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Guida ufficiosa al Tour de France 2025
04 lug 2025
Nove domande per arrivare preparati alla partenza della Grande Boucle.
(articolo)
22 min
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IMAGO / Belga
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Ogni anno quasi duecento uomini lasciano le proprie case per tre settimane, viaggiano da ogni parte del mondo, indossano delle tutine attillate un po’ ridicole, salgono sulle rispettive biciclette e partono per un viaggio di 21 tappe con la speranza di vincere il Tour de France. Speranze molto ridotte, si direbbe, se consideriamo che quest'anno al via ci saranno sia Tadej Pogacar che Jonas Vingegaard, vincitori delle ultime cinque edizioni (lo sloveno nel 2020, 2021 e 2024; il danese nel 2022 e nel 2023).

Quest'anno si parte da Lille, nel nord est della Francia, il 5 luglio; si arriva a Parigi il 27 dello stesso mese. Nel mezzo però si gira verso la Normandia, si scende sui Pirenei, si affronta il Mont Ventoux, si risale sulle Alpi. Un Tour de France che per la prima volta dal 2020 sarà interamente in terra francese, per quanto questo dato possa avere una rilevanza relativa da un punto di vista tecnico. Quel che conta è che anche quest’anno stiamo per affrontare le tre settimane cardine della stagione ciclistica.

E allora è il momento di scoprire tutto quello che c’è da sapere per affrontare al meglio questo Tour de France.

Del Tour de France 2025, soprattutto della rivalità tra Pogacar e Vingegaard ne abbiamo parlato anche nella nuova puntata di Fuori Tempo Massimo, il podcast di ciclismo di Ultimo Uomo.

COSA PENSARE DEL PERCORSO?
A guardare il percorso 2025 del Tour de France sembra essere tornati di colpo all’inizio degli anni 2000. Un percorso interamente dentro l’esagono francese e nettamente diviso in due blocchi: prima la pianura, poi la montagna.

Approfondendo, però, ci sono delle novità. Nelle prime 10 tappe, per esempio, gli organizzatori sono andati alla ricerca di ogni possibile pendenza con risultati anche sorprendenti. Soprattutto per la morfologia del Nord della Francia da dove si partirà.

Per esempio nella tappa 2, la côte de Saint-Étienne-au-Mont e la côte d’Outreau poste in sequenza negli ultimi 10 km potrebbero scombinare i piani. Nella tappa 4 appena prima di immettersi nei cinque chilometri finali che portano a Rouen ci sarà la ripida Rampe Saint- Hillaire preceduta poco prima dalla storica Côte de Bonsecours che nel 1947 decise il Tour de France. Nella tappa 6, una tappa attraverso quella che viene definita la Svizzera Normanna, l’ultimo chilometro avrà pendenze fino al 15% così come la tappa 7 vedrà protagonista la salita che porta al villaggio di Mûr de Bretagne per ben due volte negli ultimi 20 chilometri.

Vento permettendo, ci saranno diverse tappe dedicate agli sprinter puri: la 1, la 3, la 8 e la 9 dovrebbero essere le papabili. La tappa 9 in particolare arriverà nella cittadina di Châteauroux sulla lunga e rettilinea Avenue de La Châtre che il direttore del Tour de France Christian Prudhomme spinge affinché venga chiamata Avenue Cavendish visto che qui Cavendish vinse nel 2009, 2011 e 2021.

In mezzo a tutto ciò, alla tappa 5 si terrà a Caen una cronometro di 33 chilometri. Quasi totalmente piana, sarà un esercizio dove gli specialisti dovrebbero emergere. Verosimilmente i distacchi guadagnati qui, potrebbero rivelarsi importanti fino alla tappa 10 quando si comincerà a vedere qualche salita vera. Proprio la tappa numero 10, con 7 salite di seconda categoria interamente nel Massiccio Centrale, con i suoi oltre 4400 metri di dislivello aprirà il festival della montagna che si vedrà nella seconda metà di corsa.

