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Gian Marco Porcellini
Troppo forti
15 set 2023
15 set 2023
Siamo andati al PalaEur per vedere la Nazionale approdare in finale degli Europei di volley.
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Gian Marco Porcellini
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IMAGO / NurPhoto
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Stamattina, all’indomani del perentorio 3-0 (25-21, 25-19, 25-23) alla Francia che vale la finale europea, ho ripensato al momento in cui la Nazionale di De Giorgi pareva quasi fuori da questo torneo. Martedì sera, nel quarto di finale con l’Olanda, gli azzurri avevano ceduto un po’ a sorpresa il quarto set alla selezione di un altro italiano, Roberto Piazza, dopo aver ribaltato l’inerzia del match nei parziali grazie a un incremento esponenziale delle percentuali in attacco (dal 40% del primo al 67 del secondo fino addirittura il 76 del terzo). Forse è stata la frenesia di voler chiudere i colpi in attacco a scapito dell’ordine di cambio palla e contrattacco a favorire il ritorno degli olandesi, che nel tie break sono andati avanti di 2 punti (3-1) e hanno avuto la palla del potenziale 4-1 con Nimir Abdel-Aziz.

Il numero 14 è stato uno degli opposti più prolifici nell’ultimo decennio nel campionato italiano, tanto che lo speaker del PalaPanini di Modena, l’ultima squadra in cui ha giocato in Italia, lo chiamava “barracuda” per la propria voracità e forse pure per la forma esile del suo corpo. È a lui che è capitata la palla decisiva. Ha appena difeso con un bagher relativamente comodo una diagonale stretta di Michieletto da posto 2 e dalla rincorsa ha l’aria di chi sta per sbriciolare la palla, a maggior ragione in una gara in cui ha già superato i 30 punti. Invece Mosca compie la giocata più preziosa della sua partita, sporcando a muro – dopo una traslocazione pulita in posto 4 al fianco di Romanò - l’attacco di Nimir, che Michieletto converte in punto girando stavolta verso posto 6. È il punto che inclina il quinto soffertissimo set dell'Italia, che vince per 3-2 la seconda sfida di questo europeo, dopo un 3-2 alla Germania meno significativo, considerato che era l’ultima sfida di un girone già vinto con una giornata di anticipo.

Un gruppo A sicuramente alla portata per una squadra che negli ultimi due anni ha vinto Europei e Mondiali, ma sicuramente più impegnativo di quello ad esempio di quello della Nazionale femminile, con avversari della classe medio-alta come il Belgio (che negli ottavi ha dato molto fastidio alla Polonia), una Serbia alla prese con un delicato ricambio generazionale che sta intaccando il suo status di big della pallavolo mondiale (e contro cui l’Italia ha offerto la prova più impressionante della prima fase per la varietà del cambio palla e la capacità di far sembrare facile ogni contrattacco), come la stessa Germania. Più trascurabili invece i successi con Estonia e Svizzera nel girone, un po’ come l’ottavo di finale vinto in scioltezza contro la Macedonia del Nord.

L’Italia è praticamente la stessa da due anni a questa parte, cioè dalla nomina del commissario tecnico pugliese, che ha preso in mano la squadra tagliando i giocatori più anziani e dando spazio a questa generazione di talenti, come i due schiacciatori Michieletto (reduce comunque da una buonissima Olimpiade da titolare a Tokyo) e Lavia, l’opposto Romanò - l’uomo che col suo ingresso in finale contro la Slovenia ha svoltato l’Europeo del 2021 - il libero Balaso oltre al capitano Giannelli, che malgrado i “soli” 27 anni è il palleggiatore della Nazionale da 8 anni. Al centro però De Giorgi non può contare sul miglior muratore della squadra, il centrale Simone Anzani, l’unico over 30 del gruppo, operatosi a fine agosto a causa di un’aritmia cardiaca che dovrebbe aver risolto. Dopo Anzani, nei quarti si è infortunato pure Roberto Russo (che ha riportato una distorsione alla caviglia senza tuttavia riportare lesioni): un’assenza che potrebbe privarci di uno dei giocatori più in forma della squadra, sia per l’esuberanza a muro sia per la crescente fiducia nell’attaccare dei primi tempi spostati.

