L’articolo è tratto “Identity”, il secondo numero della rivista UNO-DUE, dedicato alla questione della formazione dell’identità nel calcio.Le foto nell’articolo sono di Rob Mieremet, dall’Archivio di Stato dei Paesi Bassi. L’infografica invece è stata realizzata da The 6th.
Negli anni ‘60 in Olanda, una combinazione unica di avanzamenti sociali, culturali e sportivi portò a una rivoluzionaria intuizione tattica, che fu denominata totaalvoetbal, il calcio totale.
Visibile ancora oggi ai vertici del calcio mondiale, gli effetti di questa rivoluzione erano di creare un substrato perfetto per esprimere la creatività, raggiungendo un equilibrio perfetto tra disciplina e la libertà individuale. Questo equilibrio è spesso legato al rapporto tra singolo giocatore e sistema, ossia la combinazione tra fattori ambientali e spazio personale. Ma in quegli anni, nei Paesi Bassi, si crearono condizioni diffuse e un metodo poi propagatosi negli anni come un’onda culturale tra i migliori club d’Europa.
I sistemi più efficaci sono quelli che vengono interiorizzati, che diventano così normali da risultare in comportamenti inconsci. L’estrema sintesi del calcio totale sta qui, in un sistema—o meglio una cultura calcistica—interiorizzata al di là della tattica e della tecnica individuale. Guardando al calcio totale da questa prospettiva, appare chiaro come non sia solo un discorso di posizioni e movimenti, ma di approccio, di filosofia, di sistema. Un sistema che trasforma la tensione tra libertà individuale e disciplina collettiva in una spinta creativa in grado di cambiare il gioco più bello del mondo.
Se si immagina come una foto di gruppo, il totaalvoetbal ritrae molti individui, ed ha un tempo di esposizione di settant’anni. Molti di loro, gli iniziatori di questo cambiamento, provenivano dalla stessa squadra: l’Amsterdamsche Football Club Ajax. Johan Cruijff, generalmente visto come il primo e più importante esponente, ma per il suo genio anche inevitabile eccezione, e aveva a sua volta raccolto l’eredità di chi veniva prima di lui. Sullo sfondo, dietro ai volti dell’Olanda vice-campione del mondo nel 1974, ad allenatori storici di Ajax e Barcellona, si vedono le case in mattoni e i canali di Amsterdam. Le relazioni tra tutti gli interpreti del totaalvoetbal sono di primaria importanza: oltre ai giocatori, gli allenatori Jack Reynolds, Rinus Jacobus Hendricus Michels, Ștefan Kovács, Luis Van Gaal, Frankie Riijkard, Pep Guardiola compongono il quadro completo.
Rinus Michels.
La storia del calcio totale inizia ad Amsterdam: qui ha scritto il suo libro David Winner, giornalista e scrittore inglese autore di Brilliant Orange: The Neurotic Genius of Dutch Football, il testo al quale tutti fanno riferimento quando si parla delle origini del totaalvoetbal. Qui vive e lavora David Endt—giornalista sportivo ed ex team manager dell’Ajax, con un passato nelle giovanili dei lancieri che gli ha permesso di conoscere alcuni degli interpreti più importanti del totaalvoetbal.
David Winner conferma che l’espressione totaalvoetbal nasce a metà anni ‘70, ma che le sue origini vanno cercate nel ventennio precedente. Forse è sbagliato vederla come un’unica linea, è più una contaminazione tra stili, organica, ma non lineare. Spesso il calcio totale è stato associato a un’idea di libertà, perché ha mosso i primi passi negli anni dei Provos, movimento anarchico olandese, precursore dell’ondata di contro-cultura poi sfociata nel movimento hippie e nelle rivolte del ‘68. Tuttavia, pensare al totaalvoetbal senza considerare la disciplina e il metodo che lo compongono, significa ignorare la complessità e la tensione che lo caratterizzano.
