A volte basta un colpo. Ma deve essere pesante come se fosse stato sferrato con un oggetto contundente. Come quello con cui Sean O’Malley ha concluso il quarto test, a dire il vero poco probante, di fronte a cui lo ha messo la UFC per capire se si tratti davvero di una star “in erba” (in tutti i sensi, considerando la sua passione per quella da fumare). L’avversario di O’Malley era Eddie Wineland, ex campione WEC dei Pesi Gallo, il cui canto del cigno è già arrivato nel 2013, contro l’allora campione Renan Barao. Avrebbe dovuto rappresentare la prima vera sfida difficile per O’Malley che però, col solito stile aggressivo e aggraziato, si è liberato di lui in tempi brevissimi, imponendo il ritmo ed esibendo uno splendido footwork multidirezionale.
“Sugar” O’Malley si è fatto inseguire e poi ha affondato al momento giusto. Wineland ci ha davvero capito poco, prima che un diretto secco e chirurgico lo privasse della sua coscienza dopo poco meno di due minuti dall’inizio del match. Come sempre O’Malley si è allontanato con affettata nonchalance e la UFC lo ha premiato con il bonus “Performance of the Night”.
O’Malley è diamante purissimo ma grezzo che l’UFC deve smussare in fretta. Non ha mai praticato arti marziali tradizionali, ma all’interno dell’ottagono è totalmente a suo agio, rilassato come sulla poltrona da gamer quando gioca a Fortnite e vince premi importanti, che spesso devolve in beneficenza (lo potete seguire sul suo canale YouTube). La sua personalità al di fuori dell’ottagono, lo stile vagamente anni ‘60 , i tatuaggi e i capelli colorati, lo rendono facilmente vendibile, e ormai sappiamo quanto contino queste cose per l’UFC.
Ma l’estetica accompagna uno stile di combattimento affascinante e da risultati innegabili, che è sempre la cosa più importante. Wineland era un avversario di medio livello, ed è parso addirittura scialbo contro di lui, ma O’Malley a soli venticinque anni ha già un record 12-0 e un potenziale da star che con buona gestione dei prossimi match, si spera contro avversari di livello superiore, potrà concretizzarsi in poco tempo. È troppo tardi per dire “segnatevi il suo nome”, ma è il momento giusto per iniziare a seguirlo con attenzione.
Anche Aljamain Sterling fa sul serio
Cory Sandhagen pareva essere uno di quei prospetti capaci di grandi imprese: dopo cinque vittorie consecutive in UFC, alcune contro fighter importanti come Raphael Assunçao e John Lineker, la promotion aveva deciso di fargli giocare una chance importante contro uno dei più evoluti fighter nell’intera divisione.
La prima parte della carriera di Aljamain Sterling è stata senza macchia. Grappler stellare ed estremamente elusivo, capace anche di far male nelle fasi di striking, quindi completo e imprevedibile, pareva però essersi perso dopo essere stato sconfitto, nel 2017, da Marlon Moraes, con un headkick portentoso che diventò un meme. Spavaldo e sfrontato, Aljoe (come viene ultimamente appellato) ha modificato il suo modo di presentarsi, rimanendo sottotraccia in termini promozionali ma mettendo a segno vittorie di livello contro nomi del calibro di Jimmie Rivera e Pedro Munhoz.
Forse la cosa più sorprendente nello stile di Sterling è il footwork elusivo e senza punti di riferimento: non dà il minimo riferimento perché ogni passo è diverso dal precedente ed il suo avversario non sa mai con esattezza dove se lo ritroverà nel tempo successivo dell’azione. Studiarlo serve fino ad un certo punto, perché è capace di takedown perfetti quanto di colpi angolati. Sterling vede il combattimento a 360° e può affrontare chiunque nella divisione. È quello che gli anglofoni chiamano championship material.
