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Tifone Knicks
09 feb 2016
09 feb 2016
Phil Jackson ha deciso di licenziare il suo discepolo Derek Fisher: ma in che direzione vogliono andare i New York Knicks?
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“Oh, i New York Knicks: se non ci fossero bisognerebbe inventarli” staranno pensando i media americani. Con la fine del Super Bowl e la combo All-Star Game + Trade Deadline ancora a giorni di distanza, questo periodo di transizione rischiava di diventare un momento morto per la NBA. E invece ecco arrivare puntuale il tifone Knicks a regalare una pioggia scrosciante di notizie, opinioni e retroscena: coach Derek Fisher è stato licenziato per volere del presidente e suo mentore Phil Jackson.

Ieri pomeriggio l’Internet ha preso fuoco più per il timing dell’esonero che non per la decisione in sé. In questi casi Twitter diventa terra di nessuno e anche gli analisti più quotati sono incapaci di mettere in ordine le proprie idee, finendo per cavalcare l’onda dello stupore generale con tweet che non si discostano tanto dal tifoso medio che apprende della notizia quando ancora in metro. È ancora abbastanza presto per razionalizzare quanto accaduto e il campo è quindi libero per chiunque voglia prendersi 15 minuti di fama, sparando il nome più assurdo o la teoria del complotto migliore.

Nel tumulto generale, Dennis Rodman svetta (e big up per il suo social media manager)

Con l’ufficialità della nomina di Kurt Rambis a capo allenatore ad interim, la direzione del tifone comincia a cambiare: scegliendo lo storico assistente, i Knicks hanno confermato che non si tratta di un reset totale al progetto Phil Jackson. In altre parole, il Triangolo rimane. Stabilita questa cosa, si può finalmente provare a mettere ordine alla questione: addirittura lo stesso coach Zen ha deciso di scendere dalla montagna e parlare ai cronisti per la prima volta dal training camp. Quel che è stato detto nella lunga conferenza di Jackson chiarisce molti aspetti della questione ed il modo migliore per analizzare l’affare Fisher deve necessariamente partire proprio da qui.

Le parole dello Zen Master

Quanto detto dal Presidente dei Knicks chiarisce prima di tutto che la decisione è stata sua ed unilaterale, sgomberando ogni dubbio sul suo livello di interesse nel futuro della squadra (lui che non vive neanche a New York). Quindi non si tratta di una scelta dell’infausto proprietario James Dolan, e già questa è una notizia. Phil ha anche dichiarato di essersi consultato con il GM Steve Mills negli ultimi giorni prima di prendere la decisione, che ha comunicato al proprietario solo domenica a cena per avere il via libera. Almeno questa parte delle dichiarazioni deve tranquillizzare quindi i tifosi sul fatto che, se proprio si deve affondare, lo si fa con Phil Jackson come capitano della nave e non in versione Schettino.

Anzi, proprio la voglia da parte di Phil Jackson di mandare avanti il progetto che lui ha iniziato in estate costruendo una squadra di rispettabili giocatori di ruolo attorno alla stella Carmelo Anthony è la causa principale che ha portato alla decisione: dalle parole di Jackson si capisce che le visioni del progetto da parte sua era in conflitto con quelle di Fisher. In modo netto.

“Siamo una squadra in via di sviluppo con tantissimi nuovi giocatori. Non ci sono tante squadre di élite che dipendono dai rookies per andare avanti. Quindi dobbiamo essere ragionevoli su chi siamo e dove siamo, accettare la cosa e non farci prendere da cosa potremmo essere, lasciando agli altri la definizione di cos’è il successo”. Con queste parole Fisher ha provato a calmare la terra sotto i suoi piedi, dopo un periodo nero in cui una squadra, non appena raggiunto il 50% di vittorie sul 22-22, ha finito per perdere 9 delle ultime 10 partite. L’opinione di Fisher era che i Knicks sono una squadra giovane da sviluppare, e che quindi è normale perdere delle partite: il successo per i Knicks dovrebbe essere il processo di sviluppo e non il record di vittorie. Ovviamente questa cosa non rispecchia assolutamente la realtà del roster e dimostra quanto fosse ampia la distanza tra Phil Jackson e Fisher sulla concezione della squadra.

