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Alfredo Giacobbe
Tutto in discussione?
18 apr 2017
18 apr 2017
Un Mourinho machiavellico si prende la rivincita contro i suoi ex tifosi e riapre virtualmente la corsa tra Chelsea e Tottenham.
(di)
Alfredo Giacobbe
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Mentre voi eravate in famiglia, probabilmente sazi oltre ogni limite e con problemi di digestione, il Chelsea di Antonio Conte ha perso 2-0 all’Old Trafford, contro il Manchester United di Mourinho, cioè, subendo così la quinta sconfitta in campionato, che è anche la seconda sconfitta in quindici giorni e quella che virtualmente riapre la corsa al titolo che sembrava già bella che chiusa, dato che adesso i punti di distacco dal Tottenham di Pochettino sono solo 4.

L’umore dei tifosi di Chelsea e United si è completamente ribaltato nell’arco di due ore. Prima del fischio d’inizio, alla lettura delle formazioni, i tifosi del Manchester United erano sorpresi, a dir poco: per via di Mkhitaryan, Martial e addirittura Ibrahimovic fuori dall’undici iniziale. Si era pensato ad uno United in campo con una versione irrobustita del consueto 4-2-3-1, con Young maggiormente disposto al sacrificio in copertura sulla trequarti sinistra e un Fellaini in più che significava dar battaglia in entrambe le aree e cercare le palle lunghe.

Ingenuamente, si è pensato che la squadra di Mourinho scendesse in campo con un atteggiamento tattico simile a quello che l’aveva portata alla disfatta nella

: in quella partita le due ali, che scendevano sulla prima linea di difesa, avevano creato i presupposti per una superiorità numerica in zona centrale nella quale Hazard e Pedro hanno fatto quello che volevano. Invece, la strategia di Mourinho si è subito rivelata più sofisticata.

Dal canto suo, Conte ha avuto più di qualche pensiero nel prepartita, per via dei forfeit di Marcos Alonso (problema intestinale) e di Courtois, le cui cause sono state svelate solo al fischio finale: pare che il portiere belga si sia infortunato ad una caviglia durante le riprese di uno spot televisivo. Una notizia esplosiva se data in pasto ad un pubblico già arrabbiato per la sconfitta, oltre che inviperito verso un giocatore dalla vita privata già molto chiacchierata (

.

 

 



 

Appena sceso in campo, passati i canonici primi tre minuti fatti di lancioni e di possesso conteso all’arma bianca che soddisfano il gusto del pubblico britannico, il Manchester United ha mostrato la chiara intenzione di rallentare i ritmi della partita. Lo ha fatto tramite un possesso prolungato (nei primi 30’ minuti le percentuali di tempo trascorso con il pallone erano di 65-35 a favore dei padroni di casa), con la palla che veniva mossa per lo più nella propria trequarti campo difensiva.

 


La prima impostazione dello United: Pogba (in alto) si abbassa per prendere palla dai piedi di Rojo e Bailly, mentre Darmian ed Herrera restano nella zona di Pedro e Hazard anche in fase di possesso.


 

Responsabili della prima impostazione erano i due centrali, Rojo e Bailly, e una seconda linea formata da Darmian, che veniva al centro del campo, Herrera e uno tra Pogba e Fellaini, che a turno scendevano in mezzo ai centrali difensivi.

 

In questo modo lo United risultava sempre in superiorità numerica rispetto al pressing portato dai tre giocatori offensivi del Chelsea, a cui si aggiungeva N'Golo Kanté. La posizione stretta di Darmian ed Herrera era funzionale ad uno scopo difensivo che spiegherò tra poco, ma anche durante la fase offensiva permetteva di liberare una linea di passaggio verso gli esterni, Young e Valencia, che andavano a sistemarsi su una linea di quattro completata da quello tra Pogba e Fellaini che non si era abbassato, e da Rashford. Ricapitolando, in fase di impostazione il 5-3-2 dello United scivolava in un 3-2-4-1: Bailly, Rojo e (ad esempio) Pogba; Herrera e Darmian; Young, Fellaini, Rashford, Valencia; e davanti restava il solo Lingard.

