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Kamaru Usman è veramente un incubo
17 dic 2019
Cosa ci ha detto l'evento UFC 245.
(articolo)
12 min
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La card di sabato, UFC 245, era una delle più attese dell’anno e alla fine ha offerto incontri spettacolari che non hanno deluso le aspettative più alte: persino i match nella card preliminare non avrebbero sfigurato in una main card non numerata. Devo fare obbligatoriamente menzione, ad esempio, del redivivo Brandon Moreno (mio pupillo già dalla sua partecipazione al TUF: Tournament of Champions) che ha affrontato Kai Kara-France (anch’egli protagonista dello stesso TUF) nella divisione dei pesi mosca, vincendo per decisione unanime una bagarre che preannunciava la notte di splendida violenza che si attendeva.

Non meno eccitante il match successivo in cui Chase Hooper - classe 1999, il fighter più giovane nel roster UFC - ha mostrato creatività in fase di grappling, alla faccia di chi crede che le fasi lottatorie sono noiose, per superare in maniera brillante Daniel Teymur, striker eccezionale che ha raggiunto Hooper al volto con un ottimo diretto destro ma che ha dovuto soccombere successivamente all’imposizione in ground game del giovane statunitense.

Teymur, va detto, ha resistito in maniera coriacea a un tentativo di rear-naked choke che pareva finito, ma non ha saputo rispondere a un set-up di triangolo dalla monta, prima essere finito in ground and pound. Così Hopper (il cui soprannome non troppo originale è “The Teenage Dream”), con un record perfetto di 9 vittorie, nessuna sconfitta e un pareggio, con un TKO al primo round, ha rubato la scena agli altri match preliminari e ha iniziato a far girare il suo nome.

Da segnalare, sempre dalla card preliminare, la prova maestosa di Geoff Neal - prodotto del Dana White’s Contenders Series - che in appena un minuto e mezzo è riuscito a prendere le misure, stabilire il footwork e affondare con un headkick seguito da due diretti eccezionali nientemeno che “Platinum” Mike Perry.

Adesso, con un record di 5-0 in UFC, quattro finalizzazioni all’attivo - e la 14.esima posizione nel ranking - uno stile aggressivo e mani davvero pesanti è una minaccia per chiunque nella divisione dei welter.

Yan > Faber, e l’esordio di José Aldo nei Pesi Gallo

Un dominio praticamente incontrastato di Petr Yan su Urijah Faber, nella divisione dei Pesi Gallo, in un match a senso unico che ha visto il siberiano pressare il leader del Team Alpha Male, metterlo alle strette, ottenere knockdown a piacimento senza rischiare mai nulla e infine, nel terzo round, mandare Faber KO con un headkick. Yan, a 26 anni e un record di 14-1 (sei vittorie consecutive in UFC) sembra già pronto per la chance titolata, e anche il personaggio, da cattivo di James Bond, sembra perfetto.

Qualche parola va spesa anche sul match fra Jose Aldo, esordiente nella divisione dei Pesi Gallo, e Marlon “Magic” Moraes, contendente numero uno. Moraes è partito fortissimo, cercando di stabilire le gerarchie con headkick potenti e precisi, ma il fantasma di Henry Cejudo, che gli ha rubato il titolo a UFC 238, si è materializzato praticamente subito: quando Jose Aldo ha iniziato a pressarlo e a mettere colpi importanti.

È stato un match equilibrato, con un numero di colpi significativi simile, anzi semmai con Aldo in vantaggio nel secondo e nel terzo round, e col primo, in cui Moraes è stato più incisivo, in parità. Stando al regolamento, Aldo, a mio avviso, avrebbe dovuto vincere il match, specie dopo aver dimostrato di poter fiaccare il suo connazionale con precisi e potenti colpi al corpo e dopo averlo costretto ai ripari, combattendo in arretramento e non creando nessun vero pericolo nelle due riprese conclusive. Due dei giudici però hanno visto un vantaggio di Moraes e gli hanno assegnato due riprese su tre.

