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Toro scatenato
24 mar 2015
24 mar 2015
Come Ventura ha portato in alto il Torino. Ancora.
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8 min
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Fino a qualche settimana fa difficilmente potevamo pensare che il Torino sarebbe uscito dall’Europa League giocando alla pari, se non meglio, dello Zenit San Pietroburgo.

In origine questo pezzo doveva rientrare in quello sulle delusioni del campionato: il Toro alla diciottesima giornata era a quattro punti dal terzultimo posto occupato dal Cagliari, col peggior attacco del campionato insieme al Chievo (13 gol), immalinconito nel ricordo di Alessio Cerci e Ciro Immobile. Poi però ne ha vinte 4 di fila, contro Cesena, Inter, Sampdoria e Verona, segnando 12 gol, e la stagione ha preso una piega inaspettata (fortuna che gli abbiamo dato la chance di riprendersi).

In ogni caso è sorprendente, in negativo, la prima metà di campionato. Adesso il Toro ha sistemato la deprimente media gol di inizio stagione ed è lì dove più o meno ci si attendeva che fosse: a lottare per l'Europa. Centrare la qualificazione non sarà facile, anzitutto perché le avversarie sono competitive, probabilmente capiremo solo alla fine quanto hanno pesato gli addii di Cerci e Immobile.

Solo per far scendere una lacrimuccia sul viso dei tifosi granata.

Risolvere il problema del gol

Nel momento peggiore, durante le prime giornate, quando cioè la squadra letteralmente non segnava mai (si è sbloccata solo alla quarta), Giampiero Ventura ha provato a dare una svolta schierando un 5-2-3 con Quagliarella a sinistra, El Kaddouri nel mezzo e Sánchez Miño a destra nel tridente offensivo.

Un esperimento durato giusto il tempo di trovare gol, vittoria e la fiducia necessaria per tornare all’antico, ma che nonostante ciò ha fornito spunti interessanti. Non solo Quagliarella che da sinistra poteva smarcarsi più facilmente e tagliando al centro gli si apriva subito lo specchio della porta, ma anche una maggiore fluidità in fase d’impostazione, grazie ai movimenti di El Kaddouri e Sánchez Miño alle spalle del centrocampo avversario. Il Torino era una squadra verticale e diretta.

Quinta giornata, gara contro la Fiorentina: la fase offensiva col 5-2-3. El Kaddouri riceve tra le linee, si gira e serve Quagliarella che taglia da sinistra.

D’altra parte, l’assenza di un centravanti rappresentava un grosso problema. Affidarsi a lungo termine agli inserimenti di El Kaddouri e Sánchez Miño (che al massimo in un campionato hanno segnato 7 e 4 gol) era un rischio troppo grande. Oltretutto in fase difensiva si perdeva un centrocampista e si rischiava sempre l’inferiorità numerica in mezzo al campo, dipendendo dalla disponibilità al sacrificio e al ripiegamento di due giocatori offensivi come Quagliarella e Sánchez Miño.

Josef Martínez e Maxi López

È anche per motivi di equilibrio, quindi, oltre che per la necessità di recuperare uno tra Amauri e Larrondo, che Ventura è tornato presto al 3-5-2. La missione recupero è andata male (Larrondo è stato venduto al Tigre, Amauri è una riserva da tempo), ma questo fallimento è servito per dare più spazio a Josef Martínez. Il venezuelano, ora, può essere considerato una specie di sostituto unico del duo Cerci-Immobile, unendo la velocità palla al piede del primo con la capacità di dare profondità alla squadra del secondo.

Martínez ha anche contribuito a rendere più imprevedibile l’attacco del Toro, alternando i movimenti e scambiando la posizione con Quagliarella. Ventura ama giocare con due punte vicine e su linee sfalsate: una va incontro, l’altra attacca la profondità. La coppia Quagliarella-Martínez è quella che garantisce i movimenti richiesti dal tecnico genovese (anche se solitamente è Quagliarella a giocare dietro a Martínez), privando così le difese avversarie di punti di riferimento stabili. Di contro, nessuno dei due garantisce una presenza fissa in area di rigore, cosa fondamentale in una squadra che tende a sviluppare il proprio gioco sulle fasce.

Per sopperire questa mancanza a gennaio è stato quindi acquistato Maxi López, partito bene con un gol all’esordio e protagonista assoluto della doppia sfida con l’Athletic Bilbao, il punto più alto della stagione granata. Le azioni delle tre reti segnate tra andata e ritorno contro i baschi sono state la conferma che l’ex Milan e Barcellona è il numero nove che mancava.

La difesa è il miglior attacco

Se il Torino non è sprofondato nel periodo di crisi offensiva post Cerci-Immobile, il merito principale è della sua difesa, una delle migliori del campionato, con 6 gol in meno subiti rispetto rispetto all’anno scorso (da 36 a 30).

Il trio titolare è lo stesso: Maksimovic-Glik-Moretti, e anche l’atteggiamento. Il Toro difende schierato in un 5-3-2 in cui i laterali (Darmian, Bruno Peres o Molinaro) si abbassano vicino ai difensori centrali, per coprire bene tutti gli spazi nella propria metà campo. La sconfitta più larga, 3-0, è arrivata contro la Roma, che ha sbloccato subito il risultato con Torosidis e ha poi arrotondato con due tiri da fuori di Keita e Ljajic.

