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Tommaso Giagni
Tutti aspettano Moise Kean
19 mar 2019
19 mar 2019
La storia della giovane promessa della Juventus.
(di)
Tommaso Giagni
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La sera del 19 novembre 2016, la Juventus sta battendo agevolmente il Pescara e Moise Bioty Kean viene chiamato a entrare sul terreno dello Stadium. La prima volta di qualcuno nato nel 2000 in Serie A. Il ragazzo ha sedici anni. È talmente teso che

a togliersi la tuta, devono aiutarlo due addetti del club.

 

A fine partita, Moise

suo fratello. Gli grida nelle orecchie: «Ce l'ho fatta», si mettono a piangere insieme.

 

Ad Asti e a casa lo chiamano “Mosè”. Buffon

“Cucciolo”. Lui quando già era un attaccante di

, a Verona,

: «Gigi è talmente alla mano che finisco per dargli del tu anch'io».

 

Piemontese, è nato a Vercelli il 28 febbraio 2000 e cresciuto ad Asti, da genitori ivoriani.

 

Chi l'ha conosciuto da ragazzino, sempre scherzoso e con un irrefrenabile bisogno di giocare a pallone,

oggi a vedere la compostezza e la serietà di Moise sui grandi palcoscenici.

 

Nel descriverlo pochi giorni dopo l'esordio nel massimo campionato italiano, la madre

: «È vivace, come tutti gli altri bambini».

 


Settembre 2017, la struttura fisica a diciassette anni, in Under 19 (foto di Emilio Andreoli / Stringer).


 

Una persona pacata, che non fa trasparire le emozioni,

del fratello, Giovanni, classe 1993, che ha provato la carriera da attaccante ma si è fermato alla Serie D (dallo scorso gennaio è svincolato). Lui invece si lascia trascinare, se il giorno dell'esordio di Moise con la Juventus non riusciva a trattenere le lacrime e i singhiozzi, come testimonia un

girato sugli spalti dell'Allianz.

 

I due fratelli sono molto uniti, venuti su grazie agli sforzi della madre Isabelle, dopo che il padre se ne andò.

il maggiore, Moise ha visto cose che un bambino non dovrebbe vedere. Le cose non sono state semplici, insomma, per quanto Isabelle sia sempre stata una figura molto presente: «Tutto quello che facciamo è per restituire qualcosa a lei»

Giovanni.

 

Lei

altrove la responsabilità per la riuscita dei loro percorsi: «Grazie a Dio e grazie ai ragazzi che mi hanno ascoltata e hanno rispettato le regole di casa».

 

La famiglia è molto devota alla religione cristiana. Isabelle

così la telefonata con Moise dopo l'esordio in Serie A, che lei aveva seguito in TV perché una frattura al piede non le permetteva di andare allo stadio: «Mi hai visto, mamma? Che emozione è stata?», «Ti ho visto, è stata un'emozione grande», «E come hai manifestato [sic] questa emozione?», «Con la preghiera: ho ringraziato il Signore».

 

«Senza la Parola di Dio, penso che non avrei tutte 'ste cose»

lo stesso Moise Kean. Prega tutti i giorni, prega a ridosso di ogni partita. Sul braccio si è tatuato il cielo e le scale del Paradiso, che

come simbolo della fatica necessaria per arrivare in alto.

 


8 marzo 2019, dopo il primo gol all'Udinese (foto di Tullio M. Puglia / Stringer).


 

È ad Asti che inizia a giocare, all'oratorio. Chiunque passi per il Don Bosco riconosce che ha qualcosa in più, ma lui

ad allenarsi con regolarità, perché la madre spesso non riesce a portarlo agli allenamenti in tempo, finisce che magari Moise gioca due minuti di partitella. Addirittura, c'è un periodo in cui interrompe l'attività: «Avevo smesso di credere nel calcio per un po'».

 

Viene però notato da Renato Biasi, responsabile delle giovanili dell'Asti ed ex portiere professionista, che lo aggrega nel vivaio biancorosso. Kean è immarcabile, pur giocando

(col gruppo del '98, ma se capita anche con bambini del '96, quattro anni più grandi).

 

Grazie a Biasi, passa al Torino («Se posso prendermi un merito, è di averlo lasciato andare subito in un club più grande»), dopo un provino che il ragazzo supera

. Resterà per

, prima di passare in bianconero.

 

11 dicembre 1994. La Juventus di Lippi gioca all'Olimpico contro la Lazio, una partita rocambolesca che finisce 4-3 per gli ospiti. Il quarto gol lo segna un centravanti di diciannove anni, all'esordio in campionato. Si chiama Corrado Grabbi, è cresciuto a pochi passi dallo stadio Comunale ed è stato il capitano della Primavera bianconera.