Resta l’impressione che con i relativi aggiustamenti, José Aldo potrebbe davvero essere una minaccia a 135 libbre. Sempre, giudici permettendo.


Amanda Nunes resiste

Amanda Nunes è una fighter dal QI molto alto e dal background estremamente vario: già dal primo round ha capito che Germaine de Randamie, ex campionessa dei Pesi Piuma, poteva infastidirla in fase di striking, e quindi ha puntato tutto sui takedown.

Alta e longilinea, de Randamie ha 46 vittorie in curriculum (di cui 30 per KO) e nessuna sconfitta, ha fatto incetta di titoli fra la muay thai e la kickboxing e detiene il record per il maggior numero di vittorie consecutive fra kickboxing e muay thai (46, appunto). Ha anche un record solo suo: una vittoria in un match di boxe misto, in cui ha messo KO un uomo, Tom Waes, che pesava 40 libbre (18 kg circa) più di lei. Insomma, le credenziali per essere considerata fra le donne più pericolose al mondo c’erano tutte...

Ma una volta compreso di essere a disagio negli scambi dalla distanza, Amanda Nunes ha evitato che la fighter olandese concatenasse delle combinazioni, lasciandole spazio solo per i colpi singoli: ogni volta che de Randamie era in equilibrio precario per portare un colpo o si scomponeva per raggiungerla, iperestendendosi, Nunes ha tentato il takedown.

Non ha ottenuto il 100% di successo durante la serata, ma ogni volta che ci è riuscita, senza troppa fatica e ricorrendo spesso agli outside trip (gamba esterna ad uncinare la gamba dell’avversaria, testa al livello del bacino per sbilanciarla e controllo con le spalle), ha speso intelligentemente le proprie energie per tenerla a terra.

Il primo round è stato praticamente un assolo e la Nunes ha rischiato di trovare il TKO, visto che la sua avversaria in un paio di occasioni non ha dato segnali di risposta. Discorso diverso per il secondo round: Nunes ha tentato di capire, saggiando prima la sua avversaria con dei leg kick, se avesse potuto tentare di lavorare dall’interno della guardia della fighter olandese, raggiungendo il mento.

Capito che era complicato, è tornata al takedown, rischiando più volte degli upkick della sua avversaria, ma riuscendo alla fine a ottenere la side position. Spesso de Randamie chiamava la mezza guardia, limitando i danni e palesando effettive mancanze nel ground game - fatta eccezione per una triangle choke difeso dalla campionessa. De Randamie è stata pericolosa quasi solo quando ha centrato Nunes con un upkick al mento, facendole tremare le gambe.

“Non possiamo permetterci di subire altri upkick” ha detto Conan Silveira a Nunes a fine ripresa, anche se la tentazione di cercare la finalizzazione era forte. D’altronde, il lavoro di ground and pound e pressione da terra costa fatica e nonostante la sfidante abbia serie difficoltà a difendere i takedown e a tornare in piedi, non sembrava neanche soffrire eccessivamente il ground and pound. Alla lunga, Nunes è sembrata frustrata.

Alla fine Nunes ha doppiato de Randamie per colpi significativi (79 a 40) mettendo a segno ben 8 takedown su 11 tentati. La completezza di Amanda Nunes è innegabile ed è un fattore fondamentale per qualsiasi campione, specie quando si trova davanti fighter con qualità migliori delle sue in un’area specifica.




Inizia l’era di Alexander “the Great” Volkanovski?

Volkanovski, australiano, era praticamente l’ultima minaccia rimasta per Holloway, reduce da 14 vittorie di fila nella divisione dei Pesi Piuma (striscia interrotta solo da uno straordinario Dustin Poirier nella divisione superiore). Il ritmo e la capacità di adattamento di Holloway sembravano irraggiungibili, ineluttabili per qualsiasi avversario gli si parasse davanti nella sua categoria, Volkanovski però si è reso protagonista di una scalata eccezionale e pareva davvero l’ultima speranza di competitività in una divisione ormai dominata dall’orgoglio delle Hawaii.