A trent’anni, Sterling pare aver raggiunto una maturità senza precedenti. Per convincere pubblico ed addetti, contro Sandhagen gli è bastato meno di un minuto e mezzo: lo ha intrappolato a terra, gli ha preso la schiena e lo ha sottomesso (dopo un primo tentativo difeso) con una rear-naked choke. Sandhagen si presentava con un record di 12-1 e, come detto, aveva già bruciato le tappe: la semplicità con la quale Sterling lo ha sconfitto fa pensare che sia pronto per una title eliminator (un incontro, cioè, preliminare a quello per il titolo). Il giovane Cory, invece, ha ancora tempo per imparare a nuotare fra gli squali.
Il ritorno di Garbrandt
Il livello assoluto o il talento di Cody Garbrandt non sono mai stati in discussione. Ma la sua gestione dei match era diventata un problema. Dopo aver perso i due match contro Dillashaw (in seguito trovato positivo all’eritropoietina), Garbrandt era stato sconfitto anche da Pedro Munhoz, power-puncher che lo ha messo KO durante uno scambio selvaggio. In molti parlavano di mandibola di cristallo, forse definitivamente compromessa. Possibile?
Garbrandt, in realtà, dopo quegli incontri ha capito che la scelta di scambiare in maniera selvaggia, sempre e comunque, contro ogni avversario, lo avrebbe portato ad esporre i suoi limiti. Forse dopo la vittoria netta contro l’ex dominatore Dominick Cruz e la vittoria della cintura Cody aveva iniziato a sentirsi immortale, invulnerabile: d’altronde come può sentirsi uno che sconfigge in maniera palese, prendendosi anche il tempo di prenderlo in giro, una leggenda come Cruz? Garbrandt però è tornato presto con i piedi per terra.
È passato in brevissimo tempo dall’essere l’uomo più forte nella sua divisione (sempre Pesi Gallo) all’ennesima meteora bruciata troppo velocemente. Come detto, però, le sue qualità sono indiscutibili. Lo si vede quando schiva in maniera leggiadra e precisa i colpi dei suoi avversari; oppure quando grazie al footwork si mette nella posizione e nell’angolo giusto per affondare i propri potentissimi ganci, i suoi montanti pesanti e rapidi, capaci di chiudere la contesa in un istante.
Contro Raphael Assunçao (numero 5 della categoria), “No Love” Garbrandt ha ridotto l’intensità e il volume dei colpi favorendo il suo incredibile timing, aiutato da un counterstriking che è probabilmente la sua arma migliore. Garbrandt ha messo a segno il KO più bello nella sua carriera nel momento più complicato, a seguito delle tre sconfitte consecutive che lo avevano fatto precipitare ai margini della top 10.
Insomma, dal paradiso all’inferno e ritorno in tre match.
Stavolta Garbrandt ha dimostrato di aver studiato un game plan e lo ha messo perfettamente in pratica. Dopo un primo round attendista nel quale ha portato alcuni buoni colpi ma, come si diceva, non ha avuto un grande volume, è sembrato ritrovare piano piano misure e coraggio. Assunçao non è un grandissimo striker, però è preciso ed elusivo, ostico per chiunque. E di solito ha ottime strategie, porta i match importanti dalla sua parte. I suoi frequenti cambi di guardia hanno confuso anche i fighter più esperti.
Garbrandt però sapeva esattamente cosa fare: innanzitutto gli ha troncato la gamba avanzata con ripetuti low kick, violenti, precisi, misurati. Assunçao ha iniziato a cambiare guardia, ma tenendo la parte destra avanzata offriva comunque l’interno della gamba ai low kick di Garbrandt, che ha continuato a fiaccare il suo gioco di gambe. Toccato duro sulla gamba sinistra, all’esterno, e sulla gamba destra all’interno, Assunçao ha deciso saggiamente di accorciare le distanze e provare a rispondere con colpi di braccia. Garbrandt glielo ha permesso, anzi ha passato il secondo round a farsi pressare.