Non è un caso: nel 2025 si festeggiano i primi 50 anni di vita della Maglia a Pois (la maglia che premia il miglior scalatore) e per questo motivo gli organizzatori hanno voluto omaggiarla con oltre 51.000 metri di dislivello complessivo. Le prime montagne vere e proprie da affrontare sono i Pirenei in un continuo crescendo. Dopo la non scontata tappa di Tolosa che apre la seconda settimana, curiosamente di mercoledì, per non avere il giorno di riposo durante il 14 luglio, festa nazionale, il giovedì si affronteranno il Col du Soulor e il Col des Bordères prima della difficile salita verso Hautacam. Il giorno successivo ci sarà la cronoscalata di Peyragudes con gli ultimi ripidissimi chilometri e infine il sabato il classico tappone pirenaico: Tourmalet, Aspin, Peyresourde e la rinascita della salita che porta a Superbagnères, assente dal Tour de France dal 1989. La tappa sarà la copia carbone di quella che nel 1986 vide il crollo di Bernard Hinault e l’inizio dell’ascesa di Greg LeMond. Il Tourmalet e il Col d’Aspin verranno fatti dai due versanti solitamente meno attraversati e infine sarà decisiva anche la salita verso Superbagnères, rimessa a nuovo per l’occasione, con i suoi dodici chilometri di pendenze mai costanti.

Il profilo della tappa 14, sabato 19 luglio. Il Tourmalet è lontano dal traguardo ma potrebbe far accendere la gara molto presto

La tappa che chiuderà la settimana dovrebbe essere di transizione e favorevole alle ruote veloci ma sia le salite che gli ultimi 40 chilometri esposti al vento potrebbero regalarci una giornata movimentata.

La terza e ultima settimana si apre con il colossale Mont Ventoux - che non credo abbia bisogno di molte presentazioni - e prosegue il giovedì con la tappa alpina che vede Col du Glandon, Col de la Madeleine e Col de la Loze come protagonisti. Tre salite lunghe (tutte intorno ai 20 km) con tratti ripidi e in altura. Tre elementi potenzialmente esplosivi. Per la prima volta il Col de la Loze verrà affrontato dal versante di Courchevel e con i suoi 2304 metri sarà il punto più alto toccato dalla corsa.

La tappa 18 è il tappone alpino, giovedì 24 luglio.

Il giorno successivo la tappa sarà corta (130 km) ma non meno dura con due colli Hors Catégorie (Col du Pré e la salita finale verso la Plagne), e il Col de Saisies e il Cormet de Roseland a completare il tutto. Proprio la lunghezza della tappa potrebbe rendere il tutto molto nervoso ed esplosivo. La tappa di sabato nel Jura è indecifrabile e la sua “bellezza” dipenderà molto dalla classifica generale. Qualora ci fosse ancora in ballo qualche posizione di classifica importante potrebbe rivelarsi molto frizzante. Infine si torna a Parigi, sui Campi Elisi. Sarà il cinquantesimo anniversario del primo arrivo del Tour de France con vista sull’Arco di Trionfo. Chissà che l’aggiunta della salita verso Montmartre non ci regali un risultato di tappa sorprendente.

COME ARRIVA TADEJ POGACAR?
C'è poco da girarci intorno: Tadej Pogačar è il favorito numero uno di questo Tour de France. Lo è per tanti motivi e per nessuno in particolare, ma basterebbe dire che è, al momento, il più forte ciclista in circolazione. Che siano i grandi giri, le classiche, le brevi corse a tappe, non c'è percorso o sfida che lo sloveno non possa affrontare da favorito, con gli occhi del mondo puntati addosso.

È il vincitore uscente, va a caccia della doppietta che lo porterebbe a quota quattro Tour de France vinti a soli 26 anni. L'anno scorso ha portato a casa la doppietta Giro-Tour dominando in lungo e in largo la Corsa Rosa e infliggendo distacchi abissali ai suoi avversari in Francia facendo registrare numeri mai visti prima e spingendo anche i suoi avversari su dei livelli che fino a qualche anno fa avremmo considerato disumani.

La versione 2025 di Tadej Pogačar è ancora più perfetta rispetto al passato, come il Cell di Dragon Ball Z pare in grado di divorare i suoi avversari assorbendone le energie per trasformarsi ogni volta in una forma sempre più vicina alla perfezione. E oggi Pogačar sembra davvero aver raggiunto la forma definitiva: stacca i suoi avversari su ogni terreno e sembra non fare neanche fatica nel farlo. Ha lavorato in inverno sul passo, perdendo un po’ di forza nello scatto secco per avere un'azione più lunga e distribuita nel tempo. I suoi attacchi da seduto, in progressione, sono già diventati iconici: ha spianato il Muro di Huy da seduto alla Freccia Vallone ad aprile, ha dato distacchi pesantissimi al Delfinato poche settimane fa quando ha incontrato per la prima volta quest'anno gli avversari diretti che dovrà affrontare al Tour. Tutto rimanendo seduto sul sellino.

