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(di)
Nicola Palmiotto
Tutte le promesse di Gara-7
02 nov 2016
02 nov 2016
Cleveland Indians e Chicago Cubs si sfidano stanotte per invertire il corso della storia.
(di)
Nicola Palmiotto
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Che non sarebbe stata una finale banale lo dicevano i numeri, la storia e le squadre coinvolte. Cleveland è a caccia di un successo nelle World Series di baseball che manca dal 1948. Per risalire invece all’ultimo trionfo dei Cubs bisogna andare indietro di 108 anni, correva l’anno 1908. Da allora

,

e ovviamente formazioni mediocri, hanno contribuito ad accrescere l’hype dei tifosi dei Cubs, per i quali le World Series del 2016, arrivate dopo aver conquistato il primo Pennant dopo 71 anni, rappresentano indubbiamente l’appuntamento con la storia. Dall’altro lato Cleveland punta al secondo trionfo in uno sport professionistico, soltanto pochi mesi dopo

di LeBron James e dei Cavaliers.

 

Una storia che in ogni caso è destinata a compiersi stasera, (l’una di notte in Italia), quando le due squadre si affronteranno nella decisiva gara 7. Dopo 6 gare il punteggio della sfida è in perfetto equilibrio: 3 vittorie Cleveland, 3 vittorie Chicago. Difficile immaginare per questo campionato un finale più appassionante.

 

 



 

Cleveland è arrivata alle World Series sfavorita. I ragazzi di Terry Francona però hanno giocato i playoff come meglio non potevano, prima travolgendo Boston 3-0 nelle ALCS e poi imponendosi su Toronto 4-1 nelle ALCS. I Cubs, invece forti del miglior record in stagione regolare (103 vittorie), hanno semplicemente recitato il ruolo di schiacciasassi, tenendo fede al copione che il Gm Theo Epstein e il manager Joe Maddon avevano immaginato per loro già dall’inizio dell’anno. Eppure la marcia nei playoff dei Cubs non è stata priva di difficoltà. Dopo aver sconfitto i Giants 3-1 nelle NLCS, Chicago si è trovata a fronteggiare il primo momento veramente critico nelle NLDS, quando i Dodgers si sono portati avanti 2-1 nella serie. Ma da quel momento i Cubs hanno infilato tre vittorie consecutive in trasferta, guadagnandosi così un biglietto per le World Series.

 

La serie finale è cominciata sotto il segno di lanciatori: partenti e bullpen. In realtà il ruolo dei lanciatori durante tutti i playoff è stato decisivo, causando

o trionfi. Nella seconda categoria va senza dubbio ascritto Andrew Miller, il fortissimo rilievo degli Indians, insignito peraltro con il premio di

, che finora ha silenziato schiere di battitori avversari (17 inning giocati, 1 punto solo concesso, 8 valide e 2 basi ball a fronte di 29 strikeout), risultando uno dei fattori chiave nei successi della propria squadra in questa postseason. In gara 1 Miller, insieme al partente Corey Kluber e al closer Cody Allen, ha fatto fino in fondo il proprio dovere, permettendo a Cleveland di inaugurare la serie con un secco 6-0, grazie anche alle bombe di Roberto Perez.

 


Roberto Perez ha firmato un home run al 3° inning ed uno all’8°, nella gif i due swing.



 

Nella seconda partita invece è successo l’esatto opposto. Sul monte del Progressive Field è salito Jake Arrieta, che diversamente dalle ultime altalenanti prestazioni, ha aggiunto un’altra perla alla sua collezione di imprese. Cleveland infatti non ha messo a segno nemmeno una valida per oltre 5 inning. Sul 5-1 con cui i Cubs hanno riequilibrato la serie c’è anche la firma di Kyle Schwarber (doppio RBI), rientrato in campo proprio nelle World Series dopo un infortunio che lo ha tenuto fuori per tutta la stagione.

 


La gemma di Arrieta in gara 2.



 

Il ritorno a Wrigley Field di una finalissima di baseball dopo quasi tre quarti di secolo non è stato però quello che tutti i tifosi dei Cubs sognavano. In gara 3 e 4 gli Indians hanno messo a segno due colpi che sembravano devastanti. L’1-0 della prima partita (quinto shoutout di Cleveland nella posteason, secondo nelle World Series) ha visto ancora una volta protagonisti i lanciatori: Tomlin, l’immancabile Miller (risultato poi il lanciatore vincente della sfida), Shaw e Allen, che hanno lasciato agli avversari la miseria di 5 valide. Il punto della vittoria però è il risultato di una magia della panchina:

Coco Crisp ha messo segno l’RBI decisivo portando a casa

Michael Martinez.

 


L’Rbi di Coco Crisp.



 

Nemmeno l’accorato appello di Bill Murray durante il

, a cui ha fatto seguito una performance

, è servita per capovolgere le sorti dell’incontro. Nella seconda partita gli Indians si sono ripetuti. Stavolta l’uomo copertina è stato Jason Kipnis, il seconda base nato a Chicago e fan dei Cubs, che al settimo inning ha stampato un home run da tre punti. Con Cleveland avanti 3-1 nella serie i Cubs non avevano altre scelte: da quel momento dovevano vincerle tutte.

 

Dopo i tentativi sfortunati di Bill Murray e

, stavolta serviva un cantante vero. Il compito di infrangere la maledizione di Wrigley Field e prolungare il sogno di Chicago è stato affidato alle esperte corde vocali di

dei Pearl Jam. Risultato 3-2 per i Cubs. Sembrerà ripetitivo ma anche stavolta a decidere il match è stato un rilievo, Aroldis Champan, guarda caso compagno di squadra di Miller agli Yankees fino alla scorsa estate. Joe Maddon, dando seguito alla creatività con cui i manager hanno usato i rilievi durante la postseason, ha mandato in campo il closer al settimo inning. Chapman è rimasto sul monte due inning e due terzi, il massimo in carriera, lanciando per ben 42 volte, difendendo così l’esiguo vantaggio acquisito nel quarto inning grazie all’home run di Kris Bryant. Sul 3-2 per gli Indians, la serie si è quindi è quindi spostata di nuovo a Cleveland.