 

Con questa disposizione lo slancio offensivo di Young e Valencia contribuiva a tenere bassi gli esterni del Chelsea, Moses e Azpilicueta (quest’ultimo era il sostituto designato di Alonso); e la posizione di Rashford nello spazio intermedio tra Azpilicueta, Matic e Cahill ha infastidito non poco il Chelsea.

 


Fino all’ingresso di Carrick, il baricentro dello United era ben più alto di quello del Chelsea (55,3 a 44,5 metri). Le posizioni intermedie di Herrera e Darmian hanno facilitato il gioco sugli esterni, soprattutto dal lato di Valencia dove lo United portava Fellaini e Rashford nella zona di Matic.


 

Come accennato, la posizione di Darmian ed Herrera aveva un secondo scopo in fase difensiva e diventava evidente non appena lo United perdeva palla: trovandosi nella zona due trequartisti avversari, Pedro e Hazard, potevano prenderli in marcatura ad uomo all’inizio della transizione negativa. Questo accorgimento difensivo di Mourinho, questa attenzione per le marcature preventive su Pedro e Hazard, che appunto partiva dalla fase offensiva, è la chiave con cui leggere non solo la formazione ma l’intera partita del Manchester United.

 

Alle loro spalle, Bailly usciva in prima battuta su Diego Costa, forte della copertura di Rojo. Quando era il Chelsea a gestire il pallone Pogba e Fellaini salivano marcando - sempre con l’uomo come riferimento - i due mediani avversari, Kanté e Matic; mentre Lingard e Rashford, sulla stessa linea avanzata, provavano a schermare tutte le scelte possibili di David Luiz in mezzo al campo, costringendolo a girare il pallone sui centrali ai suoi lati.



 

 

La scelta di Mourinho di disporsi a specchio, in fase difensiva, rispetto al 3-4-3 del Chelsea (con il 5-3-2 che mutava nel 3-2-4-1 sopra descritto dalle fasi di difesa a quelle di attacco) ha imposto il contesto tattico della gara: l’allenatore portoghese non ha fatto altro che annullare ogni vantaggio strategico di Conte, sistemando i suoi undici uomo su uomo per tutto il terreno di gioco, in modo da portare la contesa sul piano dei duelli individuali.

 

E su questo piano, quello dei duelli individuali, lo United ha stravinto la partita: 28 contrasti vinti, contro i 23 dei giocatori Blues; 14 duelli aerei a 10; 9 dribbling vincenti a 7; 25 palloni recuperati a 12.

 

E proprio da uno di questi recuperi è nato il primo gol dello United che ha sbloccato la gara già dopo 6 minuti. Herrera ha ripreso il possesso del pallone, con un tocco di mano giudicato non falloso dall’arbitro, e si è ritrovato al di là di Matic e Kanté, saliti in pressione contemporanea nel tentativo di recuperare una sfera a lungo contesa. La lucidità di Herrera, nell’alzare la testa e nel vedere il movimento in profondità di Rashford è stata notevole in una situazione di gioco fin lì estremamente confusa.

 

Nell’azione del gol c’è anche la complicità di David Luiz: il brasiliano si è fatto attrarre dal pallone, ha tentato di intercettare la linea di passaggio tra Herrera e Rashford; poi, resosi conto della velocità del pallone, ha provato a scappare all’indietro per frapporsi tra Rashford e la sua porta. La sua indecisione, durata una frazione di secondo, è bastata a concedere all’attaccante inglese lo spazio e il tempo per il calcio di destro che ha battuto il portiere, Begovic, in uscita.



 



 

Dalla seconda frazione ci si aspettavano due cose: (1) che il Manchester United, visti lo sforzo fisico del primo tempo e l’impegno infrasettimanale in Europa League, calasse d’intensità; (2) che Conte operasse un cambio offensivo, con Willian che sembrava aver intensificato il riscaldamento nell’intervallo.

 

Nessuna delle due cose è avvenuta e la partita è ricominciata con lo stesso

di prima dell’intervallo. E dopo solo tre minuti dalla ripresa lo United ha trovato il raddoppio, ancora una volta sugli sviluppi di un’azione di stampo rugbistico, “portata alla mano” da Young ed Herrera, autore del gol.

