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Tre momenti per ricordare Ayrton Senna
09 lug 2025
Un estratto da "I campioni che hanno fatto la storia della Formula 1", il nuovo libro di Federico Principi edito da Giunti.
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7 min
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IMAGO / Pressefoto Baumann
(copertina) IMAGO / Pressefoto Baumann
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Pubblichiamo un estratto da "I campioni che hanno fatto la storia della Formula 1", il nuovo libro di Federico Principi edito da Giunti. Se volete acquistare il libro potete farlo cliccando qui.

I momenti più iconici da cui partire per descrivere la magia naturale e irripetibile delle capacità di guida di Ayrton Senna sono solitamente tre. Il primo: Montecarlo, domenica 3 giugno 1984. Senna ha da poco debuttato in Formula 1 sulla modesta Toleman e nelle qualifiche, sull’asciutto, ha registrato il tredicesimo tempo, un risultato che rispecchia le limitate potenzialità della vettura. In gara si scatena il diluvio e il giovane brasiliano, allora semisconosciuto, si fa largo con il suo iconico casco giallo che spicca come un fendinebbia nell’oscurità del Principato: surclassa qualsiasi pilota, facendolo sembrare di categoria inferiore, e quando si avvicina minacciosamente anche al leader Alain Prost la gara viene definitivamente interrotta, consegnando a Senna un secondo posto che ha perfino un retrogusto di amarezza.

Il secondo: sempre a Montecarlo, sabato 15 maggio 1988. Senna è ormai una certezza di questo sport, è arrivato in McLaren dopo tre stagioni alla Lotus e nelle qualifiche più importanti dell’anno – nella pista dove è più difficile fare sorpassi in gara – ottiene una pole position massacrante per tutti i suoi avversari: rifila un distacco di 1.4 secondi a Prost, secondo a parità di macchina, di 2.6 secondi a Berger terzo sulla Ferrari e di 3.2 secondi ad Alboreto, quarto sull’altra Rossa. Il fisioterapista McLaren dell’epoca, l’austriaco Josef Leberer, ha dichiarato recentemente che dopo quelle qualifiche Prost «aveva la faccia di un fantasma. Non riusciva a capire come o da dove fosse venuto fuori quel giro di Senna».

Il terzo: stavolta a Donington Park, Gran Premio d’Europa 1993, domenica 11 aprile. Di nuovo sul bagnato, Senna stavolta parte in quarta posizione, ne perde perfino una allo scatto al via ma poi completa la rimonta perfetta: sorpassa nell’ordine Michael Schumacher, Karl Wendlinger e poi le due Williams, prima Damon Hill e poi Alain Prost al tornantino. Chiude già in testa il primo giro, quello che per antonomasia è ricordato come il miglior giro di sempre di un pilota di Formula 1, e da lì in avanti fa il vuoto, doppiando tutti escluso Hill – quindi sì, anche Prost.

La mitologia sportiva di Ayrton Senna, personaggio che già in vita aveva assunto un’aura mistica, come se fosse guidato da un’entità ultraterrena, si fonda innanzitutto proprio su questi due pilastri, quello dei tempi record nel giro da qualifica e quello della guida sul bagnato. Si tratta però solamente dei due solidi punti di partenza attraverso i quali Senna è riuscito a costruire la sua influenza, uscita ben presto dai confini delle piste di Formula 1: la sua figura, legata non solo all’immenso talento ma anche al carisma e all’intelligenza, ha assunto uno status decisamente più alto e più ampio di quello sportivo.

La sorella Viviane ha provato a tracciare quella che globalmente viene definita legacy, l’eredità morale e culturale di Senna, analizzandone soprattutto il tratto nazionalistico: «Ayrton mostrò un lato positivo del Brasile che prima era nascosto», sostiene Viviane. «Svelò al mondo la faccia luminosa del nostro Paese. (...) Ayrton dimostrò che noi brasiliani potevamo avere una consistenza mentale in grado di superare qualsiasi genere di ostacolo: [il suo fu] un successo di radice squisitamente individuale, quindi d’impronta ben diversa da quella tradizionale del nostro calcio bailado».

Altri personaggi e addetti ai lavori del mondo della Formula 1 hanno delineato più a fondo la figura spesso misteriosa di un personaggio gigantesco. Il suo modo di interloquire, ad esempio, è ben descritto dal giornalista Pino Allievi: «Ayrton era intelligente, ci potevi anche litigare, ma era bello e stimolante avere un rapporto con lui. Ascoltava la domanda concentratissimo, ci pensava un attimo e la risposta che dava non era mai banale». Il fotografo Angelo Orsi, suo amico stretto, aggiunge che «se una domanda era complessa, Ayrton rispondeva: “Un momento, questa alla fine”. Arrivava al termine della conferenza, tutti se ne stavano per andare, ma lui li fermava, dava la risposta mancante e di solito era la battuta del giorno».