È una modalità di azione che vedremo spesso anche sulle salite del Tour, che gli consente di sprigionare energia in modo costante per un tempo più lungo. Non staccando quindi gli avversari con gli scatti secchi e micidiali a cui ci aveva abituato ma tritando le loro resistenze costringendoli a saltare per aria nel tentativo di reggere il suo passo.

Per il resto, è sempre il solito Tadej Pogačar: non ha punti deboli, se non lavorandolo ai fianchi tatticamente, approfittando delle lacune strategiche che spesso e volentieri la sua UAE ha messo in mostra (citofonare a Del Toro per conferma). Paradossalmente al Delfinato è sembrato un po’ indietro nelle cronometro, dove ha perso 49 secondi in 17,4 chilometri contro Evenepoel arrivando anche alle spalle dei due Visma, Jonas Vingegaard e Matteo Jorgenson. Al Tour i chilometri a cronometro non sono tanti ma avranno comunque un loro peso, per quanto negli ultimi anni i distacchi che questi nuovi talenti riescono a dare agli avversari in salita sembrano aver sbilanciato drasticamente gli equilibri togliendo improvvisamente importanza alle tappe a cronometro che già erano state decimate dagli organizzatori nel recente passato.

VINGEGAARD PUO' RIUSCIRE A SPEZZARE IL DOMINIO DI POGACAR?
Jonas Vingegaard arriverà al Tour de France 2025 in ottime condizioni, forse le migliori condizioni possibili. Basterà a vincere il Tour de France 2025? Questo a oggi non è dato saperlo e il perché dipende principalmente da quanto letto sopra. In due parole: Tadej Pogacar.

Vingegaard ha avuto un avvicinamento al Tour pressoché perfetto. La caduta alla Parigi Nizza, per quanto dura, lo ha fermato per circa 15 giorni di allenamento e non gli ha permesso di inserire la Volta a Catalunya all’interno del suo programma di corse così come da programma, ma è un incidente che all’interno di una stagione è sopportabile. Il livello visto ad oggi è quello classico di un Vingegaard che ha nel Tour de France il suo obiettivo principale. Una lenta e costante crescita. Rispetto al passato però sono mancate le vittorie e questo è un dettaglio che non è di poca rilevanza. Per come abbiamo imparato a conoscere Vingegaard in questi anni, ogni vittoria era un passaggio, un dimostrare prima di tutto a se stesso di essere capace, di poter stare lì, a lottare con il più forte. Arrivare al Tour de France senza una vittoria recente, da un lato potrebbe minarne le certezze e dall’altro potrebbe spingerlo a cercarla prima del necessario.

Per quanto il Delfinato non sia mai un indicatore esatto dello stato di forma in vista del Tour de France (negli ultimi 20 anni solo 6 volte il vincitore del Delfinato ha poi vinto il Tour), lo possiamo usare come corsa termometro per valutare come stanno i principali leader. Vingegaard ha dimostrato di essere molto performante a cronometro, di essere molto più rilassato del passato (anche fuori la corsa), di avere una attitudine in corsa differente, molto più sbarazzina, però in salita ha subito e tanto. Non un bel segnale. 

Le ultime settimane di allenamenti in altura di sicuro avranno aiutato, ma ad oggi è difficile dire davvero come sta, soprattutto rispetto ai suoi rivali perché anche loro non si sono fermati.

La squadra, storicamente un punto importante nelle vittorie di Vingegaard, è molto forte. Forse la migliore di tutte le presenti. Però dovrà essere utilizzata in maniera anticonvenzionale. Prendiamo ad esempio Simon Yates: il fresco vincitore del Giro d’Italia sarà alla partenza uno dei gregari più preziosi per Vingegaard. È molto difficile pensare che possa stare con i migliori in una tappa di montagna nel momento decisivo. Dovrà essere utilizzato prima, forse mandato all’attacco, ma difficilmente sarà utile se verrà utilizzato come classico ultimo uomo in salita. Stesso discorso vale per Kuss - che dalla vittoria alla Vuelta 2023 sta facendo molta fatica - e per Matteo Jorgenson che al Delfinato si è sciolto velocemente come la poca neve rimasta sulle cime che verranno affrontate al Tour.

