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UFC 268 o il capolavoro di Trevor Wittman
09 nov 2021
09 nov 2021
Incontri spettacolari, tutti vinti dai protetti del possibile coach dell'anno.
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UFC 268 è passato alla storia come l’evento con più colpi sferrati nella storia della promotion (1973), superando il precedente record di UFC 238 (1818) ed ha mantenuto tutte le promesse che si portava dietro. Si era fatto un gran parlare di quest’evento, già molto tempo prima della sua card definitiva, perché i nomi coinvolti erano assolutamente da élite.

E nella notte di sabato abbiamo assistito all’apoteosi di Kamaru Usman, legittimamente numero uno della speciale classifica pound for pound (una classifica che raggruppa i migliori fighter indipendentemente dalla loro classe di peso, come se tutti facessero parte della medesima categoria); ma anche alla conferma di Rose Namajunas e a un match mozzafiato di Justin Gaethje, coadiuvato dal suo avversario Michael Chandler.

Questi match hanno avuto in comune l’efferatezza sportiva dei loro protagonisti, ma non solo. Dietro la costruzione strategica di due campioni e di un prossimo contendente al titolo, c’è un grande team, ma soprattutto un grandissimo mentore: Trevor Wittman.

Wittman è uno dei coach, il più importante in termini strategici, dei tre fighter menzionati e l’evoluzione degli stessi è passata proprio attraverso di lui. Figura di riferimento per i suoi studenti, è stato più volte appellato come “genio” da Usman e Gaethje.

Il match di Justin Gaethje era il terzo in ordine di importanza nella serata, ma è stato posizionato in apertura di main card per permettere a Wittman di essere presente sia nell’incontro appena citato, che nei due di chiusura della serata. Il risultato è stato straordinario: en plein di successi, due cinture riportate alla base e la possibilità di riportare Gaethje sulla vetta del mondo. Ma andiamo con ordine.

Kamaru Usman, il numero uno pound for pound

In un match se possibile ancor più bello e combattuto del precedente, Kamaru Usman si è imposto per la seconda volta su Colby Covington, un Covington non all’altezza del campione, ma che si è presentato migliorato rispetto alla prima sfida, capace di aggiustare il match in corsa.

Kamaru Usman però è inesorabile. Simpatico nelle conferenze, amichevole con i giornalisti e disponibile coi fan, quando la porta della gabbia si chiude, il suo sguardo cambia. Nel rematch con Covington c’era tanto, troppo in gioco. C’era la credibilità di due fighter, uno genuino e che ha sempre e solo fatto parlare i pugni; l’altro costruito consapevolmente per infastidire, entrare sotto pelle agli avversari. Colby porta avanti un personaggio razzista e omofobo, ma anche nell’ultima conferenza stampa aveva fatto intendere quanto effettivamente poco ci sia di reale nel suo comportamento. Sorridendo ha chiamato "filthy animals", schifosi animali, i suoi fan, un richiamo all’indulto riservato alla folla brasiliana dopo il match con Damian Maia. Il pubblico, inferocito, gli aveva lanciato di tutto. Lì era iniziato il percorso verso il nuovo Colby Covington. L’abbraccio e la dimostrazione di rispetto alla fine dell’incontro però hanno lasciato intendere quanto poco reale odio ci sia tra lui e Usman. Antipatia, certo, quella sarà sicuramente reale. Ma non l’odio.

In un match nel quale i due hanno lasciato tutto, Kamaru Usman è stato il fighter a partire meglio. Nell’arco dei primi due round ha messo a segno una grande quantità di colpi, capitanati dal suo granitico jab e ha iniziato a impensierire Colby che, al contrario del suo solito piano gara, ha preferito non accelerare e modulare l’intensità ed il ritmo dei suoi attacchi. A metà dell’incontro, quando ha cercato uno dei suoi dieci takedown (ufficialmente tutti difesi dal campione), sia Daniel Cormier che Din Thomas avevano percepito che con la presa della schiena e il parziale controllo, almeno quel tentativo potesse essere considerato come un atterramento.

Ad ogni modo, Covington ha avuto molto più successo nei championship round anche perché l’Usman visto in apertura è stato protagonista di uno spettacolo più unico che raro. E questo ci dà anche la percezione del livello di Covington. Lo sfidante ha aperto cercando di centrare con pericolosi head kick la testa del campione. Sebbene il livello dei due sia molto simile, il dislivello invece in termini di pura potenza nel colpo singolo era piuttosto accentuato. A Colby è servito del tempo per adattarsi al match e per percepire bene le distanze e in questo lasso è andato incontro a colpi pesanti e precisi. Mentre Colby cercava spesso il colpo in uscita e il montante quando Usman cercava di accorciare, Usman ha prediletto colpi dritti e ganci per provare a mettere fuori gioco il suo rivale e nel secondo round c’è andato molto vicino, realizzando due knockdown proprio a seguito dei due ganci.