La difesa del Torino è ancora più importante in fase di possesso: nessuna squadra in Serie A coinvolge così tanto i difensori nello sviluppo della manovra.

La disposizione granata a inizio azione: l’impostazione spetta al rombo evidenziato, i due laterali si aprono e restano vicini ai difensori per fornire una linea di passaggio sicura. Sono loro i riferimenti principali per i compagni che iniziano l’azione.

Maksimovic, Glik e Moretti insieme al mediano formano il rombo cui spetta impostare l’azione. Le responsabilità maggiori passano dai vertici esterni, ovvero Maksimovic e Moretti, perché il mediano, che sia Gazzi o Vives, è un incontrista. Glik invece resta più staccato per garantire sempre un appoggio semplice e si limita a scaricare lateralmente: è il sesto giocatore della Serie A per precisione nei passaggi (90,8%), una prova dei rischi minimi presi nella trasmissione della palla.

Sono quindi Moretti e Maksimovic i giocatori in grado di far guadagnare campo al Toro: è a loro che tocca spesso verticalizzare o portare palla per eludere il pressing avversario. In questo nessun difensore del campionato è più bravo di Nikola Maksimovic, che nel suo ruolo è il terzo in assoluto per numero di dribbling riusciti (35, con una percentuale di successo del 73%), superato solo dal compagno Bruno Peres (54) e da Mário Rui (39), due laterali con caratteristiche offensive.

Anche al portiere viene chiesto di saper giocare il pallone ed è uno dei motivi per cui Ventura, prima che il portiere belga fosse ceduto al Catania, ha spesso preferito Gillet a Padelli, tornato titolare solo con l’inizio dell’anno nuovo. Nella partita contro il Genoa, l’ultima giocata, Gillet è stato il quarto giocatore granata per passaggi tentati (35), dietro al trio Gazzi-Maksimovic-Moretti (41 per tutti e tre). La fotografia perfetta della tranquillità palla al piede del portiere belga e della tendenza del Toro a tornare indietro piuttosto che lanciare lungo quando non trova spazi.

Ribaltando ruoli e aforismi («l’attacco è la migliore difesa»), i difensori si sono rivelati i migliori attaccanti a disposizione di Ventura. Quasi un terzo dei gol del Toro arriva appunto dalla difesa, grazie soprattutto a Kamil Glik, il difensore goleador della Serie A (6 reti, più di tutti i pari ruolo), che per un certo periodo è stato pure il capocannoniere di squadra. I gol del polacco, oltretutto, sono stati quasi tutti decisivi e hanno portato quasi un terzo dei 39 punti conquistati finora.

Bruno Peres e Darmian

Se ci si concentra solo su Quagliarella, Maxi López, Martínez e Amauri non si coglie il vero senso del cambiamento del Toro post Cerci-Immobile. I veri eredi, per incidenza nella manovra e valore di mercato, sono Matteo Darmian e Bruno Peres.

Perso un accentratore come Cerci, i riferimenti del gioco granata si sono spostati sulle fasce. Bruno Peres si posiziona anche verso l’interno del campo per aiutare in impostazione, ma ha dimostrato di poter giocare da solo contro tutti, Darmian è più completo e soprattutto più attento in fase difensiva, ma ha fatto vedere qualità tecniche e una personalità insospettabili anche solo fino a qualche mese fa.

Il Toro sviluppa la sua manovra principalmente sulle fasce, puntando a creare superiorità numerica con le sovrapposizioni delle mezzali e la salita del centrale difensivo. Va da sé che in un sistema del genere Darmian e Peres siano determinanti, sia favorendo le sovrapposizioni delle mezzali che arrivando loro stessi sul fondo.

Proprio sfruttando le catene sulle fasce i granata hanno costruito la partita più memorabile della loro storia recente, quella di Bilbao, pur in assenza di Peres, tenuto fuori dalla lista UEFA da Ventura con una decisione molto sofferta. A chiudere il cerchio ci ha comunque pensato Darmian, autore del gol decisivo.

Il ritorno del Toro in Italia dopo aver vinto a Bilbao. Darmian però non viene accolto come meriterebbe (minuto 0:42).

Cosa aspettarsi dal Torino da qui a fine stagione?

Ventura è riuscito nella missione più difficile: quella di ripetersi dopo una stagione fantastica. Il Toro ha tre punti in più dell’anno scorso pur avendo giocato al massimo delle proprie possibilità l’Europa League.

Il lavoro di Ventura sul lungo periodo è stato eccezionale: ha preso il Torino in Serie B e quattro stagioni dopo l’ha portato a giocarsi gli ottavi di Europa League. La squadra ha un’identità precisa, è estremamente organizzata e ha saputo superare gli addii di Cerci e Immobile.

Proprio dalle cessioni illustri dipenderà il futuro granata: Darmian e Bruno Peres interessano a tanti club e sarà difficile trattenerli. Cedere i migliori ed essere costretti ogni anno a reinventarsi è una strategia molto difficile e rischiosa, anche se in panchina siede un maestro come Ventura. È una cosa a cui Cairo dovrà pensare quest’estate se vorrà mantenere il Torino ad alti livelli.

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