Il colpo meraviglioso, stupefacente, è arrivato al termine del secondo round: Garbrandt si è messo lateralmente a parete, inseguito da Assunçao che ha abboccato ad una finta di corpo tentando di raggiungerlo al mento con un gancio, scoprendo così la propria mandibola. Il gancio di Garbrandt gli è valso un altro bonus di “Performance of the Night” e a mio modesto parere è un valido candidato a KO dell’anno.
Cody Garbrandt ha aggiunto una “W” al suo record. La sua è stata una prestazione maiuscola che lo rimette sulla cresta dell’onda: adesso, se continuerà ad adottare strategie accorte, potrebbe arrivare ancora una volta alla cintura.
La fighter migliore di sempre
Amanda Nunes è campionessa di due divisioni femminili diverse e probabilmente in cima a quella pound for pound di tutti i tempi ed è la prima fighter ad aver difeso i suoi titoli in due divisioni diverse, mantenendoli entrambi. Se si ritirasse oggi, dovrebbe essere ricordata come la donna più forte nella storia delle MMA. Felicia Spencer, la sua avversaria, si presentava al match con un record di 8-1, e la sua unica sconfitta era arrivata per mano di Cris Cyborg, un’altra leggenda dello sport (che Nunes ha già sconfitto). Le qualità indiscusse in fase di grappling della Spencer sembravano garantirgli qualche chance contro una campionessa e durante le cinque riprese ha dimostrato di avere la stoffa per resistere ai suoi assalti, anche se non si è mai mostrata capace di metterla in minima difficoltà.
Dopo i primi due round, nei quali Spencer ha tenuto botta egregiamente, la mancanza di energie combinata all’accelerazione da parte di Nunes hanno trasformato il match in un incontro a senso unico. Amanda Nunes è completa, potente ed efficace, i cinque round di dominio sulla Spencer hanno dimostrato che la differenza in ogni campo con le sue avversarie è davvero troppo grande. A parte Valentina Shevchenko, oggi campionessa dei Pesi Mosca, l’unica capace di offrire due prove convincenti contro di lei (finite tutte e due con vittorie di Nunes molto contestate).
Spencer si presentava come asso del grappling, wrestler completa e temibile, forte di un ottimo submission game. Lo scontro con la realtà però è stato molto duro: Nunes l’ha trattata come un sacco d’allenamento, e sebbene sia rimasta in piedi per cinque riprese, ed abbia dimostrato di essere fatta per stare in mezzo alle più forti di categoria, la differenza è stata netta.
Adesso è a quota 11 vittorie consecutive: Amanda Nunes non perde dal settembre 2014, in cui incappò contro Cat Zingano, e nessuna sembra poterle tener testa. Quando Spencer ha tentato di imporsi con il grappling, i takedown o il dominio a terra, è stata sempre ribaltata, dapprima con una spettacolare «O Goshi»(che ha messo Nunes in condizione di prendere il controllo laterale e attaccare in ground and pound), poi con dei tentativi di takedown ribaltati e difese del double-legche Nunes ha concluso con un ottimo single-leg. Nunes non ha mai rischiato e, anzi, la si è vista più volte ridere. Non erano risate di scherno, quanto piuttosto il segno che si stava godendo il suo momento. Non c’erano antipatie personali di mezzo e, anzi alla fine c’è stato un momento molto umano in cui Amanda Nunes ha appoggiato la cintura sulle spalle di Felicia Spencer.
Amanda Nunes è affilata come una lama, è capace di mettere in pratica qualsiasi game plan e in questo momento sembra anche più in forma che mai, a differenza di quando ha combattuto con Valentina Shevchenko. Oggi come oggi, l’unica in grado di offrire un match che sulla carta potrebbe essere probante per la campionessa sembra proprio Shevchenko. Certo, negli incontri tra le due è comunque in vantaggio Nunes, che ha vinto due volte anche se in match combattuti e sul filo del rasoio, e forse per Dana White un terzo match fra le due non serve a niente. Ma se non Shevchenko, chi altra? Nessuna è all’altezza di Amanda Nunes, la verità è questa.