Covington, che sembrava meno convinto nelle fasi iniziali, ha invece ripreso confidenza in contemporanea al leggerissimo calo atletico di Usman. Impossibile continuare a gestire il match come nei primi due round, nei quali era sembrato davvero troppo superiore. Pian piano, Covington ha risalito la china. Nonostante nessuno dei suoi takedown sia andato a segno, grazie alla caparbietà portata avanti dal raddoppio dei suoi colpi, come suggerito dal suo angolo, Covington ha - col passare delle riprese - abbandonato la sua versione più morigerata e ha creato il “Chaos” che promette il suo soprannome, contribuendo a regalare un altro classico agli appassionati. Anche lui tra il terzo e il quinto ha toccato duramente Usman, costretto in poche occasioni a indietreggiare, come quando è stato centrato alla tempia da un gancio nel quarto round, consolidando la grande apertura di ripresa che lo aveva visto a segno con jab e head kick. Stessa cosa è successa con un middle kick mortifero, che ha costretto Usman a indietreggiare con le spalle verso la gabbia. Ma se c’è qualcosa nella quale Usman non sembra più sorprendere, quella è rappresentata dall’adeguamento stilistico che l’Incubo Nigeriano è capace di mettere in mostra in ogni momento dell’ottagono.

Usman non è mai indietreggiato, non ha mai perso stabilità. Covington, finora, è stato il suo avversario più degno e non sorprende che nel secondo round Usman non sia riuscito a finalizzarlo. La ferrea volontà dello statunitense gli ha permesso di riprendersi e regalare tanti momenti sorprendenti, rinvigorendo di tanto in tanto la folla che sembrava, per la maggior parte, fare il tifo per lui. Covington ha assorbito bene i colpi, ha risposto bene e ha riequilibrato un match che a tratti frangenti pareva pendere decisamente in favore del campione, come il gancio citato in precedenza nel quarto round, probabilmente il suo miglior colpo.

Foto di Mike Stobe/Getty Images.

Dopo un ottimo quarto round, l’angolo di Covington lo ha pregato di continuare a tenere lo stesso ritmo. Dopo quattro riprese molto intense, Covington pareva poter prendere in mano l’incontro, ma Usman è rimasto vivo e vigile, rispondendo spesso col jab secco o col diretto alle offensive di Colby, ragion per cui un’esposizione totale non era sensata, nonostante il probabile punteggio sfavorevole sui cartellini. Ad ogni modo, Colby ha attaccato raddoppiando l’ultimo colpo in uscita e Usman, assaggiato il primo, ha preso il tempo ed alleggerito i successivi, preferendo girare all’esterno. Un eye poke a trenta secondi dalla fine da parte di Usman, non penalizzato nel punteggio, ha addormentato l’ultimissima porzione del match.

La decisione dei giudici è stata unanimemente in favore di Usman, coi cartellini di 48-47 (per due giudici) e 49-46.

Colby Covington si è presentato in una versione migliorata di sé stesso, in tutto e per tutto: ha avuto una maggiore varietà nei colpi, una resistenza molto più ferrea e cosa più importante, ha dato la sensazione di poter far male a Usman, una sensazione che prima di lui forse solo Burns con un colpo ben assestato prima del totale tracollo aveva dato.

Covington però, a differenza dell’ex contendente brasiliano, ha dimostrato di poter tenere alta l’intensità e sempre vivo il pericolo, per l’intera durata dell’incontro, impennando addirittura nella quinta e ultima ripresa e regalando, anche nella sconfitta, una delle sue prestazioni migliori.

Per quanto riguarda Usman, che ha espresso il massimo rispetto per la sua nemesi nell’intervista post-fight (i due si sono abbracciati e chiariti al termine del match, mostrandosi rispetto reciproco, tanto da esortare l’arbitro Dan Miragliotta ad un simpatico “Ragazzi, i baci teneteli per dopo!”), sono davvero finite le definizioni. Kamaru Usman è semplicemente il migliore. L’archetipo perfetto del moderno fighter di MMA. L’uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto. Il risolutore, il combattente che riesce sempre a cadere in piedi e trovare una via d’uscita. Ed a mantenere ancora casta la sua difesa dai takedown. Infatti Usman, anche dopo i due match col miglior wrestler dopo di lui nell’intera divisione, mantiene invariato ed intatto il 100% di difesa dagli atterramenti. Ufficialmente, nessuno è riuscito a portarlo a terra. E lui ha quasi finito gli avversari in categoria, alcuni li ha addirittura battuti due volte.

