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(di)
Francesca Marzia Esposito
Troppo grosse
08 feb 2022
08 feb 2022
La lotta del body building femminile per avere la stessa dignità di quello maschile.
(di)
Francesca Marzia Esposito
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Iris Kyle è la body builder che detiene il record assoluto di vittorie nel campo. Con diciassette titoli all’attivo, ha portato a casa ben dieci medaglie di Ms. Olympia e sette di Ms. International (l’Arnold Classic per le donne). Nessuno l’ha eguagliata, nemmeno nella divisione maschile. Classe ‘74, un metro e settanta di altezza, per un peso che oscilla tra i 68 Kg sotto gara e i 75-80 Kg off-season, è soprannominata Chocolate Chip, Iron Maiden, Bertha, The female Ronnie Colemann.


 

Enorme, ben piantata a terra, con tutta la catena muscolare sbalzata a rilievo, è il prototipo di corpo ibrido che fonde insieme maschile e femminile. Il 2014 è l’anno in cui la Kyle detronizza la mitica Lenda Murray, la culturista che fino a quel momento aveva ottenuto il maggior numero di vittorie, ben otto medaglie di Ms. Olympia, dopodiché la gara viene chiusa.


 

La decisione e i motivi della cancellazione della gara non vennero mai chiariti apertamente. Si disse che i biglietti staccati per vedere una gara di donne troppo muscolose erano diminuiti. Che quei corpi estremi non piacevano al pubblico. Che fisici così esasperati erano inguardabili: sono un’esagerazione! È disgustoso! Sono troppo grosse!


 

La stessa cosa stava accadendo nel Body Building (BB) maschile, i corpi pompati crescevano a dismisura, ma a quanto pare la deformazione eccessiva sul corpo delle donne risultava indigesta. Le donne che mettevano su massa in maniera abnorme e puntavano all’estrema definizione muscolare non attraevano. L’opinione dei leader del settore, di coloro che si occupavano di valutare i canoni, e che apprezzavano il corpo da Hulk smodatamente massiccio al maschile, non stimarono opportuno per le donne perseguire lo stesso obiettivo. Non bisognava fomentarne il prototipo. Le donne dovevano mantenere una maggiore proporzione, dovevano rimanere equilibrate nelle forme, non eccedere: non perdere in femminilità. Sì toniche, ma con moderazione.


 





 

Insomma, mentre per partecipare a Mr. Olympia i concorrenti della categoria open, la massima, potevano continuare a farsi di anabolizzanti, ormoni della crescita, diuretici, eccetera, per raggiungere dimensioni enormi in nome di una definizione millimetrica tanto più astratta quanto più dettagliata anatomicamente, alle donne ne veniva tolta la stessa possibilità.


 

Lasciarono la gara Woman’s physique, affiancata alle più recenti Bikini e Wellness, le versioni soft della competizione. Praticamente rimasero in scena i fisici apparentemente natural e cioè non dopati, almeno, teoricamente.


 

Mantenendo una postura iperlordotica canonica – petto in fuori e fondoschiena anche – le atlete avanzavano su sandali trasparenti a tacchi alti, con la tartaruga ben sagomata sull’addome e l’intera mappa muscolare visibile a fior di pelle, solo avevano misure e forme ridimensionate. Posavano in modo aggraziato, per esempio le mani non venivano chiuse a pugno mentre contraevano i bicipiti ma lasciate aperte con le dita allungate verso l’alto.


 

Un innesto tra l’individuo androgino e la versione tradizionale del “femminile” che permetteva di ottenere un esemplare 3D di Barbie palestrata. La gara di Mr. Olympia venne inaugurata nel 1980, quindici anni dopo l’avvio della competizione di Mr. Olympia. La prima manifestazione di Body Building al femminile risale al ‘77 ma era ancora uno spettacolo alla stregua di un concorso di bellezza. In pieno movimento femminista si affermò il diritto per le donne di partecipare a competizioni sportive vere e proprie e così nacque la Woman’s Physique Division. Con Gina La Spina, considerata storicamente la prima campionessa di bodybuilding, si cambiò rotta e il corpo venne valutato secondo i canoni di muscolosità, simmetria e portamento, esattamente gli stessi usati per gli uomini: Like a man, diventò il leitmotiv. Le concorrenti comunque dovevano gareggiare sui tacchi, e non facevano le pose scultoree per mostrare i muscoli, si limitavano a sfilare. Nel 1983 i canoni virarono verso una maggiore fisicità, più massa, più muscoli, più vascolarizzazione, fino a compiere il salto definitivo con Corinna Everson, sei volte Ms. Olympia, dal 1984 al 1989.


 

Con Everson ci fu la consacrazione del corpo femminile definito, asciugato, volumetrico, con tutte le vene a rilievo, pronto a scavalcare l’immaginario della donna sensuale e materna; un nuovo corpo rivendicato a incrocio genetico, spinto verso la neutralizzazione del genere. Vennero in seguito create due categorie: lightweight e haevyweight, in modo da separare i fisici più grossi e poterli valutare accettando all’interno della divisione la deriva dell’enormità.