Il momento preciso in cui si è iniziato a parlare del calcio totale come qualcosa di più ampio di una trasformazione calcistica, coincide proprio con la pubblicazione di Winner. L’autore afferma che il suo non è stato un lavoro di ricerca nel senso letterale del termine, ma piuttosto una speculazione giornalistica simile a un esercizio di libertà. Il risultato è stato un collage di testimonianze che è andato formandosi col tempo, poi ricomposto in un quadro complesso, dove temi e discipline diverse si fondono, come succede nella vita di tutti i giorni. Oggi appare quasi scontato che quell’idea di calcio fosse figlia del contesto che l’ha creata, ma se riusciamo a tracciare dei legami tra le forze motrici di quel processo, il merito è di David Winner. Nessuno aveva mai azzardato una lettura così ambiziosa, capace di rendere visibili i legami tra le varie anime del calcio totale. I processi più difficili da interpretare sono quelli inconsci, secolarizzati, i più ovvi. Gli stessi olandesi infatti, erano spiazzati, quasi infastiditi dal suo approccio:
«Quando stavo intervistando gente in Olanda, molti erano sorpresi dal fatto che ponessi domande di quel genere [su architettura, cultura e società, ndr]. Chiesi a un editore olandese se fosse interessato a pubblicare il libro e lui lo diede uno dei suoi reader. La reazione fu: “Non capisco cosa questo abbia a che fare col voetbal?” Quest’idea che ogni cosa possa essere divisa in little boxes, in piccole categorie, semplicemente non rappresenta il mondo in realtà […] Negli anni ‘70 eravamo abbagliati dal grande Ajax, che venne prima dell’Olanda del ‘74. Quando ero all’università, condividevo questo amore per il calcio olandese con un mio amico col quale parlavo molto senza mai arrivare a nessuna conclusione. Ci chiedevamo: cos’è che li rende ciò che sono? Perché non sono come noi [inglesi, ndr]? Decidemmo di visitare l’Olanda e, sai, ci piacevano e basta. Se vogliamo trovare una ragione, direi che era qualcosa che aveva a che fare con l’organizzazione sociale. Negli anni ‘70 gli olandesi erano very cool, very radical, very hippie, you know, that kind of stuff».
L’Olanda degli anni ‘70, veniva da un lungo periodo di stagnazione. Dal punto di vista calcistico e storico-culturale, il paese risentiva di un cambiamento che avveniva velocemente e in maniera radicale. Paradossalmente, l’arretratezza aveva funzionato come propulsore del rinnovamento in entrambi i casi, portando ad un balzo iniziato in realtà negli ‘60, i cui frutti sarebbero stati raccolti nel decennio successivo.
Winner individua due figure fondamentali in questo processo: Jack Reynolds, allenatore inglese che guidò Ajax tra il 1915 e il 1947, e Michel de Klerk, uno dei leader dell’Amsterdamse School, il movimento che elaborò il concetto di architettura totale.
Il primo vinse otto campionati nazionali e creò il sistema ereditato dal leggendario Rinus Michels, che allenò le due nazionali oranje più forti di sempre: l’Olanda vicecampione del mondo nel ‘74 e quella che vinse gli Europei nel ‘88. Il secondo, elaborò un’idea di architettura che rappresentava un’esperienza totale, in cui ogni singolo elemento della città fosse parte di un unico concetto. La strade dell’Ajax e dell’Amsterdamse School si incrociano grazie a Dan Roodenburgh, membro del board del club ed esponente della stessa scuola di architettura, che seguendo questi principi progetterà lo stadio De Meer, casa storica del grande Ajax, ora diventato il parco giochi di una zona residenziale poco fuori Amsterdam.
Jack Reynolds guidò i “lancieri” in un’epoca in cui il calcio olandese non era ancora diventato un movimento professionistico, cosa che accadrà solo negli anni ‘50, ma pose le basi di un sistema di gioco che rompeva con il passato: giocare palla a terra. Negli anni ‘20, impostò il ferreo sistema di allenamento del settore giovanile dell’Ajax: da mattina a sera, ragazzi di tutte le età venivano formati usando lo stesso metodo. Una breve ma eloquente frase di Reynolds nel 1946 riassume il metodo, o meglio lo stile di gioco: «Per me, l’attacco è e rimane la miglior difesa».
Rinus Michels, che allenerà l’Ajax a partire dal 1965 in avanti, giocò per i lancieri negli anni ‘40, proprio sotto la guida di Reynolds, del quale raccoglierà l’eredità, portando il calcio totale al suo climax nel decennio successivo.Se Michels può essere considerato l’inventore del totaalvoetbal, Reynolds ne è il precursore, colui che ne ha creato i presupposti. I media inizieranno ad utilizzare l’espressione calcio totale solo nel 1974, non a caso, lo stesso anno in cui l’architetto modernista Jaap Bakema parlerà di Total Urbanisation, Total Environment, Total Energy, concetti che trovano il loro equilibrio nella Total Architecture. Michels vincerà solo la prima delle tre Coppe Campioni consecutive del grande Ajax, ma con la sua ossessione per la disciplina, per la professionalità, per il sistema, permetterà al suo successore Kovács, di vincere le due successive. Senza l’ordine imposto da Michels, la libertà concessa da Kovács non sarebbe risultata vincente.