Un uomo così capace di combinare talento, intelligenza e concretezza non poteva che diventare una leggenda dello sport. Nel suo primo anno alla Toleman, dopo Montecarlo, salì sul podio anche a Silverstone e all’Estoril. Proprio il tracciato portoghese fu teatro della sua prima vittoria in Formula 1, nel 1985, ovviamente sul bagnato. In tre stagioni alla Lotus, dal 1985 al 1987, Senna ottenne sedici pole position e sei vittorie su una vettura sempre inferiore a McLaren e Williams. I tempi erano maturi per la sua consacrazione nel 1988, quando fu messo sotto contratto proprio dalla McLaren a fianco di Alain Prost: i tre titoli mondiali conquistati nel 1988, nel 1990 e nel 1991, oltre a quello perso tra le polemiche nel 1989, sono perfino riduttivi nel delineare la reale forza espressa in pista da uno dei più grandi talenti di sempre in ogni sport, coetaneo di Diego Armando Maradona e per certi versi una sorta di sua reincarnazione automobilistica.

Il suo stile di guida era assolutamente unico, in tutte le fasi della curva: all’inizio dell’accelerazione dava continui colpetti parziali al gas, una manovra che stressa la macchina ed è sconsigliata ma che, evidentemente, lo aiutava a cercare ancora di più il limite della vettura in trazione. In frenata invece – come ha raccontato Emanuele Pirro, collaudatore McLaren in quegli anni – Senna riusciva a effettuarele scalate delle marce con una precisione assoluta, facendo scendere il motore rigorosamente fra i 13 600 e i 13 900 giri, e in una cadenza temporale molto ristretta, praticamente tre centesimi di secondo. Le sue stratosferiche abilità caratterizzarono tutta la sua carriera, a partire dalla prima stagione in Toleman fino all’ultima in Williams, dove fece tre pole position in tutte e tre le qualifiche disputate, con una vettura ancora non bilanciata e in fase embrionale di sviluppo.

In Senna convivevano due anime all’apparenza in contrasto tra loro, ma che non hanno mai trovato una coesistenza così armonica come nel suo caso: accanto a una persona sensibile, riflessiva e generosa si stagliava una figura dall’ambizione sportiva smisurata, caratterizzata dalla volontà di sbranare qualsiasi avversario andando anche contro le regole, sia quelle scritte che quelle implicite, da gentlemen agreement. Quando nel 1989, nella gara decisiva di Suzuka, Prost cercò e trovò il contatto per eliminare entrambi, Senna decise l’anno successivo di fare la stessa cosa allo stesso avversario e sulla stessa pista, stavolta direttamente al momento della partenza. «All’inizio della carriera è obbligatorio essere un duro, poi con il passare degli anni e il consolidamento della propria posizione, la vera natura di un atleta viene fuori», commenta Pirro. «Credo fermamente che Senna fosse una persona di enorme spessore umano, con un grande cuore e grandi sentimenti e che, una volta smesso di correre, avrebbe “liberato” questo suo vero essere».

Il destino non gli diede tempo di mostrare completamente se stesso, di non dover più nascondere alcuni dei propri lati più umani in nome della massima competitività in pista. A Imola, il 1 maggio 1994, Senna partì per la tangente all’uscita del curvone del Tamburello e lasciò lì, per sempre, i suoi sogni e quelli di milioni di appassionati. Le indagini giudiziarie accertarono che l’incidente fu originato da un’errata saldatura del piantone dello sterzo, eseguita nella notte tra il sabato e la domenica, che ne causò la rottura. Qualche settimana prima Senna aveva fatto un sopralluogo sul tracciato e aveva rilasciato delle dichiarazioni nelle quali sottolineava la sconnessione dell’asfalto proprio alla curva del Tamburello: impossibile non pensare a una diretta correlazione causa-effetto tra i due elementi.

Il 17 luglio 1994 la Nazionale brasiliana di calcio sconfisse l’Italia nella finale dei Mondiali disputati negli Stati Uniti. Al momento delle premiazioni i giocatori verdeoro srotolarono uno striscione dedicato a Senna con scritto «il quarto è nostro». Realizzarono quel sogno, il quarto Mondiale, che il Paese carioca avrebbe voluto festeggiare per la seconda volta a distanza di qualche mese, ma che per troppe circostanze sfortunate fu negato a un campione irripetibile e a un popolo così appassionato, privato per sempre all’improvviso di uno dei più grandi simboli della storia di tutto lo sport.

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