Ma possiamo immaginare anche che qualcuno di voi abbia in mente un certo fighter che ha combattuto la scorsa settimana e che ha fatto sembrare il numero undici di categoria come un inadeguato dilettante. Forse è davvero il momento giusto per la UFC di dare a Khamzat Chimaev la possibilità che attende di più. Certo, Leon Edwards permettendo.

Rose Namajunas è la migliore

Lo ripete ormai da molto tempo come un mantra, prima che il match inizi. «I am the best. I am the best»; per chi osserva forse non serve ricordarlo, ma è importante per sé stessa.

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Rose Namajunas ha lavorato molto in termini di mentalità e psicologia da ottagono e oggi è una campionessa solida, che è stata capace di mostrare per due volte contro le migliori contendenti le proprie qualità.

È quasi diventato un meme, nei video motivazionali coi peggiori montaggi possibili, il suo primo match contro Joanna Jedrzejczyk, quando viene insultata e sbeffeggiata dall’ex campionessa polacca prima di riservarle il trattamento peggiore ricevuto all’interno della gabbia.

Namajunas ha dimostrato, nonostante le palesate insicurezze, di essere capace di tirar fuori il meglio di sé nei momenti di massima difficoltà.

Weili Zhang è una furia. Campionessa legittima prima di Rose, aveva battuto sia Jessica Andrade che Joanna. Nel loro primo match, Rose l’aveva sorpresa immediatamente con un head kick, guadagnando una vittoria rapidissima e spedendo in uno strano limbo Zhang. La fighter cinese non si è persa d’animo e si è trasferita per parte del suo camp negli Stati Uniti, servendosi dei saggi consigli di Henry Cejudo. In effetti, la seconda sfida con Namajunas è stata una prova soddisfacente per Zhang, nonostante la sconfitta. L’ex campionessa ha probabilmente portato a casa il primo round in virtù di una maggiore mobilità e di rapidi e fruttuosi leg kick.

In particolare un gancio mancino in uscita nel corso del secondo round ha stordito Rose, ma la campionessa si è ricomposta subito e non ha dato modo alla sfidante di capitalizzare a seguito di un colpo davvero potente e preciso.

In fase di stand-up per l’intera durata del match le due hanno scambiato colpi davvero potenti e rapidi, ma probabilmente ciò che ha convinto i giudici a dare la vittoria a Namajunas si è visto - oltre che nel quinto round, dominato in termini di posizione - proprio nelle fasi a terra. Il diretto di Rose e la varietà dei suoi colpi ha convinto Zhang a ricercare nelle prime fasi del match degli atterramenti trovati spesso e volentieri; la guardia a terra di Rose però è sempre stata uno dei suoi punti forti e, grazie anche alle lunghe leve, l’ha aiutata a limitare il lavoro in ground and pound della fighter cinese, che comunque ha messo a segno qualche diretto. In top position in effetti la forza fisica di Zhang si è fatta evidente, ma quando tra quarto e quinto round Namajunas l’ha portata a terra a sua volta, Zhang non ha accennato alla minima risposta, una volta che si è trovata schiena a terra.

Complice il calo fisico e il laser focus di Rose, che in controllo dalla top position ha subito compreso di avere un vantaggio netto sulla guardia piuttosto laterale di Zhang, costretta spesso a recuperare in mezza guardia e schiacciata dalla pressione e dal controllo della campionessa. Momento di giubilo anche per Wittman, che alla vigilia dell’ultimo round ha incalzato la sua assistita: «Ti stai divertendo?», ricevendo un sorriso in risposta.

Il match è stato equilibrato e godibile, e se le prime quattro riprese sono state equamente divise (prima e terza in favore di Zhang, seconda e quarta in favore di Namajunas), la quinta è stata in favore della campionessa. Ha portato con intelligenza subito a terra la sfidante, iniziando a stagnare nella sua guardia e girando solo quando Zhang accennava ad una reazione, mantenendo così il controllo. A fine ripresa Zhang si è liberata, ma non ha avuto le energie fisiche e mentali per tornare in piedi, così Rose è rientrata nella sua guardia, colpendo di tanto in tanto anche in ground and pound e restituendo i colpi subiti nelle prime stanze.

A certificare un match estremamente equilibrato, è arrivata anche la decisione dei giudici, non unanime in questo caso, con un giudice che ha espresso 48-47 in favore di Zhang e gli altri due che invece hanno dato la vittoria a Namajunas, rispettivamente per 49-46 e 48-47. Anche gli inviati di settore per le testate statunitensi si sono idealmente divisi, con un parziale vantaggio per Rose Namajunas. Entrambe si sono dette alla fine soddisfatte per la prestazione e Rose ha addirittura detto a Joe Rogan di non essere troppo preoccupata per il risultato poiché era sicura di aver offerto una bella prestazione. Anche Zhang ha detto di aver dato il 100% ed ha ringraziato la folla ed i suoi fan.

