando qualche verticalizzazione per sorprendere lo schieramento juventino. La Lazio non puntava infatti a sviluppare l’azione in mezzo al campo: Onazi e Parolo, le due mezzali, tenevano da subito una posizione alta alle spalle del centrocampo bianconero e si abbassavano solo per dare una mano se la Juve pressava il primo possesso biancoceleste. Ma anche in quel caso il loro movimento serviva più che altro a liberare spazi per i terzini: era sulle fasce infatti che Inzaghi voleva costruire l’azione, puntando a sorprendere la Juve con i cambi di gioco.

Un’azione classica della partita della Lazio, che riesce a saltare il primo pressing della Juve, ma poi perde palla provando un cambio di gioco molto difficile.

È il modo con cui Inzaghi ha provato a cercare un compromesso tra il tentativo di migliorare l’inizio azione della Lazio, con una circolazione sicura che coinvolgesse 5 o 6 giocatori, e la verticalità della rosa a sua disposizione. Parolo e Onazi, più che favorire lo sviluppo del gioco, avevano così il compito di attaccare la linea difensiva della Juve.

Il piano di Inzaghi: sviluppo dell’azione a sinistra e Onazi che si unisce a Keita, Djordjevic e Felipe Anderson nell’attaccare la difesa della Juve.

I compromessi non pagano Anche quando riusciva a saltare il primo pressing bianconero la Lazio faticava comunque nell’innescare la manovra offensiva nella metà campo avversaria. La circolazione sulle catene laterali era poco fluida e la squadra riusciva a risalire il campo soprattutto grazie alle corse palla al piede di Lulic, spesso isolato e non a caso il peggior biancoceleste per quanto riguarda i palloni persi: 18. La Lazio, in pratica, non è riuscita mai a fare ciò che chiedeva Inzaghi: far muovere la Juve e sorprenderla sul lato scoperto. Anche i cambi di gioco, cercati soprattutto da sinistra verso destra, non hanno dato l’esito sperato: Alex Sandro ha dominato i duelli con gli avversari diretti ed è stato il migliore in campo per palle recuperate (9), contrasti vinti (3) e palloni intercettati (3, come Pogba). Nella trequarti avversaria la Lazio si è così affidata soprattutto alle iniziative personali, in particolare di Keita, autore dell’unico tiro nello specchio della squadra di Inzaghi. La Juve ha rischiato veramente in un’unica occasione, un contropiede in cui Djordjevic ha potuto calciare da buona posizione, ma è stato murato da un ripiegamento profondissimo di Dybala. Il dominio difensivo bianconero è testimoniato non solo dall’unico tiro in porta concesso, ma anche dal numero di tocchi dei giocatori della Lazio nell’area avversaria: appena 4 in tutta la partita. Anche in fase di non possesso Inzaghi ha cercato di trovare una via di mezzo tra la ricerca della solidità nella propria metà campo e l’aggressività tipica dell’era Pioli. Ha abbassato il baricentro della squadra (in media a 42,8 metri, un dato molto basso), senza mai pressare l’inizio azione della Juve, ma non rinunciando ad accorciare il campo e difendere in avanti.

Djordjevic tiene d’occhio Bonucci e Hernanes, Keita e Felipe Anderson controllano Barzagli e Rugani. I difensori bianconeri hanno comunque molto spazio per impostare in maniera tranquilla l’azione.

Il pressing della Lazio funzionava soprattutto quando la Juve provava ad allargare il gioco: i biancocelesti scalavano bene lateralmente, impedendo ai bianconeri di sviluppare l’azione, ma poi faticavano a recuperare le posizioni quando la Juve tornava indietro e verticalizzava improvvisamente. Il particolare contesto tattico si è rivelato una manna per Leonardo Bonucci, spesso libero di innescare la manovra offensiva con passaggi “taglia-linee” o cambi di gioco. In pratica, la Juve ha realizzato ciò che era nei piani della Lazio, facendo prevalere la qualità superiore dei propri giocatori.

No, la Lazio uno come Pogba non ce l’ha.

L’azione che ha deciso la partita, l’espulsione di Patric, è un manifesto in questo senso.

La Juve che torna indietro, Bonucci che allarga a Pogba, che attira 3 avversari, ma fa passare lo stesso il pallone. Patric poi è veramente ingenuo nel trattenere Dybala.

Sempre in controllo La 23esima vittoria nelle ultime 24 partite è stata così l’ennesima dimostrazione di controllo e capacità di adattamento della Juve alle particolari situazioni tattiche che cambiano di partita in partita. Per battere la Lazio i bianconeri non hanno dovuto far altro che eseguire molto meglio il piano dei biancocelesti: ripartire velocemente quando recuperavano palla (vedi il gol sbagliato da Pogba), attirare gli avversari da un lato e poi sorprenderli verticalizzando immediatamente, lasciando che a fare la differenza fossero le qualità in fase di impostazione di Bonucci e quelle di Pogba, Mandzukic e Dybala nell’alternarsi come riferimenti senza far perdere mai pericolosità all’azione. La variabilità delle soluzioni a disposizione di Allegri sono testimoniate dal primo gol, segnato con uno schema da calcio d’angolo identico a quello che ha regalato i 3 punti contro il Milan.

Al posto di Abate c’è Lulic, ma l’azione è identica: Pogba si libera e riesce a crossare, Mandzukic tocca e la Juve va in vantaggio.

L’aver trovato questo schema apparentemente indifendibile è un indizio piuttosto significativo del dominio che in questo momento la Juve esercita sul campionato italiano. Con la Lazio in inferiorità numerica, la partita non ha avuto più storia: la Juve ha arrotondato prima con un rigore di Dybala e dopo con una splendida azione in verticale che ha coinvolto Barzagli, Mandzukic e Khedira. Con la doppietta Dybala ha interrotto il digiuno che durava dalla partita contro il Sassuolo e ha coronato l’ennesima grande prestazione stagionale. Con 9 punti di vantaggio sul Napoli a 4 giornate dalla fine la Juve vede invece il traguardo. Per vincere lo scudetto bastano 4 punti e la festa potrebbe scattare già nel prossimo turno, se i bianconeri batteranno la Fiorentina e il Napoli non vincerà contro la Roma. La prima sconfitta della carriera non rappresenta invece un grande dramma per Inzaghi: molti allenatori più esperti si sono schiantati contro la solidità bianconera e questa partita non può che far parte del normale percorso di crescita di un tecnico alle prime esperienze tra i professionisti. Il punto è capire se queste ultime gare avranno un seguito nella prossima stagione. Il sesto posto resta difficile da raggiungere e realisticamente Inzaghi andrà valutato per le prestazioni della sua squadra più che per i risultati.

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