Sulle spalle dei giganti
I personaggi chiave del calcio totale hanno sempre costruito sulle basi di un modello, tramandato da allenatore a giocatore, che trova le sue origini ad Amsterdam e nella scuola calcio dell’Ajax. Come in una staffetta tra giocatori e allenatori, il testimone passa dalla panchina al campo, poi ancora alla panchina e di nuovo in campo. Da Reynolds a Michels, da Michels a Cruijff, da Cruijff a Rijkaard e Guardiola, il passaggio di consegne è una catena di maestri e allievi, che contribuiscono a una stessa storia calcistica.
Nell’arco di 10 anni si va dall’Ajax di fine anni 60’ all’Olanda delle due finali perse nei mondiali del 1974 e del 1978. Lo zenit del calcio totale è però il mondiale del 1974 in Germania. La nazionale olandese si presenta al mondo introducendo le novità tattiche e con i campioni che avevano portato l’Ajax a vincere tre coppe dei campioni consecutive (anche se l’ultima prima del mondiale fu vinta dal Bayern Monaco di Beckenbauer).
Michels diventa ct della nazionale olandese nel 1974, a pochi mesi dall’inizio del mondiale tedesco. Ha appena vinto la Liga con il Barcellona, grazie anche alle giocate di Cruijff, mentre Neeskens lo raggiungerà invece solo l’estate successiva. Allora non si sapeva, ma questo mondiale è l’ultima occasione per ammirare gli artefici dell’epopea Ajax, tutti insieme. Oltre a Cruijff, che ha già lasciato Amsterdam per la Catalogna, e a Neeskens che a breve lo imiterà, anche Rep si trasferirà in Spagna (al Valencia) mentre Haan andrà all’Anderlecht. Seguiranno poi tutti gli altri.
Michels si ritrova a guidare un gruppo di giocatori formati da lui, ma più maturi e forti della sicurezza che danno i successi a livello internazionale. Dopo il suo addio nel 1971, l’Ajax aveva scelto Kovács come successore. Il ruolo dell’allenatore rumeno– che guiderà la formazione di Amsterdam alle due successive coppe dei campioni– nell’evoluzione del calcio totale è motivo di pareri contrastanti: c’è chi gli riconosce grandi meriti e chi invece lo minimizza. David Endt dipinge Kovács come «un uomo che si è trovato al momento giusto al posto giusto, ma che è stato capace di fare ciò che andava fatto: aumentare la libertà individuale che in un contesto così organizzato ha poi fatto la differenza». Dunque pur non riconoscendogli grandi meriti tattici, Endt ritiene che il lavoro di Kovács sia stato comunque determinante, contribuendo alla crescita individuale e collettiva dei suoi giocatori.
Al blocco Ajax, Michels aggiunge alcuni elementi del Feyernoord campione d’Europa nel 1970 e la talentuosa ala Rensenbrink, che giocava nell’Anderlecht. Prima dell’inizio del torneo però Michels si ritrova subito con un grave problema: ha perso la coppia centrale titolare. Israel, eccellente difensore del Feyernoord e il solido Hulshoff dell’Ajax, sono indisponibili o non perfettamente in forma. Quest’ultimo, come sottolineato anche da Winner su Brilliant Orange, era un ottimo interprete e conoscitore delle tattiche di Michels. L’allenatore olandese sposta così indietro il centrocampista Haan dell’Ajax e lancia il giovane Rijsbergen (Feyernoord). Ma soprattutto cambia impostazione alla linea difensiva: giocherà molto più alta e aggressiva del solito, per evitare di difendersi nei pressi dell’area di rigore con due centrali adattati inesperti.
Esordisce così la sua Olanda, nel match di Hannover del 15 giugno 1974 vinto per 2-0 contro l’Uruguay (doppietta di Rep). In un calcio ancorato ancora agli anni 50’, le novità introdotte da Michels emergono chiaramente fin dalla prima partita. Il 4-3-3 olandese prevede grande dinamismo da parte di tutti gli interpreti ed una mentalità offensiva che non si vedeva dagli albori del gioco più bello del mondo. Per dirla con le parole di Endt «ogni giocatore doveva occupare una determinata posizione, non importava quale. Erano totalmente interscambiabili. Giocatori totali in un calcio totale». La formazione iniziava dal portiere Jongolobed, dell’FC Amsterdam. Seppur non fosse il migliore nella circolazione palla, era bravo con i piedi, e funzionale al gioco di Michels nella posizione di sweeper keeper. La difesa a quattro era composta dai i terzini dell’Ajax Suurbier e Krol, rispettivamente a destra e a sinistra, e l’inedita coppia centrale, Rijsbergen ed Hann. Nel centrocampo, Neeskens (Ajax) centrale era affiancato dal duo del Feyernoord Van Hanegem e Jansen. In attacco, Rep (Ajax) e Rensenbrink (Anderlecht) giocavano ai lati di Cruijff, centravanti con licenza di muoversi a piacimento.