 

Gli anni a cavallo tra ‘80 e ‘90 sono l’età d’oro di un body building femminile nella versione più simile alla gara maschile. I fratelli Weider, promotori e fondatori della IFBB, la federazione internazionale del BB, furono designati per la costruzione della golden age e portarono il settore femminile a livelli di rilievo mai raggiunti prima. Nomi come Cory Everson, Kim Chyzewski, Tonya Knight cominciarono a diventare popolari e conosciuti da un nuovo pubblico di affezionati. Dopodiché il decennio successivo venne emblematicamente rappresentato da Lenda Murray, una dea muscolosa che manteneva ancora un’armonica proporzione.


 





 

Di Lenda Murray si racconta che venne presa da un’autentica folgorazione intorno ai vent’anni, quando entrò in una palestra del Michigan e decise di lasciar perdere il cheerleading (la ginnastica acrobatica coreografata che fanno le ragazze usando i pompon per accompagnare le partite di football) e di dedicarsi completamente al BB. Era il 1984 quando cominciò a lavorare sodo per scolpire il corpo che poi la portò a vincere per ben otto volte consecutive Ms. Olympia. Con la schiena a V e le cosce possenti, non aveva nulla da invidiare ai suoi colleghi maschi, e creò uno standard che per un po’ fu punto di riferimento per le colleghe.


 

Durante il Ms. International del ‘92  il suo fisico mutò e la cosa non passò inosservata. Ci furono delle polemiche, si parlò di abuso di droghe e di effetti collaterali degli ormoni androgeni. Ben Weider cercò di arginare la deriva dell’ipermascolinizzazione stilando una circolare che introduceva un nuovo canone: Not too big.


 

Nel 2000 la competizione venne assorbita dal calendario dell’Olympia Weekend e tenuta il giorno prima dello spettacolo degli uomini. Rimase la divisione di peso e, accanto ai parametri di simmetria e sviluppo muscolare (ma non all’estremo! precisarono), furono introdotte nuove linee guida: volto, trucco, look, aspetto sano e femminile, tono della pelle. Quattro anni dopo si inventarono la regola del 20%: “per motivi estetici e di salute”. Le partecipanti alle tre categorie: bodybuilding, fitness, figure, dovevano scendere di massa. Così alle culturiste toccò mettersi ancora una volta davanti allo specchio, osservarsi attentamente, e chiedersi: «Ok, il venti per cento di cosa? Io sono giusta o sono troppa?».


 

L’ennesimo contraddittorio fu nel 2008 durante Ms. International, quando Iris Kyle venne retrocessa al settimo posto. La motivazione fu: «a causa di evidenti iniezioni di steroidi». Secondo il giudice l’abuso degli ormoni aveva causato «distorsioni nel fisico». Spalle troppo muscolose, glutei troppi solidi, deltoidi fuori misura. Quando intervistata alla Pro Bodybuilding Weekly Radio, lei riparlò dei famosi «dossi esageratamente voluminosi», disse: «Non sarebbe stato un problema, se fossi stata un maschio».


 

Le dimensioni estreme richiedono un utilizzo massiccio di AAS (Steroidi Anabolizzanti Androgini) che incrementano volume, forza muscolare e massa magra. Ovviamente sono sostanze che fanno incorrere nel rischio di pesanti effetti collaterali, soprattutto a carico del sistema riproduttivo e cardiovascolare. Gli steroidi agiscono poi sulla libido, sulla psiche, sul comportamento, fanno perdere i capelli, gonfiano (e poi ci saranno i diuretici), e questo vale sia per il corpo maschile che per quello femminile. Per gli uomini si aggiunge una maggiore sudorazione, la sensazione immotivata di benessere, l’insorgenza di stati depressivi, e la ginecomastia, che poi sarebbe quando le mammelle si gonfiano in modo anomalo. Mentre nelle donne la virilizzazione provoca anche un’alterazione della crescita dei peli pubici, l’ingrandimento del clitoride, l’irregolarità mestruali e la riduzione del seno.


 

I corpi messi sotto inchiesta venivano costruiti attraverso una forzatura, è evidente. Sempre sperando che una buona genetica venisse in soccorso e permettesse di tollerare bene le bombe di chimica a cui si sottoponevano. Voler perseguire un’idea di corpo colosso smodato e innaturale era un rischio che in egual misura correvano le donne quanto gli uomini.


 

Qui non si trattava di rimettere al centro l’importanza del corpo inteso come bene massimo da non sconsacrare, del corpo sano come simbolo supremo da non profanare, qui si trattava di strumentalizzare il benessere dell’individuo per imporre faziosamente un divieto a un settore e non all’altro. I limiti dei canoni al femminile dovevano avere paletti più stretti, mentre la categoria open per gli uomini poteva rimanere il tripudio della sproporzione. Facendo un altro giro di vite: le donne Hulk non avevano diritto a esistere, mentre gli uomini sì.