 

 



 

Gettato alle ortiche il primo match point, sulla racchetta degli Indians però ne rimanevano ancora due, da giocare peraltro in casa. La prima partita si è giocata stanotte. Ancora una volta con le spalle al muro e costretti a vincere i Cubs non hanno fallito. E stavolta l’hanno fatto con i fuochi d’artificio. Dopo i primi tre inning Chicago era già in vantaggio 7-0. E pensare che Tomlin, il lanciatore partente di Cleveland, aveva cominciato piuttosto bene, eliminando Fowler e Schwarber. Poi però è arrivato Bryant che ha colpito un fuori campo, e dopo di lui sono giunte puntuali le valide di Rizzo e Zobrist, portati a casa dal fortunoso doppio di Russell, sul quale pesa l’errore commesso dagli esterni degli Indians Tyler Naquin e Lonnie Chisenhall.

 


Nella postseason le partite si vincono anche grazie agli errori degli avversari.



 

La storia si è ripetuta anche nel terzo inning. Schwarber ha beneficiato subito di una base ball, poi Rizzo e Zobrist, con una valida a testa hanno riempito le basi. Il cambio di lanciatore effettuato da Francona, fuori Tomlin dopo appena 2.1 inning e dentro Otero, non ha prodotto risultati, perché Addison Russell si è ripetuto, firmando stavolta un grand slam (sesto Rbi in soli tre inning) con cui Chicago si è portata sul 4-0.

 


Il grand slam di Addison Russell.



 

I tentativi di rimonta di Cleveland, un Rbi di Napoli al quarto inning e un home run singolo di Kipnis al quinto, sono stati limitati dalla ottima performance di Jake Arrieta sul monte di lancio, che in quasi sei inning ha concesso 2 punti e 3 valide a fronte di 9k, guadagnandosi così la seconda vittoria delle World Series. Il punto esclamativo sul 9-2 con cui i Cubs si sono aggiudicati la possibilità di giocarsi il tutto per tutto nella decisiva gara 7, l’ha messo Anthony Rizzo con un home run da due punti di nel nono inning.

 

 



 

Per la 38esima volta nella storia delle World Series si va quindi a gara 7. L’ultima non è stata neanche troppo lontana nel tempo e risale a due anni fa, quando i Giants sconfissero i Royals. Se i Cubs riusciranno nell’impresa di ribaltare l’1-3 (il massimo svantaggio nella serie), saranno la sesta squadra a compiere una tale impresa, a partire dal 1925 quando si è adottata la formula ancora in vigore oggi. Curiosamente l’ultima squadra che ha portato a termine un compito così difficile sono stati i Royals nel 1985. Dal punto di vista delle statistiche, in gara 7 il vantaggio campo conta praticamente niente: 19 volte ha vinto la squadra di casa e 18 volte quella ospite.

 

Sul monte ovviamente entrambe le squadre schierano i loro cavalli migliori, peraltro due seri candidati al titolo di CY Award. Per gli Indians c’è Corey Kluber (18-9, 3.14 Era), sulle cui statistiche brillano già due vittorie in gara 1 e 4. Dall’altro lato c’è Kyle Hendricks, (16-8, 2.13 Era, la migliore di tutta l’Mlb) che nelle ultime due partenze nei playoff, (gara 6 delle NLCS e gara 3 delle WS) non ha concesso un solo punto. Non è scontato che a gara in corso possano fare il loro ingresso in campo i partenti (per esempio Jon Lester per i Cubs), come del resto capitò in gara 7 del 2014

.

 

Ovviamente il “momentum” (dal 1969, 10 volte su 15 la squadra che ha vinto gara 6 ha vinto anche gara 7) sembra essere tutto dalla parte di Chicago, mentre Cleveland sente franare la terra sotto i piedi, dopo aver sprecato due occasioni per chiudere il conto. In realtà, per quanto visto in stagione regolare, è piuttosto normale che l’attacco dei Cubs sia tornato a ruggire. Quello che i lanciatori degli Indians, senza Carrasco e con un Salazar a mezzo servizio, hanno fatto finora resta infatti qualcosa di assolutamente straordinario. Francona sa perfettamente che molte delle chance che gli Indians hanno di portarsi a casa gara 7 risiedono sul monte di lancio. Probabilmente è questo il motivo per cui nelle ultime due gare ha risparmiato Miller, per presentarlo tirato a lucido e poterlo utilizzare in modo aggressivo, cioè già nei primi inning qualora ci fosse bisogno di mantenere il vantaggio acquisito. Un pensiero che potrebbe farsi largo anche nella mente di Joe Maddon con Aroldis Champan, cosa che peraltro il manager dei Cubs ha già sperimentato in gara 5. Anche se, diversamente da quanto ha fatto Francona con Miller, Maddon ha preteso un po’ troppo dal suo giocatore, schierandolo al settimo e ottavo inning di gara 6 nonostante un vantaggio di 5 punti. Chissà che le fatiche non si facciano sentire proprio nella partita decisiva.

 

Comunque vada stanotte la striscia combinata tra le due squadre di 176 anni senza un titolo giungerà alla fine. Spesso nello sport vittoria e sconfitta sono associate a vita e morte. Allora non ci poteva essere data migliore per giocare questa partita: la notte del 2 novembre, l’ultima di baseball della stagione.

 

 

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