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Damiano Primativo
Troppo forti
04 dic 2023
04 dic 2023
L'Inter si è dimostrata collettivamente e individualmente superiore al Napoli.
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Damiano Primativo
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IMAGO / AFLOSPORT
(foto) IMAGO / AFLOSPORT
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Alla fine di Napoli-Inter, Walter Mazzarri non ha parlato con la stampa, ma se lo avesse fatto molto probabilmente le sue dichiarazioni sarebbero state simili a quelle rilasciate pochi giorni fa dopo la partita con il Real Madrid. In quell’occasione l'allenatore toscano aveva elogiato la sua squadra per aver fatto una buona gara, e poi aveva ammesso di aver perso per la capacità del Real Madrid di svoltare i singoli momenti della partita grazie al talento eccezionale dei singoli. Contro l’Inter è andata allo stesso modo: il Napoli ha giocato bene, ha eseguito il suo piano tattico con qualità, ha provato a far breccia tra le maglie nerazzurre con la pazienza del suo possesso e la fluidità delle sue rotazioni, ma si è scontrato con la realtà di un avversario troppo cinico, che ha vinto nonostante un piano gara più minimale, e che ha ricavato tanto dal poco grazie all’estro dei suoi interpreti.

La storia recente ci insegna quanto nel calcio contemporaneo sia importante la gestione dei momenti delle partite. Alcune delle squadre più vincenti degli ultimi anni – la Juventus di Allegri, il Real Madrid di Zidane e Ancelotti, la Francia di Deschamps, l’Argentina – hanno costruito la loro identità su un approccio minimalista al calcio, secondo una visione che considera infruttuoso provare a controllare tutti i 90 minuti di gioco: meglio concentrare le energie per quei pochi momenti davvero importanti in cui si decidono le partite, e piegarli a proprio vantaggio. Ci siamo abituati a vedere questo calcio "quantistico" soprattutto negli scontri diretti, in quegli incontri cioè tra squadre che più o meno si equivalgono. Intendo un calcio che ci costringe a mettere in discussione il concetto stesso di durata di una partita; a realizzare che quello delle partite è un tempo relativo, dove solo pochi minuti riempiti di eventi pesano più di tutto il resto del tempo che, di fatto, può essere considerato un riempitivo.

Abbiamo parlato di Napoli-Inter anche in Che Partita Hai Visto, il podcast dedicato ai nostri abbonati in cui commentiamo a caldo le partite più importanti della settimana. Se non lo avete ancora fatto, potete abbonarvi cliccando qui.

Napoli-Inter è stato questo tipo di partita. La squadra di Mazzarri ha provato a dominare tutti i 90 minuti, costruendo le sue azioni un mattoncino alla volta, mentre l’Inter si è accontentata di contenere i rischi per poi colpire in pochi momenti isolati. Di esistere cioè a intermittenza, solo negli intervalli di tempo realmente decisivi.

Insomma Napoli-Inter in un certo senso è stato uno dei conflitti calcistici più archetipici – una squadra propositiva e sfortunata contro una pragmatica e cinica – anche se questa rappresentazione rischia di essere troppo forzata. Sia il Napoli sia l’Inter sono infatti squadre propositive e vivaci, che arrivavano alla partita come due delle migliori squadre del campionato per produzione offensiva, per solidità difensiva e per capacità di imporre il proprio gioco sull’avversario con il possesso palla e il pressing. Se nel corso della partita le due squadre hanno finito per aderire a due filosofie di gioco opposte, è stato per pura contingenza, e per la capacità camaleontica dell’Inter di interpretare bene molti registri di gioco.

Coerentemente con le caratteristiche delle due squadre, Napoli-Inter è stata una partita di qualità e dai ritmi alti, soprattutto nel primo tempo, quando il Napoli ha messo in campo il meglio della sua intensità con e senza il pallone. La squadra di Mazzarri ha creato la prima azione degna di nota della partita: il gran tiro da fuori area di Elmas al secondo minuto, destinato a insaccarsi sul secondo palo se non fosse stato per la parata spettacolare di Sommer. Un tiro preceduto da 60 secondi consecutivi di possesso palla in cui i padroni di casa hanno mosso il pallone più volte da un lato all’altro del campo, disordinando la struttura posizionale dell’Inter e creando lo spazio per la ricezione tra le linee di Kvaratskhelia che poi avrebbe servito Elmas. Sembrava il preludio a una grande serata del Napoli e invece è stato il monito di come avrebbe perso la partita: tirando quasi solo da lontano, con l’Inter più brava a vincere i duelli individuali grazie alle grandi prestazioni dei singoli – in questo caso Sommer.