Al centro quindi, oltre a Galassi, che nell’ultimo Mondiale si è alternato agli altri due attaccanti di posto 3, De Giorgi ha provato contro l’Olanda entrambi i classe 2000 in organico, Giovanni Sanguinetti e Leandro Mosca (il primo si fa preferire per la velocità del braccio e il servizio, il secondo per le letture a muro), anche se nessuno dei due in questo momento è in grado di riempire il cratere aperto da Russo (nella speranza, per ora remota, che recuperi per la finale).

Tornando al quarto di finale, se da un lato fa notizia che l’Olanda abbia strappato due set, dall’altra va sottolineata la prestazione di alto livello della Nazionale, che è sembrata uscire rafforzata da una sfida così tirata, come se si fosse “allenata” a soffrire in vista della final four al PalaEur di Roma. L’Europeo si è disputato in 4 Paesi (Israele, Bulgaria e Macedonia del Nord), ma gli azzurri sono sempre rimasti in Italia, partendo da Bologna e passando per Perugia, Ancona e Bari, prima di arrivare nella capitale.

La prima semifinale

Inizialmente la sede prescelta era Bologna, eppure a inizio anno la CEV ha virato su Roma. Come nei principali eventi di questo sport (Coppa Italia, Champions League e Nations League tra gli altri), semifinali e finali vanno in scena nello stesso palazzetto e nel giro di un paio di giorni. Apre la giornata la semifinale tra Polonia e Slovenia, il remake della sfida di due anni fa, quando gli sloveni si sono imposti in 4 set ribaltando i pronostici. Scendo dalla metro B e vengo “guidato” nel chilometro che mi separa dal palazzetto dal flusso di un gruppo di tifosi sloveni, riconoscibili per il loro outfit curato, con le maglie ufficiali di diversi giocatori che stanno facendo le fortune di questo ciclo, come Kozarmenik e Urnaut, entrambi con un’esperienza non insignificante in Italia.

È un momento d’oro per lo sport sloveno, a cui il volley sta contribuendo con tre finali europee – tutte perse – tra il 2015 e il 2021 e la semifinale mondiale dello scorso anno contro l’Italia. Sugli spalti, però, in realtà i tifosi sloveni sono molti meno di quanto credessi fuori dall’impianto, ma si dispongono sulla barriera del secondo anello sotto di me e seguono in maniera molto colorita la sfida. I polacchi complessivamente sono di più, anche loro indossano la divisa della loro Nazionale o la bandiera biancorossa a mo’ di mantello. La loro presenza, però, per paradosso è più silenziosa. Accompagnano gli attacchi della loro squadra gridando ad ogni tocco della loro squadra, eppure si animano davvero solo nel quarto set, quando capiscono che la finale si sta avvicinando.

Il pubblico italiano inizia a riempire il palazzetto indicativamente un’ora dopo l’inizio di questa semifinale, e sembra preferire la Slovenia, che parte meglio e vince il primo set. Del resto è inevitabile che nell’immaginario comune i due Mondiali vinti dalla selezione di Nikola Grbic nel 2014 e il 2018, a cui si aggiunge la finale iridata di un anno fa persa proprio contro gli azzurri, rendano la formazione biancorossa l’altra grande favorita per il titolo continentale. Anche perché la Polonia ha un roster incredibilmente profondo al centro – dove Huber, 10 punti spaccati di media, sta giocando su standard altissimi, rimpiazzando nel migliore dei modi l’infortunato Bieniek, uno dei migliori centrali in circolazione – e su palla alta, con 4 schiacciatori di altissimo livello quasi intercambiabili. O meglio, Grbic ha ruotato il secondo schiacciatore, vale a dire la banda in diagonale con Sliwka, la pietra angolare del sestetto per rendimento in prima e seconda linea. Dopo aver provato Fornal e Semeniuk, la scelta dovrebbe essere ricaduta su Wilfredo Leon, il cubano naturalizzato polacco 4 anni fa. Un giocatore con pregi e difetti molto marcati, che può togliere qualcosa nei fondamentali di seconda linea, ma che al servizio e in attacco può spostare molto.

In particolare lo schiacciatore di Perugia è in grado di assorbire una mole considerevole di palloni (ieri ne ha attaccati 43 sui 112 alzati da Janusz, quasi il 40%!) evitando che la distribuzione si sbilanci troppo su Sliwka, specie in una gara in cui è calato alla distanza e in cui un opposto come Kaczmarek – che ha vinto il ballottaggio con un Kurek fuori causa in queste finali per un problema muscolare – è apparso appesantito nella meccanica della rincorsa, al netto di uno score molto positivo (11 punti su 22 attacchi).