 

A quel punto Conte si è visto costretto al cambio tattico, inserendo Fabregas al posto di Moses. Dal conseguente passaggio al 4-2-3-1, con l’allargamento di Zouma a destra e l’abbassamento di Azpilicueta sul lato opposto, il Chelsea ha tratto qualche vantaggio: Fabregas da trequartista centrale è stato libero di fare gioco nell’ultimo terzo di campo perché nessuna marcatura era predisposta su di lui. Ma anche con il successivo ingresso di Carrick per Lingard, che in teoria avrebbe dovuto ostacolarlo, Fabregas ha avuto modo di dare il suo impatto sulla partita.



Costretto alle barricate, l’

dello United si è ulteriormente rafforzato: negate le imbucate oltre la linea grazie a un blocco basso talvolta ben dentro l’area di rigore; irrigidite le marcature con Fellaini passato stabilmente su Fabregas, a fustigare ogni movimento incontro dello spagnolo (la

di Mourinho intorno al settantottesimo dice molto di come la sua squadra ha preparato e vissuto il confronto).

 

Nel contesto tattico del secondo tempo, i motivi che hanno spinto Mourinho a preferire Rashford a Ibrahimovic sono diventati improvvisamente chiari: l’attaccante inglese, veloce e resistente, ha provato a scattare su ogni pallone lanciato dalla sua difesa: in questo modo ha tenuto in apprensione l’intera difesa avversaria, costretta a spendere un fallo o a concedere una touche agli avversari. Rashford ha messo a referto a fine partita 4 dribbling riusciti, 4 tiri verso la porta avversaria e l’87% di passaggi riusciti.



 

 



 

Mourinho si prende la propria personale

nei confronti dei suoi ex tifosi, che nell’occasione dell’ultimo scontro tra United e Chelsea nei quarti di FA Cup lo avevano beccato a più riprese, tacciando il portoghese di tradimento. Il Manchester United resta al quinto posto ma è comunque attaccato al treno per la Champions League: davanti a sé ha i cugini del City, a 4 punti di distanza ma con un partita in più; e il Liverpool, a 6 lunghezze ma con addirittura 2 match giocati in più degli uomini di Mourinho.

 

Lo United non ha risolto nessuno dei suoi

, ma ha saputo fare di necessità virtù contro un avversario che aveva incontrato due volte in stagione senza riuscire mai a fargli neanche un gol, con una partita “machiavellica” nei propositi e “gasperiniana” nell’esecuzione. In qualche modo, Mou ha battuto una strada già tracciata, pur a modo suo: da quando è passato alla difesa a tre, escludendo lo scivolone recente col Crystal Palace, il Chelsea ha perso solo contro il Tottenham, che pure aveva cambiato modulo per schierarsi a specchio. Pochettino ha perseguito la vittoria per mezzo della tecnica di Christian Eriksen, liberato ai lati di Matic; Mourinho invece ha lasciato di proposito le sue grandi individualità fuori dalla partita, per conseguire una vittoria costruita con la forza bruta, attraverso piccole battaglie a tutto campo.

 

E per il Chelsea è arrivato il momento di chiedersi se la lotta per il titolo si è riaperta. Il Tottenham dista solo 4 punti ed è in fiducia, nonostante abbia un calendario più complesso davanti a sé rispetto ai Blues. Probabilmente a Conte avrà bruciato di più la sconfitta in casa contro il Crystal Palace di quindici giorni fa, dove pure era passato in vantaggio (rispetto, intendo, a una sconfitta all’Old Trafford mai disonorevole), ma la sconfitta di domenica ha confermato due aspetti del Chelsea 2016-17.

 

Il primo è che Conte non può pescare molti jolly dalla sua panchina, ha praticamente solo il super-sub Fabregas, e Conte ha abbandonato il suo assetto prediletto solo dopo il gol del 2-0. Il secondo è che Kanté è un giocatore divisivo come pochi: se da un lato lo si esalta per le doti atletiche (si è partiti dal “corre per due” di

e si è arrivati per successivi rilanci al “corre per undici” di

), dall’altro bisogna imputargli anche una decisa dose di anarchia tattica (e in entrambi i gol dello United c’è una sua compartecipazione).
Questi discorsi possono interessare Conte solo in vista della prossima stagione: con sei partite ancora da giocare (più una semifinale di FA Cup proprio contro il Tottenham), ai Blues non resta che abbassare la testa e serrare i ranghi.

 

 

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