Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Daniele V. Morrone
Il top XI dell'URSS
04 nov 2018
04 nov 2018
Sacha ci ha chiesto qual è l'undici ideale della storia dell'Unione Sovietica. Risponde Daniele V. Morrone.
(di)
Daniele V. Morrone
(foto)
Dark mode
(ON)

Cara redazione, a me sembra che la memoria calcistica sia troppo eurocentrica e ci stiamo perdendo per strada movimenti che hanno fatto la storia del calcio come quello sovietico, capace di tirare fuori 3 Palloni d’Oro. A questo proposito, quale potrebbe essere la Top XI che racchiude i migliori calciatori sovietici di sempre?

 

Sacha

 



Ciò che affascina della scuola calcistica sovietica, che è forse il motivo inconscio per cui mi hai fatto questa domanda, è la diversità rispetto a quella Europea. Una diversità generata innanzitutto dall’assenza di ogni contatto tra le due. Quella sovietica è una scuola quindi per forza di cose autodidatta dal punto di vista tattico. Al contempo però è la prima scuola calcistica multiculturale in Europa: da sempre influenze diversissime, provenienti dalle diverse culture che popolavano l’URSS, coincidevano nello stesso luogo. Sappiamo quanto la multiculturalità nel calcio aiuti lo sviluppo perché permette a diversi modi di interpretare il calcio di competere tra loro e migliorarsi. Il calcio sovietico quindi rappresenta un vero e proprio mondo a parte, con la grandezza di una federazione continentale e tutto quello che ciò comporta. Ad esempio giocatori costretti a muoversi tra campi nelle metropoli o in cittadine a migliaia di chilometri di distanza.

 

E se sotto Stalin l’importanza di apparati statali alle spalle di alcune squadre come Dinamo Mosca (che faceva riferimento in sostanza al ministero dell’interno e quindi alla temuta polizia segreta) o CSKA Mosca (all’Armata Rossa) ha causato una concentrazione di talento nella capitale; le maggiori autonomie regionali del post-stalinismo hanno favorito la crescita e lo sviluppo di una generazione compatta di giocatori in cui i migliori difficilmente venivano presi dalle grandi. L’assenza di un’economia di mercato dava pochi incentivi.

 

Ad anni in cui si sono alternate le squadre della capitale a giocarsi il titolo sono seguiti altri in cui è venuta fuori l’egemonia ucraina della Dynamo o, ancora, la generazione georgiana nella Dinamo Tbilisi o, in modo ancora più incredibile da pensare ora,l’armena Ararat Yerevan. Se nel calcio italiano è una rarità che i giocatori che militano in piccole squadre dicano no al trasferimento in una grande - pensiamo al caso di Gigi Riva che rifiuta la Juventus - nel calcio sovietico è quasi la normalità. Per come va il mondo ora, come non esisterà mai più un Cagliari come quel Cagliari Campione d’Italia,  non esisterà mai più una Dinamo Tbilisi come quella vittoriosa della Coppa delle Coppe.

 

L’ultimo Pallone d’Oro di quella zona del mondo è Andriy Shevchenko, figlio del calcio sovietico pur avendo giocato solo dopo la dissoluzione dell’URSS. Ricostruire una top XI del calcio sovietico è utile perché permette di ricordare nomi persi nel tempo di un calcio in cui le scuole eredi di quella sovietica hanno perso - per troppi motivi da poter riassumere qui - la capacità di tirare fuori un altro Sheva. Ci sono alcune premesse da fare però prima di iniziare:

 

L’assenza di video è un vero peccato: abbiamo poche immagini di tanti giocatori magnifici,  e per questo pezzo mi ha costretto a fidarmi molto dei giudizi dell’epoca. Per semplificare la mia scelta preliminare ho deciso di escludere dall’undici i pionieri degli anni ’20-‘40 perché sarebbe stato veramente troppo difficile scegliere solo attraverso racconti di un’epoca tanto lontana in cui inoltre la selezione dell’URSS ancora non disputava tornei internazionali. Per quanto quindi non può essere assolutamente negata l’importanza di figure come i fratelli Starostin ho scelto solo giocatori che provengono dalla vittoria dell’Olimpiade di Helsinki del ’52 in poi. Per capirci, dalla prima competizione internazionale giocata dalla selezione dell’URSS.

 

Devo premettere poi che la formazione scelta è stata fortemente influenzata dall’enorme figura di Lobanovskyi, che ha plasmato il calcio sovietico traghettandolo verso la modernità attraverso il suo lavoro con la Dynamo Kiev dagli anni ’70 in poi. Lo stesso Lobanovskyi ha contemporaneamente allenato anche la URSS (a fasi più o meno alterne dal ’75 fino al ‘90) e ha quindi imposto l’idea che la squadra fosse più importante delle singole parti. Lobanovskyi ha costruito per anni un blocco compatto di giocatori in cui lasciava fuori giocatori magari più talentuosi, ma difficili da inserire nel suo sistema molto codificato.