C'È SPERANZA PER EVENEPOEL E ROGLIC?
Primoz Roglic ha ormai 36 anni e fra i quattro favoriti sembra essere ormai quello più indietro. Alla Red Bull sta cercando di vivere una seconda giovinezza, anche se gli anni passano per tutti ed è molto difficile immaginarselo capace di fare quel salto a livello di prestazioni che hanno fatto i suoi avversari negli ultimi due anni. Se l’anno scorso arrivava al Tour de France dopo aver vinto il Delfinato, quest’anno si presenterà al via della Grande Boucle con alle spalle un Giro d’Italia disastroso nel risultato (ritirato alla sedicesima tappa in seguito a una serie infinita di cadute). Proprio le cadute sembrano un sintomo di una carriera che si sta avviando ai suoi stadi finali e con l’età che avanza è un problema che di certo non dovrebbe migliorare.

C'è da dire che la squadra a sua disposizione è molto competitiva: la Red Bull ha costruito un roster molto solido, l’abbiamo visto anche al Giro quando nonostante le cadute di Roglic e Hindley sono riusciti comunque a piazzare Pellizzari in classifica. Al Tour hanno come “uomo ombra” il tedesco Florian Lipowitz che però pur avendo un talento formidabile e un motore che ha pochi eguali, al recente Delfinato non è sembrato ancora al livello dei due extraterrestri che si giocheranno verosimilmente la maglia gialla. Potrebbe però essere una carta importante per Roglic e per la Red Bull, da giocare con intelligenza qualora le cose dovessero girare nel verso giusto oppure da spendersi come valida alternativa allo sloveno nello scenario peggiore.

Dall’altra parte dello spettro c’è invece Remco Evenepoel. Il suo Tour de France 2024 è stato esaltante a livello di prestazione pur avendolo concluso a distanza siderale da Pogacar. Il ciclista belga però ha dimostrato di essere pronto per affrontare una grande corsa a tappe di tre settimane senza crolli, con costanza sia fisica che mentale. Mediamente fa registrare numeri ancora molto lontani da quelli di Pogacar e Vingegaard - e l’abbiamo anche visto al Delfinato - ma è solo una questione di fare quell’ultimo scalino che gli manca. A livello di talento ha tutto per riuscirci, ma la sua carriera fino a questo momento è stata un continuo inseguire e rincorrere; una condizione che, per uno cresciuto con l’idea di essere un fenomeno generazionale, inizia a pesare molto mentalmente.

E infatti Evenepoel in quest’ultima stagione è apparso spesso nervoso, arrabbiato, forse frustrato dalla sua condizione o dal non riuscire ad essere quel che vorrebbe diventare. Dopo una primavera sottotono ha sbottato contro la sua squadra, la Soudal Quick Step, rea di non averlo supportato abbastanza. Al campionato nazionale belga se l’è presa con Philipsen, colpevole secondo lui di aver corso per farlo perdere. Due esempi di una situazione che non sembra proprio delle più serene e le voci di mercato che lo vorrebbero vicino a un passaggio in Ineos si spiegano anche con questa sua ricerca spasmodica di arrivare al top. Il Tour de France di quest’anno servirà a lui e a noi per cercare una risposta alle tante domande che gli ronzano attorno: a che punto è? Può davvero essere un rivale credibile di Pogacar in futuro? Chi è, in sostanza, Remco Evenepoel?

Domande che speriamo trovino delle risposte positive per lui, perché sarebbe davvero importante per il ciclismo ritrovare il belga lassù. A cronometro ha una carta importante da giocarsi, ma difficilmente il vantaggio che potrà accumulare contro il tempo gli basterà per difendersi dagli attacchi di Pogacar e Vingegaard in salita. Sarà importantissimo comunque per lui arrivare alle montagne passando indenne la prima settimana e in questo la sua squadra dovrà aiutarlo per evitare di fargli spendere energie fisiche e soprattutto mentali che gli serviranno come il pane nel corso delle tre settimane.