Anche se ora sembra facile definire il ruolo dell’asso olandese come falso nove—ruolo nato con con Pedernera e Hidegkuti negli anni 40’-50’ e consacrato da Totti e Messi—in realtà i movimenti di Cruijff erano molto più ampi e liberi. Nelle stagioni migliori, Messi e Totti alternavano i movimenti in area a palloni giocate sulla trequarti, per aiutare la squadra nel palleggio o mandare dentro gli esterni con assist e passaggi chiave. Cruijff invece agiva a tutto campo, arretrando anche all’altezza dei difensori con palla in possesso olandese, o si allargava indifferentemente a destra e a sinistra. Era ovunque, e anche in area per concludere: in quel mondiale segnò gol, si guadagnò diversi rigori e fu miglior giocatore per assist e dribbling.
I tocchi di palla di Johann Cruyff in finale.
Ad inizio azione i terzini si alzavano e un difensore centrale saliva palla al piede, il più delle volte era Haan, il giocatore olandese con più passaggi dell’intero mondiale. A quel punto Van Hanegem si fermava per coprire le avanzate del compagno, solo uno dei tanti movimenti di un undici composto da giocatori le cui posizioni sono interscambiabili. Rotazioni e scalate che difficilmente si erano visti in precedenza, e non si rivedranno per decenni. Neeskens agiva da teorico vertice basso del 4-3-3. In fase difensiva però, era spesso l’uomo più avanzato ed aggressivo, quello che faceva partire il feroce pressing olandese. Un pressing, ed una riaggressione a palla persa, selvaggio e micidiale, non codificato, disordinato ma comunque organizzato. Sfruttando anche una regola del fuorigioco diversa da quella attuale, che verrà cambiata 20 anni più tardi quando il Milan di Sacchi—prendendo spunto proprio da quello di Michels—ripresentò al mondo calcistico la stessa furia nell’attuare questa tattica, l’Olanda saliva in massa verso il portatore di palla chiudendo tutti gli appoggi e portando la linea difensiva quasi a centrocampo.
La tattica difensiva dell’Olanda si basava principalmente su questi elementi: pressing alto a ‘ondate’, fallo tattico, linea difensiva alta ed utilizzo del fuorigioco. Neeskens era parte integrante di questa tattica, si alzava dalla sua posizione e dava il segnale (con Haan) di partenza per attaccare la palla. Ma era in fase di possesso che il ruolo di Neeskens assumeva un’importanza ancora maggiore. Giocatore dotato di un atletismo superiore e dei tempi d’inserimento perfetti, l’olandese è stato forse il primo shadow striker (attaccante ombra) della storia. Cruijff arretrava e liberava l’area, Neeskens si buttava dentro e diventava un centravanti sfruttando tecnica in corsa e potenza. A differenza dei giorni nostri però, dove questo ruolo è cucito su misura per trequartisti dinamici ed interni offensivi, vedi Hamsik o Thomas Mueller, Neeskens arrivava in area avversaria giocando da vertice basso di un 4-3-3, un movimento che non si è mai più rivisto in un campo da calcio. Chiuderà il mondiale da capocannoniere dell’Olanda con 5 reti, secondo per tiri totali solo a Deyna della Polonia. Neeskens diventerà un simbolo del calcio totale perché è stato uno dei primi veri giocatori totali, di sicuro il primo olandese ad unire tecnica, grande fisicità e intelligenza tattica. Nella sua carriera, esordì nell’Ajax da terzino, giocò da libero nell’under 19 olandese conquistando la sua fama a livello mondiale come centrocampista incursore. Un giocatore rivoluzionario che ha trovato posto in una squadra fortemente innovativa. Ancora una volta, il singolo e il contesto ideale per la sua espressione. La squadra olandese giocava palla a terra, e basava lo sviluppo offensivo su questo dinamismo e questa capacità di scambiarsi le posizioni, ponendo così le basi del calcio moderno, dove il ruolo da posizione, si sta trasformando in funzione.
Johan Neeskens.