 

La sua visione del calcio, basata principalmente sul principio di universalità, è diventata quindi quella che più di tutte ha influenzato il calcio sovietico, il modo di sviluppare il talento nelle giovanili e quella a cui va immediatamente la nostra mente quando pensiamo a come giocavano le squadre sovietiche negli ultimi vent’anni della loro storia.

 

Per rendere giustizia però anche a una visione del calcio sovietico differente, se vogliamo più romantica perché ancorata al puro aspetto tecnico, ho scelto di schierare la formazione con un trequartista. Il calcio sovietico dell’egemonia di Lobanovskyi ha costruito un’immaginario calcistico fatto di giocatori androidi, ma così abbiamo davanti solo metà della storia: il calcio sovietico è stato da sempre anche il campo di rifinitori tecnici e anarchici e di ali dribblomani fedeli solo alla loro arte. Se la top XI deve essere l’insieme dei migliori giocatori prodotti dalla scuola sovietica allora deve necessariamente trovare spazio anche per queste figure qui. Soprattutto visto che hanno segnato l’età d’oro della scuola sovietica.

 

Prima di iniziare un’ultima cosa: per evitare confusione nelle diverse versioni con cui si traslitterano i nomi dal cirillico, ho scelto quando possibile la forma più vicina alla pronuncia italiana, dove quindi Олег Блохин non è la versione inglese “Oleh Blokhin” ma “Oleg Blochin”.

OK ecco qui la top XI dei giocatori sovietici:

 



 



Il ruolo di portiere non è stato meno semplice da scegliere quanto possa sembrare. La scuola dei portieri sovietici è sempre stata tra le migliori e c’è sempre stato un grande dibattito tra chi gli preferisce Jashin o Dasaev. Il secondo è stato probabilmente il miglior portiere degli anni ’80 e rappresenta meglio di ogni altro la tecnica del portiere sviluppata dalla scuola sovietica, ma Lev Jashin è una figura senza paragoni per influenza nella storia dei portieri in generale. Il fatto che abbia vinto il Pallone d’Oro è forse il miglior attestato della sua unicità. Un brand costruita attorno alla sua maglia sempre nera, a una stazza fuori dal comune per l’epoca (190cm)e il modo con cui guida la sua difesa uscendo anche fuori dall’area per giocare con i piedi. Jashin ha creato l’archetipo del portiere moderno quando ancora questo non esisteva.



La difesa invece è stata semplice da compilare perché le categorie in questo caso sono ben definite: nella storia del calcio sovietico i due terzini della Dynamo Kiev di Lobanovskyi fanno gara a sé. Parlo di Vladimir Bessonov a destra e di Anatoliy Demyanenko

a sinistra, due giocatori che sanno interpretare le fasi di gioco sia con la palla che senza, ma che si muovevano in modo complementari tra loro: più offensivo Demyanenko, che a volte è stato schierato anche direttamente esterno e più difensivo Bessonov che si occupava anche della marcatura.

 

Molto semplice anche scegliere il primo difensore centrale perché Albert Shesterniov è apertamente riconosciuto come uno dei migliori della storia del calcio. A discapito del soprannome di “Ivan il Terribile” è sempre stato calmo e posato, in campo come fuori. Un libero dal gioco cerebrale famoso per la velocità nelle coperture (da ragazzo correva i 100m in 11 netti). Più giovane debuttante della storia del CSKA (17 anni), più giovane capitano (dai 21 anni), gioca per la squadra dell’Armata Rossa tutta la carriera.

 

Per rendere l’idea del suo livello secondo i contemporanei, per tre anni dal ’68 al ’70 è entrato sempre nella top 15 del Pallone d’Oro. Più difficile invece è stato scegliere il compagno di reparto tra i due georgiani Murtaz Khurtsilava e Aleksandre Chivadze, perché rappresentano entrambi i migliori interpreti della loro epoca ed entrambi sono fondamentali per permettere alla Dinamo Tbilisi di vincere il suo primo campionato sovietico (con Khurtsilava nel ’64) e la sua prima coppa continentale (con Chivadze nell’81). Anche per interpretazione del ruolo e importanza con la selezione dell’URSS siamo lì. Visto però che la Federazione Georgiana stessa ha scelto nel 2003 Khurtsilava come miglior giocatore della sua storia mi fidiamo di loro e metto Chivadze in panchina.