La Polonia viene fuori dopo aver perso il primo parziale ed essere andata sotto 2-6 nel secondo, ma porta l’inerzia dalla sua con gli attacchi (da posto 4 e dai 9 metri) di Leon, 25 punti totali, e staccando progressivamente la ricezione della Slovenia. Il sestetto di coach Cretu, che gioca con 3 schiacciatori pur di non privarsi dei suoi uomini migliori (Urnaut S1, Cebulj S2 e Mozic reinventato opposto), si fa sempre meno regolare in cambio palla (i tre laterali tutti sotto al 42% in attacco), anche a causa dell’infortunio alla caviglia del palleggiatore Ropret, sostituito da un Planinsic che abbassa ulteriormente la qualità della distribuzione. Non sembra la migliore versione della Polonia, reduce da due gare più sofferte del previsto nella fase a eliminazione diretta con Belgio e Serbia (doppio 3-1), eppure la squadra biancorossa riesce a ritrovarsi un parziale dopo l’altro, anche nelle ricostruzioni e nella gestione degli scambi lunghi.

La seconda semifinale

Tra una semifinale e l'altra ha luogo l’esodo verso i vari punti ristoro disposti a margine del secondo anello. Ma a parte le postazioni dei bar non erano presenti altri stand all’interno dell’impianto. L’unica traccia della federazione italiana fuori dal campo sta tutta nel box riservato alla Fipav nel primo anello. Per il resto nessun attività promozionale e nessuna vendita del merchandising ufficiale. Magari è stato un caso, ma mi è parso strano che per un evento così importante non abbia visto nemmeno una pubblicità, per le metro o per strada, soprattutto considerando che l'evento non si svolge in un’area centrale o comunque “di passaggio” di Roma. Il PalaEur si trova nella parte sud della città, a un chilometro da una delle ultime fermate della metro B. Tutto questo forse ha inciso anche sul pubblico ieri, dato che alla fine ieri sera erano presenti 9.600 spettatori sugli 11.000 posti di capienza, la stragrande maggioranza ovviamente di fede italiana (ho contato giusto tre bandiere francesi, probabilmente la tifoseria meno presente).

Prima della gara lo speaker fa le prove generali coi tifosi riepilogando “la coreografia” con cui celebrare gli attacchi vincenti, gli ace e i muri, sottolineati dai jingle dedicati che la Fivb, la federazione mondiale, ha lanciato quasi 10 anni fa. In occasione dei muri i tifosi vengono invitati a sollevare e agitare in avanti i cartoncini tricolore presenti su ogni seggiolino del palazzetto.

Il jingle che sottolinea un muro vincente, il cosiddetto “il monster block”.

Per l’Italia di De Giorgi si tratta della seconda competizione casalinga nel corso di questo nuovo ciclo, dopo le final 4 di VNL disputate a Bologna un anno fa. A posteriori Anzani ha ammesso che la squadra non aveva saputo gestire l’emozione nel giocare davanti al proprio pubblico, chiudendo al quarto posto la competizione, come del resto quest’anno. In questo Europeo però la Nazionale sembra molto più a suo agio, pare anzi quasi nutrirsi della passione del pubblico e alimentare a sua volta il tifo, un punto dopo l’altro. Lo si è visto già a partire dalla presentazione del sestetto italiano, preceduta dall’ormai consueto “girotondo ballato” a cui partecipa tutto il gruppo (a parte Russo, che non riesce a correre e saltare, e non ha preso parte neanche al riscaldamento). Al suo posto c’è Leandro Mosca, il centrale che ha chiuso in crescendo il quarto di finale.

La presentazione dell’Italia (video dell’autore).

La Francia invece non è nel suo miglior momento, soprattutto nel trio di palla alta: il leader tecnico ed emotivo Earvin Ngapeth, una bandiera di Modena, in estate si è operato al ginocchio e il suo allenatore Andrea Giani, una delle colonne portanti della generazione di fenomeni, lo sta facendo entrare quasi esclusivamente per il servizio. Senza il suo uomo di maggior creatività la selezione transalpina, che pure è campionessa olimpica in carica, ne risente in ogni fondamentale. Ciò nonostante l’EDF parte bene in cambio palla: l’Italia inizia servendo su Yenia Grebennikov, uno dei migliori liberi al mondo, che non ha difficoltà a mettere palla in testa a Brizard. L’ex libero di Trento e Civitanova difende anche un primo tempo di Galassi nei quattro metri sul 4-4 e a ogni punto esulta schizzando verso Giani. A Bari, l’Olanda era stata sommersa di fischi prima di ogni servizio, una atteggiamento aggressivo che nella pallavolo è insolito, e forse per questo a Roma lo speaker ha cercato di prevenire, invitando il pubblico a tifare solo l'Italia.