L’analisi di BballBreakdown.com

A tal proposito, ecco cosa ne pensa un allenatore avversario, Stan Van Gundy dei Pistons: “Sono una buona squadra, una squadra di veterani. Hanno Porzingis, ma quando sono tutti sani schierano quattro veterani attorno a lui. Mi viene un po' da ridere quando si parla di loro come una squadra giovane da sviluppare. Non ero a conoscenza che Robin Lopez, Carmelo Anthony, José Calderon e Arron Afflalo siano così giovani. L’ho letto e… Wow. Forse in generale in questa società i ragazzi intorno ai 30 sono giovani”.

Viene naturale pensare che l’opinione di Phil Jackson sia più vicina a quella di SVG, ed è quindi qui che Fisher si è praticamente scavato la tomba da solo, andando davanti ai microfoni a confermare di non aver esattamente chiaro cosa siano ora i Knicks. La scorsa stagione sì che erano una squadra piena di giocatori da sviluppare e che aveva il diritto (o forse il dovere, visto che avrebbero tenuto la loro scelta in Lottery) di perdere molte partite, perché tanto l’obiettivo era capire chi potesse far parte del progetto Jackson. Ma l’estate ha determinato un altro tipo di roster, in cui il quintetto (tranne Porzingis) è formato da veterani nella parabola discendente della carriera e in cui le riserve sono altri mezzi-veterani insieme a rookie “finti” come Jerian Grant, che di anni ne ha comunque 23.

Il periodo nero di 9 sconfitte nelle ultime 10 partite, unito al pattern sempre uguale delle partite dopo il ritorno di Melo — inizio delle gara subendo un’imbarcata dai rivali, rimonta nel terzo quarto e sconfitta finale quando la gara diventa punto a punto — è stato usato da Jackson come motivo principale per far scattare la decisione: “Era il momento per noi di fare un cambiamento, girare questa squadra e andare avanti e prendersi qualche vittoria”

Ma nonostante le previsioni iniziali di una squadra da 30 vittorie siano tranquillamente alla portata anche dopo le ultime tremende partite, la realtà è che a Jackson, più del record, sembra interessare la capacità di essere competitivi e di farlo utilizzando il sistema scelto, il Triangolo. Per ammissione dello stesso Jackson, il fatto che i Knicks di Fisher, oltre a non essere efficaci nell’utilizzo di quel sistema, sembrano non essere in grado di vincere le partite punto a punto dimostra una mancanza imperdonabile da parte dell’Allievo. Perché è nelle partite punto a punto che il peso delle decisioni dell’allenatore diventa fondamentale. È bene notare, però, che i Knicks hanno imparato a riprendere le partite proprio quando hanno deciso di abbandonare il Triangolo, provando più pick and roll e transizioni — a dimostrazione del fatto che Fisher si stesse discostando in maniera “imperdonabile” (agli occhi di Jackson) dal sistema, ma non senza un vero motivo tattico. L’anno scorso, quando in conferenza stampa è stato chiesto a Fisher se, libero da imposizioni, avrebbe scelto il Triangolo come sistema offensivo per la sua squadra, è sembrato veramente in difficoltà nel rispondere. E il campo alla fine ha finito per dimostrarlo.

Il momento nero è reale.

Questo discostarsi dalla retta via è stata notata da Jackson anche nel rapporto diretto con lui (a quanto pare assente, visto che si parlavano solo per mail) e con gli assistenti più esperti messi alle dipendenze di Fisher. Phil ha parlato di come Fisher non abbia mai realmente seguito le indicazioni degli assistenti (che evidentemente seguivano direttamente quelle del grande capo) e che addirittura una volta non ha neanche convocato una seduta video post sconfitta con i Nets.

Inoltre Fisher con l’affaire da giornali scandalistici con Barnes (che Phil ha definito imbarazzante) aveva da tempo perso il proprio ascendente verso la squadra, che proprio perché fondata da veterani non vedevano più in lui un allenatore da rispettare.