 



Il centrocampo è necessariamente formato da Valery Voronin e Igor

Netto,

due moscoviti che come i consoli romani avevan o il compito di spartirsi il lavoro e guardarsi a vicenda. Voronin è un centrocampista che nei dieci anni di carriera tutti spesi alla Torpedo Mosca negli anni ’60 ha estasiato il pubblico per la sua universalità (e contribuito anche a due campionati nel ’60 e nel ’65) e per la sua figura un po’ intellettuale e un po’ bohémien. Voronin era un amante del jazz e della letteratura straniera. Forse per questo veniva accusato di individualismo. Accanto quindi ci vuole un regista totalmente votato all’ordine in campo come Igor Netto, membro della generazione d’oro campione dell’Europeo nel ’60, e vero e proprio ossessionato dal calcio associativo giocato dalla sua Spartak a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.

 

Netto era famoso perché capace di strillare in campo quando un compagno provava un lancio lungo casuale invece che giocare palla a terra. Chiedo scusa quindi a Lobanovskyi di non aver scelto i due Dioscuri della sua Dynamo negli anni ’70. Per talento, complementarietà, carriera fatta e aderenza all’ideale sovietico dominante di cosa doveva essere un centrocampista moderno Vladimir Muntyan e Leonid Buryak sarebbero potuti tranquillamente essere i due titolari e sono quindi le due riserve a centrocampo.

 



Ed eccoci al pomo della discordia della scelta di un trequartista, dove ho scelto Eduard Streltsov, il giocatore di maggiore talento della generazione d’oro. Fuori dal campo autentico golden boy del calcio sovietico, amato e bramato da tutti. Una carriera spezzata a metà a soli vent’anni, deportato nei gulag. Non sapremo mai quanto sarebbe stato forte Streltsov non fosse successo tutto quanto quello che lo ha poi reso un personaggio leggendario del calcio sovietico. Ci rimangono immagini di un giocatore tornato in campo a 28 anni fisicamente e mentalmente provato dai lunghi anni di prigionia e lavori forzati. Un giocatore con la schiena curva, i capelli radi e il fiato corto, che però si permette cose mai viste all’epoca e riesce comunque a vincere immediatamente il titolo con la Torpedo, oltre che il premio di calciatore sovietico dell’anno per due anni consecutivi.

Come attaccante esterno a destra ho preferito Valentin Ivanov a Igor Belanov sempre per il discorso della longevità. Per quanto per un biennio Belanov abbia raggiunto vette più alte di Ivanov in termini di riconoscimento internazionale (tanto da vincere il Pallone d’Oro nel 1986 al termini di una stagione fantastica), per dieci anni Ivanov è i suoi dribbling hanno segnato la storia dell’epoca d’oro della Torpedo orfana di Streltsov e dell’URSS con cui ha vinto anche l’Europeo del ‘60 e detenuto il record di gol che ha tenuto fino agli anni ’80.

 

Record battuto non a caso da Oleg Blochin, il miglior calciatore offensivo uscito dalla scuola sovietica, un talento assurdo con la velocità di un centometrista, tremendamente attuale nello stile di gioco. Se Lobanovskyi è l’equivalente sovietico di Rinus Michels, allora Blochin è il suo Cruyff: non è chiaro quanto uno abbia influenzato l’altro per aggiustare il proprio stile di gioco e soprattutto per portare la squadra alle vette raggiunte. Primo Pallone d’Oro sovietico tra i calciatori di movimento e primo a rompere la piena egemonia del duopolio Cruyff-Beckembauer, Blochin è inoltre il calciatore con più presenze e più gol della storia della selezione dell’URSS, ha vinto 8 campionati sovietici diventando 5 volte capocannoniere.

 



Come punta ho scelto Oleg Protasov, forse la prima punta moderna sviluppata dalla scuola sovietica, sicuramente la migliore. Il centravanti perfetto per il calcio di voluto da Lobanovskyi perché in grado di garantire pressione e movimenti intelligenti con i compagni di reparto. Lobanovskyi ha potuto allenarlo solo con l’URSS (con cui è diventato il secondo miglior marcatore di sempre) mentre Protasov vinceva il primo storico titolo sovietico con la Dnipro e segnava gol a raffica (95 in 145 presenze).

 

Protasov è la punta dell’URSS che a fine anni ’80 stupisce prima il mondo in Messico e poi arriva ad un passo dal secondo titolo continentale nella finale contro l’Olanda di Michels. Contemporaneo non a caso di Van Basten, Protasov è la cosa più vicina all’archetipo dell’attaccante fisicamente prestante, ma intelligente ed elegante in campo. Una figura uscita da due mondi separati arrivati evidentemente allo stesso grado evolutivo ma da basi differenti.

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura