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Daniele V. Morrone
Top XI: Liga 2016/17
03 lug 2017
03 lug 2017
I migliori giocatori della Liga spagnola, esclusi quelli di Real Madrid, Atletico, Barcellona e Siviglia.
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Daniele V. Morrone
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Dopo cinque anni il Real Madrid è tornato a vincere la Liga. Lo ha fatto all’ultima giornata arrivando davanti al campione in carica. Per il tredicesimo anno consecutivo una squadra di Barcellona o Madrid ha vinto il titolo, ma il livello della competizione sotto il duopolio delle due città più importanti è stato altrettanto alto. Come sempre la Liga è stata ricca di squadre dall’identità forte e ricche di talento, che hanno provato a imporre la propria idea di calcio contro chiunque. Parlo del calcio equilibrato del Villarreal, di quello ordinato della Real Sociedad, di quello fisico dell’Athletic Club, di quello ultra offensivo del Celta, di quello chiuso dell’Espanyol o di quello utopico del Las Palmas.

 

Per parlare di tutta questa ricchezza tecnica e tattica ho stilato una top 11 che prescinde dalle prime quattro (ovviamente Madrid, Barça, Atleti e Siviglia), di cui abbiamo parlato durante tutta la stagione. Come uniche regole non sono presenti giocatori che hanno fatto parte dello scorso top 11 (quindi niente Iago Aspas, nonostante sia stato il miglior attaccante spagnolo, con 19 gol segnati) né giocatori con meno di 1800 minuti, o se preferite 20 partite (quindi niente Odriozola, nonostante l’irruzione da tizzo ardente nel finale di stagione, con 4 assist da terzino destro). Naturalmente la formazione deve avere anche un senso dal punto di vista tattico, con giocatori compatibili tra loro e nel loro ruolo. Come modulo ho scelto il 4-2-3-1 della Real Sociedad di Eusebio, la squadra, tra quelle “normali”, che ha fatto vedere per lunghi tratti il miglior calcio della stagione.

 



 



 

Al debutto in Liga come titolare nonostante i venticinque anni, Pacheco ha giocato la miglior stagione della carriera, aiutando il Deportivo Alavés nella sua strategia per provare a salvarsi da neopromossa prima di tutto non subendo gol (con solo 43 gol è stata la quinta miglior difesa). A fare la differenza è stata la sua sicurezza in area, esattamente quello che serviva a una squadra dal blocco difensivo così basso. Pacheco ha parato le cose facili, riuscendo anche a dare qualcosa in più in quelle difficili. Una costanza di rendimento che per un portiere vale tanto quanto i picchi.

 



 

Pacheco è cresciuto nel Real Madrid, dove ha fatto solo una manciata di presenze in coppa prima di decidere di andare altrove a giocare. Pacheco fa parte della tipica scuola spagnola dei portieri che gioca tutta sui riflessi e il posizionamento. Non è un portiere dalla tecnica di parata scolastica e con i piedi si limita a rilanciare lungo. I suoi grandi riflessi ne fanno però un portiere efficace tra i pali, oltre che affidabile nelle uscite.

 



 



 

Nel finale di stagione il Celta ha dato priorità all’Europa League e alla Coppa del Re, facendo molta rotazione di uomini. Questa situazione ha distorto la percezione delle prestazioni di Hugo Mallo, che ha preso parte solo alle grandi partite, chiudendo l’anno con appena 22 partite da titolare. Hugo Mallo in ogni caso ha fatto un altro passo in avanti nel proprio gioco e nella consapevolezza della propria forza.

 



 

 

La partenza di Orellana e il passaggio di Iago Aspas verso la fascia destra ha liberato spazio in avanti a Hugo Mallo, regalandogli maggiori responsabilità offensive. A quel punto ha mostrato doti di lettura offensiva, capacità di mantenere alta la concentrazione nelle transizioni e precisione tecnica nei cross. Hugo Mallo ha raggiunto il picco del proprio sviluppo, sia dal punto di vista tecnico che emotivo, ed è riuscito ad esaltarsi nel sistema ultraoffensivo del Celta di Berizzo.

 



 



 

Quando a dicembre l’Athletic Club ha annunciato la necessità per Yeray di intraprendere dei cicli di chemio per sconfiggere un tumore al testicolo il centrale ventunenne era già titolare della squadra di Valverde, pur essendo alla sua prima vera stagione in prima squadra. Più giovane di Laporte e già più avanti nelle letture difensive, era diventato il leader del reparto in pochi mesi. La forza mentale con cui si è ripreso dallo stop forzato di 4 settimane ha dato la spinta per un finale di stagione giocato da miglior centrale della Liga.

 



 

 

Sicuro nelle scelte, ottimo in marcatura, nel far sentire il fisico e nel trovare i tempi giusti per il tackle, ha una visione del ruolo aggressiva e in linea con la scuola basca, che coniuga tecnica sobria a prontezza fisica. Yeray capisce quando forzare la giocata e quando invece contenere e correggere gli errori dei compagni, esattamente quello che serviva all’Athletic. Quello che più di tutti mostra la padronanza del ruolo di Yeray sono proprio i blitz offensivi con cui lascia la linea per andare in anticipo e poi avanzare in conduzione. All’inizio era più prudente nell’impostazione, ma con l’andare del tempo ha preso coraggio e mostrato anche qualche lampo che porta a pensare abbia ulteriori margini di miglioramento.
L’irruzione e poi l’assestamento di Yeray è stato uno degli sviluppi più sorprendenti della stagione. Visto il precedente, il fatto che purtroppo debba ancora combattere per sconfiggere la malattia, riemersa proprio a fine stagione, non deve preoccupare perché tornerà più forte di prima.

 



 



 

Parlare di Iñigo Martínez non è mai facile perché si tratta di un giocatore polarizzante. Innanzitutto perché ha difetti e pregi ben chiari che nella stessa partita vengono fuori più volte. Iñigo è fondamentalmente un centrale che imposta, maestro nei lanci: per impostare, uscire puliti dal pressing, o che possono diventare assist direttamente dalla difesa. Iñigo con il pallone è tecnico e preciso, anche grazie a un mancino perfettamente calibrato per il calcio moderno.

 



 

Si tratta di un centrale forte fisicamente e devastante nel colpo di testa, nonostante non arrivi al metro e 85. Carismatico e aggressivo, è perfetto nel permettere alla sua squadra di mantenere una linea alta, nel poter difendere in avanti grazie ai suoi anticipi e alla reattività nell’uscire dalla linea per accorciare sull’avversario.

 

Se però a ventisei anni, e nonostante sia dominante nelle giornate buone, si trova ancora alla Real Sociedad è perché ha anche enormi lacune difensive in marcatura, oltre che nel capire alcuni concetti della difesa di squadra in area di rigore. Perde facilmente la concentrazione e la lucidità, facendosi prendere dall’agonismo che lo porta anche a commettere errori clamorosi.

 



 



 

Arrivato in prestito come “fratello di Lucas Hernández”, Theo ha stupito per l’importanza ricoperta nel gioco della sua squadra (che ha chiuso nona da neopromossa: vera sorpresa della Liga) e per le sue prestazioni in alcune grandi partite. L’Alavés difendeva con un blocco molto basso e, una volta recuperata palla, Hernandez doveva far guadagnare metri alla squadra attraverso la forza atletica delle sue transizioni.

 



 

Col tempo ha anche affinato le letture, riuscendo ad entrare in campo e a muoversi negli spazi di mezzo. Una caratteristica non così comune per un terzino diciannovenne.

 

Pur essendo un terzino, se Theo non gira tutto il sistema offensivo della sua squadra si inceppa, arenandolo nel velleitario lancio lungo verso la punta. Se Theo funziona diventa invece un ariete lanciato verso le mura nemiche. Non è un caso se il Real Madrid si sia subito attivato andando addirittura a parlare con i rivali dell’Atlético che ne detengono il cartellino pur di farne l’erede di Marcelo.

 

 



 



 



 

Dei giocatori bruciatisi nel passaggio al Real Madrid in questi anni Illarramendi è il caso più importante. Doveva essere l’erede di Xabi Alonso, e invece in pochi tempi è stato circondato da una nube di dubbi: è un giocatore limitato? incompreso? timido o semplicemente non gli interessa giocare a pallone?

 

Il ritorno a casa, alla Real Sociedad, ha necessitato di un periodo di adattamento, ma questa stagione è stata la migliore della sua carriera in termini di gioco e prestazioni.

 

A ventisette anni “Illarra" è un giocatore maturo, sceso a patti con il passato e soprattutto con la realtà che il mediocentro (come viene chiamato in Spagna il centrocampista davanti alla difesa) deve più che altro aiutare chi gli sta attorno. Illarramendi si muove partendo dal presupposto di rendere più facile il lavoro di tutti nella costruzione della giocata, nell’uscita del pallone dalla difesa, nell’iniziare la transizione offensiva.

 



 

L’allenatore Eusebio è stato ben felice di costruirgli attorno un sistema in grado di aiutarlo perché stabile e preciso nel gioco di posizione, in grado di dargli sempre punti di riferimento quando gira la testa. La ritrovata serenità ha fatto il resto: l’anticipo e la pressione con i tempi giusti (i suoi pregi migliori), la libertà di uscire ogni tanto dagli schemi (come il bel gol contro l’Espanyol), il premio meritato del ritorno in Nazionale.

 



 



 

Marcos Llorente è il motivo principale della tenuta difensiva dell’Alavés quest’anno. La cosa più sorprendente di Marcos Llorente è la sua completezza: non esiste un solo aspetto del suo gioco che non sia almeno sufficiente, alcuni sono persino eccellenti. Il campionato giocato che il Deportivo Alavés in prestito dal Real Madrid è stato di quelli che svoltano le carriere.

A fare la differenza nel gioco di Marcos Llorente è soprattutto il lavoro senza palla. L’intelligenza nelle letture difensive, così inconsueta per un ventiduenne, ma anche la capacità di usare il fisico e di muoversi nelle posizioni del campo dove serve alla sua squadra. Come difendere in modo proattivo, muovendo lui l’attacco avversario e scegliendo con i suoi movimenti quando la squadra deve salire in pressione e quando deve aspettare.

 



 

Nonostante le limitazioni che un sistema così concentrato sulla difesa posizionale gli ha creato, così limitato al lancio lungo o alla transizione per conduzione del singolo, Llorente è apparso preciso nella gestione della palla. Sebbene non eccezionale nelle scelte come in fase difensiva. Ma ha la scusante di un dispendio mentale e fisico esagerato, sia nelle azioni difensive che in aiuto.

 



 



 

Jonathan Viera è un giocatore spettacolare, quando viene messo in condizione di giocare il suo calcio. Ha una visione di gioco speciale, che usa per fare filtranti geniali in continuazione. La sua tecnica raffinata in conduzione è tipica della scuola calcistica “canaria”, così come il suo estro. A ventisette ha finalmente trovato continuità e una collocazione tattica come enganche che si muove tra la mezzala sinistra e la trequarti, ricevendo tra le linee.

 



 

Viera è stato il miglior giocatore del Las Palmas in questa stagione. Non solo per i 7 gol e 7 assist ma per la costanza delle sue prestazioni. Non è stato incredibile solo nell’inizio positivo della squadra ma anche uno uno dei pochi a tenere in piedi la barca nel finale negativo. Viera sembrava destinato a sprecare il suo talento, ma in questa fase della carriera sta dimostrando di non essersi fatto trascinare dall’inerzia negativa, avvicinandosi un po’ all’idea che avevamo del suo potenziale. Quasi 3 passaggi chiave a partita, 2 dribbling riusciti, giocando sempre nella zona di campo più sensibile, nei mezzi spazi a ridosso dell’area di rigore. Una fabbrica di gioco offensivo creativo nella squadra più creativa della Liga.

 

 



 



 



 

Sono passati sette anni da quando Mourinho ha scavato una piccola fossa per la carriera di Pedro Leon, al debutto con il Real Madrid: «parlate di Pedro León come se fosse Zidane o Maradona o Di Stefano. Lui giocava col Getafe fino a due giorni fa». Pedro Leon ha iniziato la sua carriera stagnante in provincia, da cui ne è uscito con un fisico sempre più pesante e meno brillante. Il Getafe è retrocesso con lui, stella impotente e in declino della squadra.

 

In pochi ci avrebbero scommesso, ma il passaggio in estate al piccolo Eibar è stata la scelta più felice della sua carriera. Nella squadra basca, senza pressioni, Pedro León non ha propriamente ritrovato la forma fisica di un tempo, nonostante la pancia sia quasi scomparsa, ma diciamo che ha capito come dare nuova vita al suo gioco puntando tutto sulla tecnica e le sue letture.

 



 

La sua ottima tecnica di calcio (è uno dei migliori nel dare l’effetto giusto al pallone) e la capacità di dare la pausa hanno fatto la differenza in una squadra tarata per gli alti ritmi e troppo poco tecnica per essere efficiente.

 

Ha chiuso il campionato con 10 gol e 5 assist, crossando più di tutti in campionato e servendo più di 2 passaggi chiave a gara. Solo le limitate risorse offensive della squadra gli hanno impedito di arrivare in doppia cifra negli assist.

 



 



 

Pablo Piatti ha un gioco semplice, quasi ripetitivo. Zero ricami, raramente fuori dal registro iniziale, poche genialità e un dribbling meno efficace di quello che si possa pensare visto che parliamo di un argentino sotto il metro e settanta. I suoi numeri sono stati però di assoluto livello (10 gol e 10 assist) e sono la conseguenza dell’efficacia e della sua importanza nel sistema dell’Espanyol arrivato ottavo.

https://www.youtube.com/watch?v=gsSPQ9rY-7Q 

Il blocco basso dell’Espanyol utilizza Piatti come valvola di sfogo. Si appoggia alla sua conduzione per guadagnare metri quando il lancio lungo per la punta non è possibile. Piatti, da parte sua, si è quindi limitato a definire la giocata nella maniera più concreta possibile, in una squadra che ha fatto della concretezza la sua forza.

 

Sorprendente soprattutto la dedizione tattica con cui Piatti ha risposto all’attenzione alla fase difensiva dell’Espanyol, attento ad aspettare senza mai scomporre la linea qualsiasi tipo di attacco (è arrivato a 2 tackle per 90 minuti).

 



 



 

Il Barcellona ha speso 30 milioni per Paco Alcácer regalando Sandro al Málaga. Una scelta suicida dal punto di vista economico più che tecnico, che però ha significato la svolta nella carriera di Sandro. Alla prima stagione da titolare in Liga non solo abbiamo capito che attaccante sia Sandro fuori dal sistema Barça ma anche che questo attaccante è in grado di reggere da solo un attacco.

 

Sandro ha segnato in ogni modo i suoi 14 gol, dimostrandosi un attaccante ben più completo di quanto si potesse immaginare: gol in contropiede, in area di rapina, da fuori, su punizione, di testa. Una muscolatura più definita gli ha fatto acquistare uno scatto più potente sui primi metri, cosa che gli fa guadagnare un vantaggio notevole nei movimenti verso l’area e per trovare lo spazio. Il suo calcio in porta ora sembra viaggiare al doppio della velocità.

 



 

A soli ventuno anni ha fatto da riferimento su tutto il fronte d’attacco muovendosi per ricevere l’ultimo passaggio e andando oltre il ruolo di mero finalizzatore che sembrava quello a lui più adatto. Ora è in grado di fare la differenza sia in attacco posizionale che in transizione, sia come attaccante di manovra che finalizzatore.

 

Non è e non sarà mai un attaccante completo, l’altezza lo limita nel gioco aereo e la tecnica nel controllo nella conduzione del pallone. Ma adesso tutta la sua carriera ha una nuova prospettiva e ci sono ancora margini di crescita. Lo stesso Málaga non si aspettava un tale livello di gioco, tanto da aver accettato a suo tempo una clausola di rescissione di soli 6 milioni per liberarlo, un errore costato gravissimo perché ha portato Sandro ed essere carne fresca per gli squali del mercato non appena è finita la stagione.

 

 

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