FUORI DA QUESTO QUARTETTO DI FAVORITI PUO' USCIRE UN NOME A SORPRESA?
Tra tutti i possibili outsider presenti al via da Lille, Santiago Buitrago è quello che ha avuto la stagione migliore. Pur non avendo completato né la Parigi-Nizza né il Delfinato, il 25enne colombiano, dopo aver concluso decimo il suo primo Tour de France l’anno scorso, torna con l’ambizione di migliorarsi: «Iniziamo questo Tour 2025 con molte speranze, anzi, ad essere sinceri, con molte aspettative. Mi sto allenando per il Tour di quest’anno sin dalla sua conclusione a Nizza lo scorso anno. Volevo prepararmi al meglio ed essere nella condizione fisica ottimale. Tutto è andato bene in questa stagione: abbiamo lavorato sodo su ogni aspetto e abbiamo ottenuto buoni risultati nella squadra, il che mi ha dato molta fiducia per le tre settimane che ci aspettano».

Ben O’Connor sembrava aver definitivamente fatto il salto per permettergli di lottare stabilmente con i migliori nei Grand Tour ma quest’anno il passo indietro nei risultati è stato sorprendentemente negativo. Tra l'altro, sarà la prima volta che la Jayco avrà un capitano australiano e questo aggiunge un po’ di pressione in più «Ci sono tante belle salite e passi lunghi, sarà lì dove mi godrò la corsa di più», ha detto O'Connor «Ci sono quei tipi di tappe di montagna che preferisco. Per me sarà soprattutto importante superare i primi 10 giorni e poi da lì performare nella seconda metà».

Carlos Rodriguez affronta questo Tour de France con l’ambizione di fare bene ma senza avere dimostrato granché in questa stagione. O meglio, le buone prestazioni fatte fin qui non sono in linea con le aspettative che il suo percorso di crescita lasciavano indicare. Soprattutto sembra essere salito su un’altalena di risultati che fanno mettere in dubbio il percorso. Dopo due top ten consecutivi al Tour de France, l’andaluso non si può nascondere, tanto meno quest’anno da capitano unico della INEOS. La sua costanza, a meno di imprevisti o cadute, verosimilmente gli farà raggiungere nuovamente un posto in classifica generale. Il Tour de France di fronte a lui potrebbe essere il bivio della sua seppur giovane carriera.

Parlando di altalena impossibile non citare il suo connazionale Enric Mas. Il maiorchino quest’anno è andato meglio del previsto, forse perché al contrario di Carlos le aspettative erano troppo basse. Sarebbe bello vederlo nuovamente all’attacco.

PASSIAMO AI VELOCISTI: QUALI SARANNO I PROTAGONISTI DEGLI SPRINT DI GRUPPO?
Il Tour de France 2025 finalmente risponderà alla domanda che molti appassionati di ciclismo si fanno: chi è attualmente lo sprinter più forte del momento? Una risposta univoca a questa domanda non c’è, anche e soprattutto perché i tre uomini a contendersi lo scettro hanno caratteristiche e qualità differenti. 

Tim Merlier è il più esperto dei tre. Ha un innato senso dell’orientamento nello sprint e sa scegliere alla perfezione il momento per colpire, talvolta anche anticipando tutti. Jasper Philipsen non ha paura di niente, esagerando anche alle volte. È quello dei tre che ha la volata più sporca anche perché dei tre è il meno veloce. Avrà in Mathieu van der Poel e Kaden Groves due uomini chiave per portarlo a vincere.

Jonathan Milan è il più potente. Dei tre è lo sprinter più classico che ci sia anche se negli anni ha affinato una buona resistenza nelle salite ed è una caratteristica che gli sarà fondamentale in questo Tour. Quest’anno si sono affrontati tutti e tre in poche occasioni però quasi sempre Merlier ne è uscito vincente. Il livello raggiunto dal campione europeo in carica sembra essere troppo alto e l’intesa con i suoi compagni di squadra è stata spesso superiore a quella dei suoi diretti rivali.