 

Nel 2016 qualcuna ci mise la faccia. Irene Anderson, pro IFBB (International Federation of BodyBuilding & Fitness, ndr) di origine svedese, una vichinga dai deltoidi di pietra, diventò la protagonista di Too big for the world, un docu-film uscito quell’anno con lo scopo di tratteggiare un lungo viaggio nel mondo del BB femminile. Fu lei a sollevare il problema della chiusura del Ms. Olympia e del Miss Internationals, lei che voleva riprendere a gareggiare nella sua categoria prima di compiere cinquant’anni.


 

Nel documentario, a un certo punto è un colosso seduto frontale alla telecamera e si rivolge direttamente a Mister Swarzenegger: «Sono Irene Andersen, una body builder professionista, nata in Europa, come te e, come te, ho sempre creduto nel sogno americano. Ho seguito il mio sogno negli ultimi trentacinque anni, perché volevo diventare la migliore body builder del mondo. Sì, lo stesso sogno che avevi tu. Le due competizioni a cui sognavo di partecipare erano Miss Olympia e la tua competizione Miss International Classic. Ma questo non è mai successo perché tu hai permesso che donne body builder fossero fermate. Tu, la persona più importante nel body building, hai negato a noi donne la possibilità di seguire i nostri sogni e di essere chi volevamo essere, mi chiedo perché. Perché hai sostituito le donne body builder con i bikini e la pole dance? Perché il body building è solo per uomini? Solo gli uomini possono rincorrere questo sogno? Forse hai paura di una donna grossa e muscolosa? Non lo so. Pensi di essere meno uomo se sono più grossa di te? Non è così. Mi piaci e ti rispetto così come sei. Tutto quello che chiedo in cambio è di rispettare il mio sogno e quello di noi donne muscolose, e di non lottare contro di noi per cercare di zittirci».


 

Un’altra cosa che venne fuori nel docu-film era che la competizione al femminile aveva sempre avuto un montepremi irrisorio rispetto a quella maschile e, nel tempo, si era vista decurtare anche di più il valore economico delle medaglie. Quando a Lenda Murray venne annunciato che il primo posto sarebbe stato un assegno più basso rispetto a quello dell’anno precedente, rispose: «Se è così, io non partecipo».


 

Alla fine nel 2020 viene reintrodotta la categoria Body Building per Ms. Olympia. Era inevitabile. È un periodo di riconfigurazione del concetto di normalità, non più stigmatizzata da un valore medio livellante ma ottenuta attraverso la compresenza simultanea del multiforme. Questo è il momento in cui la stessa narrazione dei corpi svincola l’appartenenza al genere e mentre siamo alle prese col tentativo di abituare a de-classificare gli individui e a lasciare che ognuno abbia la possibilità di avere una personale versione di sé, e che si senta comunque incluso, rappresentato, esistente, anche i corpi ibridi delle body builder dovevano trovare un posto.


 

Quindi, esattamente come gli uomini, le donne maciste, da due anni a questa parte sono tornate a calcare le scene. Finalmente possono esibire il risultato ottenuto con tanta dedizione. Fanno scena sulla pedana, lucidate al mallo di noce, dure e stagne, le cosce enormi, le vene a rilievo, i distretti muscolari asciugati, i pettorali gonfi al posto dei seni, i glutei marmorei, l’apertura alare del busto, fiere e sorridenti. In testa hanno parrucche che riproducono capelli fluenti da bambola versione bionda mora rossa. A volte le extension arrivano fino alla vita, così, quando devono mostrare l’enormità della catena di muscoli che hanno costruito sulla loro schiena, si voltano e con fare civettuolo spostano la tenda di capelli sul gradino del trapezio. Nella posa doppio bicipite frontale, sopra le nocche delle mani hanno degli zirconi che, assieme allo smalto dato sulle unghie lunghe ricostruite in microresina, luccicano a distanza. Il volto scavato e indurito dal dimagrimento viene decorato con ciglia finte e un bel po’ di kajal sulle palpebre. Stanno lì, statuarie, colossali e posano: scalze.


 

Solo che, mentre Big Ramy – il gigantesco egiziano che ha vinto quest’anno il primo premio di Mr. Olympia – si è beccato 400.000 dollari (al secondo posto sono andati 150.000 dollari, al terzo 100.000, al quarto 45.000, al quinto 40.000, e via di seguito in discesa con men’s physique primo posto 35.0000, secondo 12.000, terzo 8.0000, quarto 4.000, quinto 2.000), ad Andrea Shaw, vincitrice per la seconda volta di Ms. Olympia, hanno staccato un assegno da 50.000 dollari (la stessa cifra è andata al primo posto nella categoria bikini, la seconda classificata ha preso 20.000, la terza 12.000, la quarta 7.000 e la quinta 6.000. Stessa cosa più o meno per le Wellness, le Figure Olympia, e le Women’s fitness Olympia). 


 

400.000 dollari contro 50.000. Dettagli.


 

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