Insomma, il quadro che ne esce è che l’allenatore dei Knicks, nonostante il ricco e lungo contratto da 25 milioni in 5 anni (bonus inclusi), aveva comunque la data di scadenza a fine stagione e che la decisione è arrivata in questo momento per l’unione di tutti questi eventi per nulla sconnessi tra di loro. Ora Jackson ritiene che, avendo affidato la panchina ad un altro fedelissimo, la squadra possa concludere la stagione mostrando perlomeno di poter essere sempre competitiva, così da presentarsi sul mercato dei free agent in modo migliore rispetto alla scorsa, quando tutti i big sono rimasti alla larga da un contesto che veniva ritenuto (a ragione) ancora perdente.

Dove si va con Rambis?

Detto questo, Kurt Rambis è l’uomo giusto? Beh, il record da capo allenatore è addirittura inferiore a quello di Fisher e il roster a disposizione non ha grandi margini di miglioramento, e visto che (per ammissione di Jackson) Melo e Porzingis sono gli unici incedibili, la squadra non ha reali asset per andare sul mercato e trovare qualcosa di significativo entro la trade deadline di settimana prossima. Soprattutto, le uniche note positive di questa stagione (tolte le due stelle) sono Langston Galloway e Lance Thomas — che però, avendo contratti di poco conto, non porterebbero comunque nessun giocatore in grado di spostare gli equilibri in campo.

Senza nuovi giocatori in arrivo, l’allenatore dovrà comunque affrontare gli stessi problemi di Fisher: il declino fisico di Melo (che sta compensando con un gioco decisamente più utile alla squadra, ma che non riesce più ad essere uno scorer dominante); l’inutilità di Afflalo se non come realizzatore (e il suo esserlo in modo discontinuo); il problema dell’immobile Calderòn; e la prevedibilità dell’apporto di Robin Lopez (ottimo come protettore del ferro, semplicemente nella media in attacco). Qui non credo che Rambis possa pescare un coniglio dal cilindro visto che, tolti i due nominati Galloway e Thomas, O’Quinn ha il minutaggio limitato dall’esplosione di Porzingis, Jerian Grant è ottimo nel pick and roll ma non sa tirare né concludere al ferro e Derrick Williams… è Derrick Williams, più un running back del football americano che un giocatore di basket pensante. Il peso di Rambis quindi dovrà essere nella gestione delle rotazioni e dei finali di partita, dove però il passato a Minnesota non porta certo buoni ricordi.

La scelta di licenziare Fisher ora è stata presentata da Jackson in modo coerente, ma non è detto che sortisca l’effetto voluto — se non per quanto riguarda lo stile di gioco, che tornerà ad essere più ortodosso. Che questo porti anche ad un cambiamento nella competitività della squadra risulta difficile pensarlo, ma ormai il dado è tratto.

Per il futuro poi se ne riparlerà in estate, quando al nuovo allenatore verrà probabilmente regalata una point guard dal mercato (sul quale NY ha il vantaggio di essere una delle poche squadre alla ricerca di un playmaker) e qualche aggiustamento minore. Ma quale sarà il nuovo allenatore? Perché si ripresenteranno i problemi avuti nell’estate 2014, cioè trovare un coach che sia un ex protetto di Jackson, cosa che esclude dalla lista i Tom Thibodeau o gli Scott Brooks del caso. Il mazzo di nomi da cui pescare è realmente limitato, essendo i discepoli del Triangolo verosimilmente 4 o 5. E di questi 4 o 5 uno era proprio Fisher, uno era Steve Kerr (che ha già rifiutato i Knicks per vincere il titolo con Golden State… chiamalo scemo) e uno è Brian Shaw, che viene da un’esperienza tragicomica a Denver. L’unico altro nome rimasto sembrerebbe Luke Walton, l’assistente di Kerr che ha allenato i Warriors durante l’assenza del capo allenatore: Walton ha già dichiarato che non pensa di andare sul mercato prima di quest’estate, ma i Knicks non sono certo l’unica squadra che ha messo gli occhi su di lui, visto che anche la panchina dei Lakers (verosimilmente) sarà disponibile.

Nel caso in cui dovesse sfuggire anche Walton, è veramente impossibile pronosticare cosa potrebbe fare Jackson. Quello che è sicuro è che la stampa di New York non vede l’ora che l’estate arrivi per poterne parlare.

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