Zhang e Namajunas sono, senza ombra di dubbio, le fighter migliori a 115 libbre e avranno ancora modo per certificarlo. In una gara di completezza totale però, Rose ha dimostrato di avere ancora un leggero vantaggio e se Zhang poteva sembrare più potente, la versatilità di Namajunas, che ha condotto il match in crescendo, le ha permesso di tenere il titolo cinto alla vita dopo una delle più complicate notti della sua carriera.

Justin Gaethje è ora il primo contendente al titolo

Comprensibile bonus Fight of the Night per i due fenomeni coinvolti nel match d’apertura della main card.

Justin Gaethje e Michael Chandler non se le erano mandate certo a dire e, nonostante il reciproco rispetto mantenuto, non avevano fatto mancare le provocazioni in conferenza stampa (“Al suono della sirena del primo round, vedremo chi è il più cagasotto tra i due” parole di Gaethje). Non che un match del genere avesse davvero bisogno di promozione: quando Chandler e Gaethje entrano nell’ottagono, sono fuochi d’artificio assicurati. Dopo il KO rifilato come presentazione a Dan Hooker e dopo aver sfiorato il paradiso per precipitare nel giro di due minuti negli abissi infernali contro Charles Oliveira, Michael Chandler sapeva di essere ad un bivio nel match contro Justin Gaethje, ma alla fine, nonostante si sia assistito ad uno dei match più sanguinosi, esaltanti ed emozionanti dell’anno, nessuno dei due contendenti è uscito ridimensionato.

In apertura entrambi i fighter si sono accolti a furia di leg kick, ma Chandler ha subito modificato i propri piani, puntando al volto ed al bersaglio grosso di Gaethje, mentre quest’ultimo a suon di montanti (che non si vedevano spesso nel suo repertorio) e diretti si è aperto la strada per mozzare il footwork di Chandler, che già dal secondo round e con una netta tumefazione alla gamba, è stato costretto a cambiare guardia. Ciononostante, Chandler non si è perso d’animo, ed ha scambiato a viso aperto con Gaethje, spesso invitandolo a venire avanti e colpire.

Non si era mai visto un fighter così temerario contro Gaethje, nemmeno Eddie Alvarez e Dustin Poirier quando l’avevano battuto parevano godere in maniera così profonda degli scambi selvaggi.

In apertura, per esempio, Chandler pareva voler fare il Gaethje e ha tramortito Justin con dei ganci alla tempia; Gaethje è rimasto in piedi, ma non si può dire non abbia accusato i colpi.

Entrambi hanno portato al limite le loro abilità e quelle del proprio avversario, testandosi reciprocamente. Nella prima ripresa, con tutta probabilità, Chandler aveva fatto meglio, inquadrando in maniera più attenta e precisa i movimenti del suo avversario. Col passare del tempo e grazie anche al lavoro di demolizione alle gambe, Gaethje ha realizzato i suoi aggiustamenti, ma non si può dire non abbia sofferto.

Gaethje, come detto, ha iniziato i propri aggiustamenti nella ripresa successiva e ha messo a segno il colpo più bello e netto dell’incontro: un montante potente e preciso che ha centrato il mento di Chandler. È incredibile come “Iron” Michael sia riuscito a riprendersi andando in turtle position e nascondendo la testa tra le gambe di Gaethje, evitando così il suo ground and pound e tenendolo fermo legando le mani sulla sua schiena.

Un altro momento quasi lisergico per il combattimento è stato il takedown da parte di Chandler, che ha sollevato da terra Gaethje, con ribaltamento a seguire e ritorno in piedi dei due. Il terzo round, come i precedenti, è stato epico e fatto di cambi di fronte, con Chandler ad infiammare il pubblico e Gaethje in avanzamento. Chandler ha chiamato più volte Gaethje al centro dell’ottagono per scambiare in maniera temeraria, ma è stato proprio Gaethje ad avere la meglio. Alla fine la decisione è stata unanime in suo favore (29-28 per due giudici, 30-27 per il terzo) e la sua dichiarazione finale ha avuto dell’epica: «Siamo nati in un periodo sbagliato, io e lui avremmo dovuto combattere fino alla morte al Colosseo!», rendendo onore al valore del suo avversario, col quale ha condiviso il sopracitato bonus Fight of the Night.

Alla fine, il più grande vincitore è stato proprio Trevor Wittman, che ha potuto stabilire in una sola notte un record di 3 vittorie e nessuna sconfitta per i suoi protégé e, con tutta probabilità, la candidatura come favorito a coach dell’anno.

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