L’Italia accetta il punto a punto, anche perché Giannelli gode di una buona ricezione in questa fase, anche se preferisce appoggiarsi soprattutto a Romanò e Lavia, andando dai centrali solo per giocare dei primi tempi vicino alla rete. Sul 17-17 entra Ngapeth al posto di Le Goff al servizio e prova a dare la spallata decisiva, con un ace “e mezzo”, che la Francia non concretizza perché Tillie viene sorpreso dalla palletta spinta da parte di Lavia. Ngapeth compie un gesto di stizza, forse perché consapevole che quello era il momento per provare a scappare. Invece il break lo ottiene l’Italvolley, sempre dalla battuta, con la striscia dai 9 metri di Sbertoli (un lusso come secondo palleggiatore), entrato al posto di Mosca (18-18, 22-18).

Da notare la gestione del doppio palleggiatore, con Giannelli in posto 6 in difesa (occupato solitamente dallo schiacciatore), Michieletto in 5 e Sbertoli in 1, che ha la competenza del secondo tocco. Notevole anche la lucidità di Romanò nello scendere da rete e provare a tenere la diagonale nei 4 metri di Patry).

Giani chiuderà il parziale inserendo tutte le bande a sua disposizione, Ngapeth, Tillie e Clevenot (che le scorse stagioni aveva trovato più spazio), ma l’Italia conserva un margine che sarà in grado di alimentare anche all’inizio del parziale successivo. Il primo punto del secondo parziale restituisce lo stato dell’arte delle due squadre: sempre Romanò, non propriamente un difensore, recupera un pallonetto di Louati con il cosiddetto “pancake”, la difesa con il palmo della mano a terra, poi Giannelli attacca con un pallonetto dietro al muro (senza neanche troppe pretese) che Le Goff lascia sfilare, ma né Brizard né Clevenot forniscono la necessaria copertura. Sono i classici palloni che non dovrebbero cadere, che mandano in estasi per l’ennesima volta i quasi diecimila del PalaEur. Un pubblico eterogeneo, di ogni sesso ed età, composto da una parte di occasionali e una più ben più consistente di appassionati. Non so se sto invecchiando io, ma mi sembra ci siano molti giovanissimi.

L’idea delle federazioni internazionali è di riempire ogni vuoto tra uno scambio e l’altro coinvolgendo il pubblico, fino a portare l’evento sportivo a una dimensione più vicina all’entertainment che al tifo. Se una decina di anni fa gli altoparlanti dei palasport pompavano la musica (prevalentemente elettronica) solo durante i time out, ora viene sparata dopo ogni punto: non solo brani dance, anche tanti pezzi radiofonici o canzoni nazionalpopolari, che vengono stoppate e riavviate per fare in modo che siano gli spettatori a cantare nelle pause. A volte sembra di stare più in un villaggio turistico che a una partita di pallavolo, con tanto di giochi di luce con le torce dei telefonini e lo pseudo rilevatore di decibel delle urla dei tifosi. Non mancano ammiccamenti agli sport americani, come la dance cam che invita gli spettatori inquadrati a ballare o il lancio di magliette sugli spalti con un cannone ad aria compressa. La pallavolo sta facendo di tutto per piacere a un pubblico sempre più generalista.

Certo, c'è davvero un gran casino, eppure ieri lo spettacolo offerto dalla Nazionale è riuscito miracolosamente a far passare in secondo piano tutto questo. Un’Italia commovente, che mostra in ogni aspetto del suo gioco la propria coesione. Tutti quanti hanno alzato il livello del proprio gioco, a partire dall’attenzione nelle coperture e nelle competenze in ricezione, dove Balaso si è impegnato a tenere la zona di conflitto col compagno al suo fianco, ricevendo addirittura 16 palloni col 38%++, mentre i centrali si prendono la responsabilità di ricevere le battute corte. Anche col muro a uno (Brizard ha giocato un buon match) la selezione di De Giorgi si è resa insidiosa col muro difesa: la densità di uomini sulla palla dimostra la bontà delle letture della seconda linea e più in generale la capacità di improvvisare in tutte quelle situazioni non codificate.

Il merito in primo luogo è del suo capitano, il regista Simone Giannelli. L’MVP della finale europea e mondiale, un’istituzione nell’inventare nuove soluzioni offensive, compresi gli attacchi di seconda, che in realtà non si vedevano da un po’. Il palleggiatore di Perugia ha giocato l’ennesima gara superlativa della sua carriera in azzurro e grazie alla sua leadership ha saputo condurre la squadra anche nei momenti più delicati, come il finale del terzo set, nascondendo una distribuzione che in realtà è relativamente prevedibile, considerato che gli attaccanti di palla alta sono un’opzione molto più redditizia dei centrali e anche con rice perfetta si fida di più della pipe (l’unica variazione sul tema è aver alleggerito un po’ Michieletto, solo 13 palloni, per cavalcare la confidenza di Romanò con la partita).

Lo stesso Romanò è stato solido e a volte decisivo, come forse solo nella finale europea di due anni fa. Ogni suo attacco si è rivelato una sentenza, specie in fase break o negli scambi prolungati. Con un’alzata veloce come quella di ieri sera può fare la differenza, come dimostra il 50% di efficienza su 24 palloni e i 15 punti complessivi. Per non parlare dell’applicazione quasi inedita in difesa.

L’Italia ha preso velocemente il largo anche nel secondo (13-7) e ha saputo resistere al ritorno del sestetto di Giani, che si è affidato a Ngapeth nonostante le condizioni approssimative (chiuderà con 5/16 in attacco e due murate) e al braccio rapido quanto volubile di Boyer in posto 1-2 per un Patry poco incisivo nell’uscire dal muro. La Francia proverà a chiudere il buco piazzando in totale 6 ace, di cui 3 su Lavia, ma è come se percorresse una salita che ogni volta la fa ricadere all'indietro, vanificando gli sforzi precedenti. Il linguaggio del corpo remissivo anche di due difensori eccezionali come Grebennikov e Ngapeth la dice lunga sul rendimento assurdo dell’avversario, che non vuole lasciare cadere neanche una palla.

Il terzo set sembra poco più di una formalità: a due terzi del parziale l’Italia conduce 18-11, mentre al PalaEur riecheggiano i “popopopo” d’annata: Galassi ha ritrovato il servizio di Euro 2021 e infila una striscia di 3 battute, Giannelli ha murato un Ngapeth ormai in riserva (11-6), che si farà difendere da Lavia anche una schiacciata con muro a 0. Lo schiacciatore di Trento esce dalla posizione e si rimette in piedi quasi “scherzando” monsieur magique, prima del contrattacco risolutivo di Michieletto.

La camminata di Lavia quasi da gita balneare.

Invece gli azzurri si inceppano sulla P1, tradizionalmente la rotazione più insidiosa, quella in cui S1 e opposto si scambiano di posizione. Oltretutto in questa rotazione Mosca è in prima linea e Giannelli prova a servirlo, sebbene sia il meno preposto in attacco (0/2 in questo frangente). Ed è il motivo per cui De Giorgi lo cambia con Sanguinetti (18-21), che a sua volta “liscia” il primo tempo che potrebbe valere un incredibile parità. Invece Michieletto trova la diagonale stretta non contenuta dal bagher di Ngapeth su cui soffia tutto il PalaEur per mandarla fuori. Il “muchacho”, come lo chiama Stefano Locatelli di Sky Sport, firma pure l’ace del 23-20, che precede un’altra battuta decisiva, quella out di Ngapeth, che scatena le proteste prolungate di Giani. Il commissario tecnico ha spiegato nel dopo gara di essersi lamentato con l’arbitro per non aver fatto ricorso al challenge in una situazione oggettivamente dubbia (Giani li aveva già terminati).

Il 3-0 finale certifica il momento storico di queste due formazioni. L’Italia oggi è semplicemente più forte, anche senza due centrali come Anzani e Russo. Il fatto che questa Nazionale abbia raggiunto la terza finale in tre anni non è più una sorpresa, anzi lo si potrebbe considerare quasi il raggiungimento dell’obiettivo minimo. Il che la dice lunga sulla forza e sulle aspettative che ha generato questo gruppo in appena un biennio. Domani sera scopriremo se una squadra così in fiducia e leggera saprà piegare anche l’avversario più duro, lo stesso che i ragazzi di Fefè De Giorgi un anno fa hanno saputo superare in casa loro.

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