La strategia di Volkanovski era basata sui legkick, alla fine sono stati addirittura 75. Giocando su un ottimo movimento di gambe e corpo, sull’occupazione perfetta dell’ottagono, sulla grande fisicità e su un allungo da peso welter, Volkanovski è riuscito nell’impresa.

Quando Holloway trova un “technical striker”, preciso e con un allungo maggiore del suo, generalmente soffre, ma poi trova il ritmo, accorcia e riesce a portare l’inerzia dal suo lato. Gli unici fighter capaci di non far imporre il gioco al massacro a “Blessed” sono stati Dustin Poirier e, appunto, Alexander Volkanovski.

Sebbene ai miei occhi Holloway abbia portato a casa secondo e quarto round, quando ovviamente Volkanovski per necessità ha dovuto abbassare il ritmo, la vittoria di quest’ultimo è stata abbastanza palese e ha convinto anche gli osservatori più scettici. Volkanovski non ha ridimensionato Holloway, ma lo ha costretto a giocare al suo gioco, facendosi inseguire per cinque riprese, mettendo a segno una valanga di colpi con timing eccezionale, seguiti da ottime uscite per tornare alla distanza ideale.

La verità è che il match è stato davvero molto equilibrato e che i low kick hanno fatto la differenza: Holloway ha addirittura superato nella conta dei colpi il suo avversario nei round 4 e 5, ed è il fighter che più ha messo alla prova Volkanovski, finora. È stato un match tutt’altro che brutale: studiato, giocato dalla distanza, sull’abilità dei due di incrociarsi coi colpi.

Max Holloway dovrebbe ancora essere il lizza per un rematch immediato, vista la sua storia a 145 libbre, e con i giusti accorgimenti nel gameplan potrebbe riprendersi subito la cintura. Ma Volkanovski ha dimostrato tutta la sua pericolosità: alla fine ha tirato più colpi significativi (157 a 134, su 303 tentati da entrambi i fighter) e ha costretto Max a cambiare guardia a causa dei danni alla gamba avanzata.

Holoway ha accettato con classe la sconfitta, poi ha dichiarato comunque di aver percepito di aver vinto, ma che sarebbe tornato in palestra ad allenarsi al più presto per rientrare in gabbia velocemente.

Fosse per noi, potrebbero tornare in gabbia anche domani.




Kamaru Usman è veramente un incubo

Non solo per il nickname, “The Nightmare”, ma per come sa essere dominante - ed è curioso vedere come fino a un anno fa si parlava così anche dell’ex campione Tyron Woodley, perché le MMA sono uno sport che brucia a una velocità impressionante gli atlelti. Nella sua prima difesa titolata, Usman ha messo in scena una resa dei conti a tratti anche teatrale con il nemico Colby Covington.

Da un lato c’era il sogno americano (o, per chi mette il cappello MAGA, l’incubo?) vissuto da un nigeriano che, come direbbe il comedian Joey Diaz, incarna il concetto di “immigrant mentality”: la mentalità dell’emigrato dotato e determinato che cerca la fortuna altrove, in un paese che le opportunità le offre. Un nigeriano che però vive da quando ha otto anni negli Stati Uniti e, finito l’incontro, può dire di essere “più americano” di Covington.

Dall’altro lato c’era un conservatore, che appoggia il presidente Trump e che quando è andato a combattere in Brasile si è presentato al pubblico dicendo che il loro Paese era “una discarica” e loro degli “schifosi animali”. Verità o finzione? Covington si è dovuto inventare un personaggio per non essere tagliato dall’UFC, come ha raccontato di recente, ma è vero anche che quei messaggi li veicola sul serio, oggi. In medio stat veritas, come si diceva, e se Covington oggi è poco amato è anche colpa sua. Le indubbie doti in gabbia sono un’altra cosa, e con quelle si è ottenuto una chance titolata contro un fighter che in molti preferirebbero evitare.