 

Dopo, giocherà solo un'altra volta in Serie A, nel corso di quella stessa stagione che si concluderà con lo scudetto della Juve. Poi un'infinità di infortuni, tanta Serie B e un'esperienza al Blackburn Rovers in Premier League.

 

All'origine dei suoi rimpianti, Grabbi

qualcosa di chiaro: «A un ragazzo di diciotto, vent'anni, la vita va insegnata. Se nessuno ti insegna le cose, ma ti punisce soltanto, non si impara. È sempre una questione di maestri».

 

Grabbi è stato l'allenatore e il mentore di Kean nelle giovanili bianconere. Un ambiente sano, attento all'educazione dei ragazzi, secondo la madre Isabelle: «La comunità Juventus, la famiglia Juventus» la definisce.

 





 

La Juventus lo cresce dagli Esordienti alla Primavera. E nell'estate 2017 lo manda a giocare a Verona, in prestito secco.

 

Presto l'Hellas avrà una situazione buia di classifica, ma comunque Kean trova spazio. Anzi, gioca più minuti di Pazzini e diventa inamovibile per Pecchia, segna 4 reti (con una doppietta a Firenze), prima che un infortunio agli adduttori chiuda la sua stagione già a marzo.

 

Non fa in tempo a incrociare Fabio Grosso, che lo ha allenato in Primavera (insieme hanno perso ai rigori la finale Scudetto del 2016) e che arriva sulla panchina scaligera nell'estate 2018. Non fa in tempo perché la Juventus decide di riportare Moise alla base.

 

Lo scorso gennaio è arrivata la prima da titolare e il primo gol con la maglia bianconera, a Bologna, in coppa Italia. Il suo primo pensiero

: «Cavolo, son ricco. Mo inizio a diventare ricco». A marzo, la prima da titolare in A: due gol e un assist contro l'Udinese.

 

Allegri lo sta gestendo in modo ferreo, come già aveva fatto nel 2016/17. Poche occasioni, molta esigenza. Di una certa durezza nei suoi confronti

Kean stesso, considerandola un'attenzione da parte di un tecnico che ha visto molti talenti bruciarsi.

 

I dieci minuti in coda alla partita con l'Atlético Madrid, in ogni caso, parlano di una stima evidente.

 


20 gennaio 2016, con la maglia della nazionale Under 17, amichevole con la Spagna (foto di Giuseppe Bellini / Stringer).




Dopo aver compiuto l'intera trafila di selezioni giovanili (argento all'Europeo Under 19 e doppietta nella finale persa col Portogallo ai supplementari) e dopo appena 4 presenze tra Under 20 e Under 21, a novembre scorso è arrivato l'esordio con la Nazionale maggiore. E tutto lascia pensare che l'obiettivo degli Europei 2020 sia concreto.

 

Il suo agente è Mino Raiola, il che rafforza i parallelismi con Mario Balotelli. Entrambi attaccanti di prospettiva e forza fisica, neri e italiani. In più c'è il numero tondo dell'anno di nascita, che dà l'impressione di una promessa, di un orizzonte nuovo: Mario Balotelli del 1990, Moise Kean del 2000. Si diventa il simbolo di una generazione, ed è una responsabilità magari gratificante, magari oppressiva, comunque imposta.

 

Lui

di smarcarsi dal paragone e rivendicare la propria autonomia: «Mi piace Mario, ma lui è Balotelli e io sono Kean».

 



Estate 2017. Con Ibrahimović, Shevchenko e Pogba, a diciassette anni.


 

Il percorso è appena cominciato, i pericoli intorno sono i soliti che minacciano i crack annunciati, i talenti precoci, i ventenni catapultati sotto i riflettori: tentazione di sentirsi arrivati, incapacità di gestire le trasformazioni e la pressione del mondo.

 

Per esempio, il padre si è fatto vivo «ora che Moise è sulla bocca di tutti»

il fratello Giovanni. O ancora, l'episodio del 2017, quando Kean venne allontanato insieme a Scamacca dal ritiro della nazionale Under 19 per motivi disciplinari,

per uno scherzo mal riuscito, può restare sulla sua testa come un precedente sulla fedina o come una cosa sbagliata che non farà mai più.

 

Uno dei primi ad accorgersi delle sue doti ad Asti, Remo Turello,

: «Tutti lo aspettano, tanti vorranno qualcosa da lui». Lui, Moise, intanto

con grande serietà: «Secondo me quello che sta per venire sarà ancora meglio di tutto quello che ho fatto».

 

 

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