Per tutto il primo tempo il Napoli ha messo in mostra quello che già aveva fatto vedere contro il Real Madrid, ovvero una volontà di costruire le azioni facendo circolare fluidamente il pallone e insistendo sulle combinazioni dei giocatori di fascia. La fluidità si è vista da come Kvaratskhelia e Politano si trovavano spesso sulla stessa fascia per dialogare; dalle rotazioni tra Elmas e Kvara a sinistra e tra Di Lorenzo, Anguissa e Politano a destra; dai movimenti incessanti in orizzontale di Elmas e Lobotka, che si spostavano da una fascia all’altra per creare sovraccarichi e moltiplicare le linee di passaggio. Un esempio di questa volontà del Napoli di costruire con pazienza gli attacchi è nell’azione intorno al 22’. Il Napoli ha provato a sfondare a più riprese a destra ruotando continuamente gli uomini della catena di fascia, e recuperato più volte il pallone subito dopo averlo perso.

Alcuni esempi di rotazioni delle posizioni della catena di fascia destra nella stessa azione del Napoli. Nella prima immagine è Elmas a tagliare da sinistra verso il mezzospazio destro per fare da vertice superiore del rombo della catena; nella seconda immagine Politano ha attaccato la profondità all’interno mentre Di Lorenzo ha preso l’ampiezza, e nell’ultima è Anguissa a fare da vertice superiore mentre Politano e Di Lorenzo gestiscono il possesso vicino alla linea laterale.

La qualità del possesso palla del Napoli, tuttavia, non si è trasformata in grossi pericoli per la porta di Sommer. D’altra parte il conto finale degli Expected Goals (2.82 a 1 a favore dell’Inter) indica che la produzione offensiva del Napoli è stata tutto sommato sterile e il risultato sostanzialmente giusto. Merito soprattutto dell’ottima difesa dell’Inter, che seppure abbia dato l’impressione di soffrire in alcuni momenti, in realtà ha sbagliato molto poco. Di più: è riuscita quasi sempre a controllare il canovaccio tattico della partita, a manipolare le scelte dei giocatori del Napoli, e questo nonostante i nerazzurri abbiano trascorso la maggior parte della partita senza il pallone (57%-43% la media finale per quanto riguarda il possesso palla).

La qualità della fase difensiva dell'Inter è rivelata innanzitutto dal fatto che il Napoli ha dovuto tirare moltissimo da lontano: 5 tiri su 15 sono stati scoccati da fuori area, ma va detto anche che dei restanti 10 tiri nessuno è stato calciato da dentro l’area piccola, e 4 sono stati schermati dai giocatori dell’Inter prima ancora che arrivassero dalle parti di Sommer. L’Inter, insomma, ha reso inespugnabile la propria area come se questa fosse protetta da un guscio di tartaruga, e lo dimostra il fatto che il Napoli ha toccato il pallone in area solo 19 volte: in nessuna partita di questo campionato ha fatto peggio (dato Fbref).

L’Inter non ha difeso per tutto il tempo nella propria area, anzi ha alternato momenti di pressione più alta ad altri di pressione più rilassata, e tutte le volte che il Napoli costruiva da dietro con Meret alzava un pressing uomo su uomo sull’avversario. Un’altra grande conquista della fase difensiva dell’Inter è stata quella di aver costretto le due ali del Napoli, Kvaratskhelia e Politano, a ricevere quasi sempre spalle alla porta. Quando il Napoli impostava dal basso, Dimarco saliva altissimo a pressare Di Lorenzo (dall'altra parte invece era Barella a prendere in consegna Natan, ieri sera nell'inusuale ruolo di terzino sinistro), e i braccetti della difesa avanzavano per controllare le ali del Napoli. Con le vie centrali sbarrate dal posizionamento in linea di Lautaro e Thuram, il giropalla del Napoli si muoveva verso le fasce, e quando i difensori cercavano di servire con un passaggio lungolinea Kvaratskhelia o Politano, scattava la tagliola del pressing: Darmian e Acerbi (poi Carlos Augusto quando Acerbi si è spostato al centro) uscivano dalla linea per saltare addosso al proprio avversario. Siamo abituati a vedere i braccetti dell’Inter interpretare la gara in modo sempre proattivo, sia col pallone che senza, e ieri questoè stato decisivo per impedire a Kvara e Politano di girarsi verso la porta. Per togliere aria, quindi, a quelle che dovrebbero essere le due principali fonti di gioco offensivo del Napoli.

Il Napoli sta costruendo dal basso sulla fascia destra. Su Di Lorenzo si è alzato Dimarco. Il terzino del Napoli cerca lungo linea Politano, che però è costretto a provare una palla lunga di prima perché Carlos Augusto, il braccetto della difesa a tre, è uscito ben oltre la linea di centrocampo per impedirgli di girarsi e puntare la porta.

Non era scontato che la difesa dell’Inter tenesse così bene, considerando lo stato di emergenza in cui si trovava, con le assenze di Bastoni e Pavard, e l’infortunio che ha costretto De Vrij a lasciare il campo dopo soli 17 minuti. Il suo sostituto, Carlos Augusto, si è sistemato come braccetto di sinistra, e ha giocato quindi l’intera partita in una posizione teoricamente non sua (anche se aveva già giocato in quel ruolo in un paio di partite, a Monza).

Se per il Napoli i tiri da lontano sono stati un segno di inefficacia offensiva, è particolarmente crudele che il gol di Calhanoglu che ha sbloccato la partita, al 43esimo minuto, sia arrivato proprio con un gran tiro da lontano. Crudele, ma significativo di quanto l’Inter sia riuscita dove il Napoli ha fallito: ottenere il massimo dal minimo grazie al talento dei singoli. Il gol è arrivato proprio pochi minuti dopo la traversa presa da Politano sempre con un tiro da fuori. Una circostanza magari casuale, ma che racconta bene quanto la partita sia stata decisa da piccoli episodi, e quanto questi episodi abbiano sorriso sempre all’Inter.

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Il gol dello 0-1 di Calhanoglu è nato da una serie di grandi giocate individuali dei giocatori nerazzurri. Il lancio di Barella per Thuram, la capacità di Thuram di puntare Ostigard e resistere al ritorno di Lobotka, il solito grande cross di Dimarco. Tutte queste giocate, però, non sarebbero state possibili senza il duello vinto da Lautaro contro Lobotka sulla linea di metà campo. Un contrasto vinto con la solita tigna che contraddistingue l’argentino senza il pallone. È stata questa la prima grande giocata individuale da cui sono scaturite a cascata tutte le altre, fino al gol di Calhanoglu. Lautaro Martinez che poi nel secondo tempo avrebbe creato i presupposti anche per il secondo gol, al 61’, ancora una volta con un grande recupero palla in una zona avanzata di campo. È lui a sradicare in scivolata il pallone dai piedi di Politano, e poi a servire l’assist per il gran gol di Barella, che raccoglie il passaggio del compagno ed elude Lobotka e Natan con un grandioso slalom nel cuore dell’area. Un’altra giocata individuale eccezionale.

In sostanza l’Inter ha svoltato la partita mettendo insieme una grande giocata individuale dopo l’altra. Ha vinto grazie alla capacità dei suoi singoli di piegare a proprio vantaggio gli eventi decisivi della partita. È un lato che l’Inter ha sviluppato fin dall’anno scorso, quando ha smesso di essere la squadra solo del possesso palla lussurioso e delle rotazioni raffinate che era stata nel primo anno di Inzaghi, per diventare una squadra camaleontica. Una squadra di sistema e di individui al tempo stesso, capace di vincere le partite pianificando con pazienza i propri attacchi, con l’applicazione di tutti i singoli, o di svoltarle grazie a un’intuizione estemporanea di Lautaro o di Barella. Sembra che i giocatori di Inzaghi abbiano talmente interiorizzato i suoi principi di gioco da applicarli adesso in maniera naturale alle situazioni ogni volta diverse che sorgono all'interno di una partita. Un'evidenza che dovrebbe farci mettere in discussione una divisione netta tra tecnica e tattica.

Dopo lo 0-2 la partita è praticamente finita. In parte anche a causa del crollo atletico del Napoli, che veniva da due trasferte molto dispendiose contro Atalanta e Real Madrid. L’Inter, che in settimana contro il Benfica aveva fatto un profondo turnover, era evidentemente in forma migliore e si è accontentata di gestire gli ultimi venti minuti senza strafare. All’84’ è arrivato anche il terzo gol: Thuram ha tagliato alle spalle di Ostigard nel cuore dell’area ed è arrivato per primo sul cross teso di Cuadrado, a pochi metri da Meret. Il fatto di aver segnato il terzo gol con il quarto tiro in porta è il manifesto della fredda efficacia dell’Inter ieri sera.

Se il secondo tempo ha avuto una qualche utilità, è stata quella di rendere evidente che tra le grandiose prestazioni individuali dell’Inter forse la più brillante è stata quella di Yann Sommer. Le poche volte che il Napoli ha superato la resistenza della difesa dell’Inter, ci ha pensato il portiere svizzero a sbarrare la porta con le sue parate. Quella al 2’ già raccontata sul tiro di Elmas, ma anche quella al 57’ sul sinistro incrociato di Kvaratskhelia verso il secondo palo. Poi la parata più eccezionale di tutte: quella all’80’ sul colpo di testa di Osimhen a due metri dalla linea di porta. Osimhen era in fuorigioco, l’eventuale gol sarebbe stato annullato e la parata di Sommer non esiste nelle statistiche, ma la reattività con cui il portiere ha allungato la mano di richiamo e chiuso la porta al nigeriano racconta di quanto la capacità dei giocatori dell’Inter di vincere i duelli individuali sia estesa fino al portiere.

Dopo che la scorsa stagione Onana si era rivelato uno dei migliori giocatori dell’Inter, non ci si aspettava che l’arrivo di Sommer potesse assorbire così in fretta la cessione del portiere camerunese. Sommer invece si è inserito subito nei meccanismi di costruzione dell’Inter, con una qualità nel gioco coi piedi da portiere d’élite, e con un’efficacia tra i pali molto superiore a quella di Onana. Già a ottobre, dopo la partita con il Torino, con il sesto cleen sheet in 9 partite Sommer aveva segnato un record per la Serie A. La partita con il Napoli è stata la nona senza subire gol in 14 partite: Sommer ha già collezionato un cleen sheet in più degli 8 collezionati da Onana in tutta la scorsa Serie A. Le prestazioni di Sommer sono state decisive per la solidità difensiva dell’Inter in questa stagione. Una squadra che ha subito solo 7 gol finora (migliore difesa del campionato) e non ha subito gol in 5 trasferte su 7. Un dato che comunque non è casuale e non è certo dovuto solo al talento di Sommer, visto che si riflette in quasi tutte le metriche difensive avanzate, a partire dagli Expected Goals subiti che vedono l'Inter in cima alla classifica (appena 0,60 per 90 minuti).

Il Napoli, dal canto suo, ancora una volta è uscito dal campo con un pizzico di rammarico. Con la consapevolezza di aver subito una sconfitta più larga di quanto meritava, come già successo appena quattro giorni fa contro il Real Madrid. Lo 0-3 contro l’Inter allontana i campioni in carica dalla vetta della classifica, e forse ora gli 11 punti di distacco sono abbastanza per spezzare la speranza del Napoli di difendere il tricolore. Non tanto per la quantità di punti in sé, ma per la differenza troppo grande di efficacia agonistica che ha separato il Napoli dall’Inter ieri. Soprattutto, un segnale preoccupante è stata l’arrendevolezza con cui il Napoli si è sciolto dopo aver subito il secondo gol. Qualcosa di simile a quanto era già successo proprio nella partita del Bernabeu, dove il Napoli era stato all’altezza dell’avversario fino all’84’, prima di disunirsi negli ultimi minuti.

È strano perché, tra i molti momenti di ombra di questo inizio di stagione, il Napoli sotto Rudi Garcia era stato protagonista di molte rimonte. Sembrava la prova che il Napoli, nonostante i passi indietro sul gioco, potesse comunque fare affidamento sulla propria forza mentale. Oggi con Mazzarri il Napoli sembra aver recuperato la voglia di giocare un calcio razionale e meno diretto, più vicino cioè a quello di Spalletti che a quello di Garcia, e a questo punto della stagione in effetti forse ha più senso per il Napoli recuperare la propria identità invece di preoccuparsi troppo dei risultati. Accettare che questa sia una stagione interlocutoria, insomma, in vista di un futuro più radioso. Certo, rimane il dubbio se abbia senso ricostruire un progetto con un allenatore che ha un contratto fino a giugno, e che verosimilmente non sarà ancora in panchina nella prossima stagione, ma a questo punto il Napoli non sembra avere molta altra scelta.

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