Di fronte al pantheon degli sprinter il Tour mette a disposizione sulla carta tre tappe abbastanza sicure e due tappe dove lo sprint è probabile ma sarà da sudare. La prima occasione, tra l’altro, dovrebbe anche essere la più ghiotta perché metterà in palio anche la possibilità di indossare la maglia gialla per un giorno. Oltre a loro ovviamente ci sarà una folta concorrenza. Biniam Girmay non sembra nella condizione di poter difendere la maglia verde sorprendentemente conquistata l’anno scorso, Coquard è all’eterna ricerca della vittoria di tappa al Tour che però continua a sfuggirgli, Ackermann sembrerebbe avere pochi assi nella manica. Danny van Poppel, fresco campione olandese, riuscirà a essere finalmente il capitano, dopo anni di gregariato per sprinter forse meno veloci di lui?

Gli outsider più agguerriti per gli sprint potrebbero essere Alberto Dainese, Dylan Groenewegen e Søren Wærenskjold. Sarebbe però davvero sorprendente se Merlier, Milan e Philipsen si dovessero lasciar sfuggire le poche chance a disposizione.

QUALI SONO I NOMI PIU' INTERESSANTI DA SEGUIRE, SOPRATTUTTO TRA I GIOVANI?
Se per la vittoria non si uscirà quasi sicuramente da quei quattro nomi noti, sarà un Tour de France tutto da scoprire per quanto riguarda le posizioni di rincalzo. Nella Lidl-Trek si punta sul danese Skjelmose che nonostante sia più un uomo da classiche si sta testando sui grandi giri ed è arrivato quinto alla Vuelta nel 2024; accanto a lui, fuori di classifica, occhi puntati sul belga Thibau Nys, figlio d’arte di uno dei più grandi ciclocrossisti di sempre, Sven Nys. Classe 2002, ha un’accelerazione fuori di testa e un talento che ha veramente pochi eguali; sarà interessante vedere come si comporterà in queste tre settimane e soprattutto nelle prime tappe mosse che sono sulla carta più adatte alle sue caratteristiche.

Di un anno più giovane rispetto a Nys, Ivan Romeo, fresco campione di Spagna, andrà anche lui probabilmente a caccia di vittorie di tappa visto che difficilmente la Movistar dovrà fare la corsa per Enric Mas. Nella Lotto invece c’è un altro duo di ragazzi terribili: Arnaud De Lie, "il toro della Vallonia", è in cerca di riscatto dopo una primavera che avrebbe dovuto sancire la sua consacrazione e invece si è rivelata deludente. Ha un ottimo spunto veloce, si difende bene sui terreni più accidentati e il suo soprannome di “toro” calza a pennello sul suo stile di corsa molto tenace e aggressivo. Al suo fianco, per la classifica generale, ci sarà un altro giovane belga, il classe 2001 Lennert Van Eetvelt che l’anno scorso stava correndo una grandissima Vuelta prima di doversi ritirare a metà strada.

Facendo un salto invece fra i grandi vecchi del ciclismo mondiale, nella Tudor si presenta come uomo copertina il due volte campione del mondo Julian Alaphilippe che potrebbe giocarsi le sue carte soprattutto nelle fughe da lontano, una specialità che gli ha sempre regalato grandi soddisfazioni, oltre che nelle prime tappe più vallonate che da giovane sarebbero state il suo pane quotidiano. Il francese sta vivendo un finale di carriera forse più tranquillo di quello che avrebbe voluto, ma la classe è dura a morire e difficilmente vorrà lasciare questo Tour de France senza mettere la sua firma.

COSA ASPETTARSI DAI FRANCESI, A 40 ANNI DA HINAULT
Quando nel 1985 Bernard Hinault, soprannominato "il tasso", si laureava per la quinta volta campione del Tour de France eguagliando Eddy Merckx e Jacques Anquetil, realizzando tra l’altro la seconda doppietta Giro - Tour in carriera, la quasi totalità dei ciclisti attualmente in corsa al Tour de France quest’anno non era ancora nata. Otto degli ultimi dieci vincitori del Tour erano francesi e secondo il direttore attuale del Tour de France Christian Prudhomme interrogato a riguardo da parte del quotidiano Ouest France «nessuno poteva immaginarsi che quattro decenni dopo il ciclismo francese sarebbe stato ancora alla ricerca di un suo erede».

Nel frattempo il ciclismo è cambiato, la Francia è cambiata e persino il Tour de France è cambiato, ma quel destino è rimasto immutabile. Capire i motivi e le varie dinamiche che hanno portato a questa siccità di risultati non è facile. Ci hanno provato molti giornali e giornalisti francesi senza arrivare ad una conclusione univoca, però può essere utile fare la fotografia dell’esistente prima di guardare al futuro.