Stiliticamente ci si aspettava che dovesse andare come nel meme di Spider-Man che punta il dito contro se stesso. E invece Usman e Covington, due wrestler molto potenti e tecnici, hanno dato vita a un incontro di solo striking. Quello di Covington, più tecnico, pulito, alla ricerca della distanza da cui portare colpi risolutori, e dal volume decisamente più alto, ha incontrato quello di Usman, meno voluminoso ma ben più potente, caricato.

Insomma, i colpi di Usman sono potenti, esplosivi, forse leggermente più lenti di quelli di Colby, ma hanno trovato angolazioni precise.

Bisognava solo capire chi dei due avesse maggiore durezza psicofisica. Il match a mio avviso è stato epico, anche se so bene che molti non lo considerano tale. Capisco alcune perplessità: ma come, due wrestler che non entrano in clinch? Che non effettuano uno scramble? Che non si testano?

Il rispetto, nell’accezione puramente sportiva e atletica del termine, che i due nutrivano per le rispettive doti lottatorie ha fatto sì che Kamaru e Colby decidessero di sfidarsi dalla distanza. E non è una sorpresa il fatto che, fino al quinto round, nessun giudice avesse visto lo stesso match: per uno era sopra Colby, per un altro Kamaru, per il terzo era un pareggio. Chissà come sarebbe finita, se Usman non avesse mandato al tappeto due volte nel giro di pochi secondi Covington - che, va detto a suo onore, aveva la mascella rotta dalla seconda o terza ripresa - prima di chiudere con il ground and pound...

È stato il match con la valutazione più difficile della serata, sono stati cinque round di battaglia senza esclusione di colpi, un incontro fatto di schivate di busto sul posto per poi rientrare con colpi pesanti, da parte di entrambi, fra corpo e figura. Mentre Colby ha tentato di fiaccare il footwork del campione con i leg kick, che comunque hanno trovato poco successo, Usman si è dedicato al corpo e al termine del terzo round, Colby - famoso per il suo cardio - pareva già fiaccato. Come un vero campione, però, Covington ha offerto altri due round di botta e risposta.

La chiave per la vittoria di Usman sta nel miglioramento della sua fase pugilistica: nel suo stiff jab misurato, lungo e potente, nel diretto e nel gancio a seguire che più volte hanno trovato il mento.

Covington dal canto suo è riuscito ad andare a segno con buoni jab e diretti, la potenza e l’esplosività però erano lontane da quelle del campione e il volume non l’ha aiutato, visto che quando i due incrociavano i guantini era quasi sempre Usman a uscire vittorioso dagli scambi e a pressarlo.

Nel minuto finale Kamaru ha accelerato, aumentando il ritmo e mirando al mento del suo avversario, visibilmente malconcio: Covington era stanchissimo e ha cercato di resistere fino alla fine, ma centrato da due buoni colpi alla mandibola non ce l’ha fatta.

A 4.10 del quinto round, dopo un duro ground and pound, Marc Goddard ha interrotto l’incontro. Colby si è lamentato ma è quando Goddard ha fermato l’incontro non stava più opponendo una resistenza attiva, e cinquanta secondi sono un tempo lunghissimo da passare con la testa tra i piedi di un avversario come Usman...

“Dicevano che mi era entrato nel cervello”, ha commentato Usman dopo, “ma avete visto cos’è successo: la mia testa è più forte di chiunque altro nella divisione”. E così "L’Incubo", il ragazzino nigeriano arrivato negli Stati Uniti per battere gli americani di più generazioni, si è mostrato nella sua forma più spaventosa, non ha mai arretrato nemmeno sotto colpi durissimi e ha continuato a pressare dal primo secondo all’ultimo. In una condizione del genere, sembra davvero difficile immaginare chi possa metter fine al suo regno. Kamaru Usman fa paura, non solo ai razzisti.


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