Il ciclismo francese è un movimento che, prendendo in considerazione professionisti a livello World Tour, risultati, squadre e calendario gare a livello domestico, potremmo definire mediamente in salute. Anche a livello mediatico la copertura è mediamente superiore a Italia e Spagna se prendiamo in considerazione i Paesi che ospitano un grande giro, con la peculiarità che la stampa locale (con la scusa o di seguire la stella del luogo o perché verrà toccata dal Tour in estate) segue quasi tutte le gare del calendario francese in loco, cosa non da poco.

Hanno insomma una base solida, un buon numero di partecipanti, sponsor interessati nell’investire nello sport e soprattutto hanno la croce e delizia: il Tour de France. L’oggetto del desiderio di chiunque graviti intorno al ciclismo e il più grande catalizzatore di attenzioni. Recentemente Jonathan Vaughters (General Manager della squadra EF Easypost) commentando a The Cycling Podcast le differenze di proporzioni tra Giro e Tour paragonava la ripercussione del buon giro del suo capitano Richard Carapaz (podio e vittoria di tappa) alla vittoria di tappa in una giornata di montagna al Tour de France. È questo il divario di cui stiamo parlando.

Rimane il fatto, però, che attualmente la Francia non ha un ciclista capace di poter vincere il Tour de France. Non ha neanche un ciclista capace di lottare per farlo ma ha una serie di buoni atleti, dal livello medio alto, che possono dire la loro per la vittoria di tappa. Un movimento solido, profondo, che è comunque in salute nonostante manchi il fuoriclasse in grado di riportare la Francia sul gradino più alto del podio di Parigi. Un'ossessione che ormai sta facendo più danni che altro. Christophe Moreau, Jean-François Bernard, Charly Mottet, Luc Leblanc, Laurent Jalabert, Richard Virenque, Thomas Voeckler, Pierre Rolland, Thibaut Pinot, Romain Bardet: sono solo alcuni dei nomi che hanno fatto vibrare la Francia nella speranza vana di vederli trionfare a luglio e che forse avrebbero potuto avere una carriera migliore se non si fossero concentrati su questa gara.

I giovani ciclisti francesi però ci pensano eccome al Tour de France, tutti sognano di vincere almeno una tappa, difficile capire chi sogni di vincerlo del tutto. Il primo che viene in mente è Lenny Martinez. Il giovane talento transalpino ha ventuno anni e sta vivendo la migliore stagione probabilmente da quando è professionista. Ha vinto due tappe di livello ma non ha ancora dimostrato di poter reggere in classifica generale. Due anni fa, prima di correre la sua prima gara con la squadra World Tour a Marsiglia, mi aveva detto che il suo sogno era proprio il Tour de France. Ha il talento per crescere ma a 21 anni viene già dato per disperso.

Kévin Vauquelin, forte a cronometro, tiene bene in salita. L’etichetta è presto fatta. Però Vauquelin non ha ancora capito che tipo di corridore è e che tipo di corridore vorrà essere in futuro. Nel frattempo sta puntando sul portare a casa qualche bel risultato nel breve termine perché la sua squadra, alla quale deve tutto, sta lottando per la sopravvivenza visto che gli sponsor hanno già detto che abbandoneranno la nave il prossimo anno. Onestamente, è difficile immaginarlo in futuro come protagonista della classifica generale ma ha ancora tempo per provarci e sorprenderci. Di certo al momento il contesto attorno a lui non è il migliore per vederlo sbocciare definitivamente. 

Il nome grosso di cui si parla tantissimo per il futuro è quello di Paul Seixas, 19 anni, una maturità fuori dal comune dimostrata al primo anno da professionista. Un primo Delfinato corso da campione in divenire. Non sarà presente al via del Tour perché la sua squadra lo ritiene troppo giovane. Scelta saggia, per evitare gli errori fatti in passato con altri giovani talenti bruciati troppo presto sull’altare del Tour de France, con tutte le pressioni mediatiche che questo comporta per un giovane ciclista francese.

CHI VINCE, QUINDI?
Gabriele Gianuzzi: Tadej Pogačar

Umberto Preite Martinez: Jonas Vingegaard

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