
Sembrava scritto. La mano invisibile del “dio del calcio” che fa arrivare la palla sui piedi di Thomas Muller a una manciata di metri dalla porta avversaria, il giorno della sua ultima partita con la maglia del Bayern Monaco, la sua trecentocinquantacinquesima (certi numeri vanno scritti a lettere per capirne l’enormità) partita in casa.
Il Bayern stava già vincendo uno a zero con il Borussia Mönchengladbach, il secondo tempo era iniziato da dieci minuti. Laimer ha portato palla dalla trequarti di destra verso il centro, dove ha trovato Muller piantato spalle alla porta per fargli la sponda. Poi Laimer è andato a sinistra, da Coman, che è rientrato anche lui verso il centro per calciare in porta. Il tiro di Coman, contrastato, smorzato, passa rimbalzando piano piano al centro dell’area e arriva davanti a Thomas Muller, solo davanti al portiere.
Quante volte si è trovato in una situazione del genere, Muller? Quante volte si è mosso verso un rimbalzo, una deviazione, che avrebbe dovuto solo spingere in porta? Anche in questo caso se guardate solo Muller, mentre Laimer e Coman gestiscono il pallone, lo vedrete camminare in area di rigore come un flaneur che legge le scritte sui muri, finendo oltre la linea difensiva con un tempismo e un senso della posizione che sembrerebbe innato, da rabdomante. Stavolta però Muller si coordina, calcia di sinistro, e il portiere - Jonas Omlin - para.
Sarebbe potuto essere l’ultimo gol di Thomas Muller, nella sua ultima partita in casa con la maglia del Bayern Monaco. Il pubblico bavarese aveva adattato il coro “Forza Bayern facci un gol” in “Forza Muller facci un gol”, ma in fin dei conti questa occasione ci ricorda la vera grandezza di Thomas Muller: arrivare dove è arrivato, vincere quello che ha vinto, senza che sembrasse davvero merito suo. O, almeno, senza che sembrasse dipendere interamente da lui.
«So che visto dall’esterno può sembrare un brutto momento, ma dal mio punto di vista è un momento felice». Muller è stato sostituito a pochi minuti dalla fine, il pubblico dell’Allianz Arena si è alzato in piedi e a fine partita gli è stato dato un microfono. Ha iniziato con una freddura: «Sapevamo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato… abbiamo riportato il Meisterschale a Monaco!». Avrebbe quasi potuto fermarsi lì, sarebbe stato tipico del suo personaggio festeggiare il suo tredicesimo campionato vinto (su diciassette) anziché congedarsi con un po’ di sentimento. Rimarcare l’incredibile, straordinaria, totalmente inattesa, vittoria del Bayern Monaco dopo che il Bayer Leverkusen ha osato, la scorsa stagione, interrompere la striscia di undici primi posti consecutivi.
Invece il sentimento è arrivato. Anche se non nella forma che di solito ci aspettiamo, non c’è stata tristezza, non ci sono state lacrime. Al loro posto: denti. Molti denti, troppi denti. I denti appuntiti da predatore carnivoro - ma anche un po’ buffi come i denti di Mike Wazowski, il mostriciattolo verde con un occhio solo e le braccia lunghe di Monsters & Co. - i denti sempre un po’ gialli di Thomas Muller. Li abbiamo visti dopo tutti i suoi gol, ce li ha sbattuti in faccia ogni volta, e noi abbiamo preferito fissarci su quelli piuttosto che sul suo sguardo da invasato. «Non sono sempre una persona facile, posso essere troppo intenso. Ma alla fine faccio sempre l’occhiolino».
Lui sarà stato anche troppo intenso, ma noi lo abbiamo preso troppo sul serio. La solita storia del calcio come questione più importante tra quelle meno importanti. Chi più di Muller ha saputo concentrare su di sé quel misto di fascino e odio che proviamo nei confronti degli avversari che temiamo di più? E lo ha fatto senza darci qualcosa da temere di preciso, se non la sua generale bravura nel giocare a calcio. Si può diventare uno dei migliori calciatori della propria generazione semplicemente capendo il calcio meglio degli altri?
Persino nel video tributo che gli ha dedicato il club molti dei gol mostrati Muller li segna da pochi metri, se non proprio a porta vuota. Di lui scrivevo, qualche anno fa: "Un calciatore così forte eppure così poco dotato tecnicamente, che ha vinto così tanto (dieci campionati, due Champions, un Mondiale, una Scarpa d’Oro della Coppa del Mondo) senza apparentemente avere niente di speciale, deve per forza aver fatto il patto col diavolo, altrimenti non si spiega. E poi basta guardarlo, Müller è scoordinato, sempre un po’ storto, fuori equilibrio, con i polpacci troppo piccoli persino per tenere su i calzini, la sua efficacia sembra davvero magica, un sortilegio".
E questo ce lo ha fatto ammirare ma anche odiare ancora di più. Non ci sembrava migliore di noi - ci sbagliavamo, ovvio che ci sbagliavamo - eppure aveva il potere di farci soffrire. Non potevamo vendicarci se non insultandolo, parlando male di lui, augurandogli altri dieci sconfitte come quella subita proprio contro il Mönchengladbach in Coppa di Germania, 5-0, nel 2021. Altre dieci finali perse come quella con l’Inter in Champions nel 2010, o quella persa ai rigori con il Chelsea della stagione 2011/12. Altri mille Mondiali in cui la sua Germania viene eliminata nel girone perdendo con il Giappone, come successe nel 2022. Poca roba, in ogni caso, rispetto a tutto quello che ha vinto, a quanto è stato straordinario non solo per un paio di stagioni, ma per diciassette lunghi anni in cui ha sempre giocato quaranta-cinquanta partite.
È stato un bel discorso. Muller ha ringraziato il pubblico, lo stadio «sempre pieno, sempre pieno». Gli mancherà fare gol davanti a quel pubblico, certo, ma usa la prima persona plurale quando pensa al futuro: «qui dentro festeggeremo ancora». Non sappiamo cosa ne sarà di Muller nell’immediato futuro - Stati Uniti, forse - ma sappiamo già che quello di lungo termine sarà con il Bayern Monaco, in un modo o nell’altro. Il suo carisma, d’altra parte, è sempre stato a metà tra il calciatore e il dirigente. Non ha mai avuto, neanche a diciotto anni, il fascino degli sportivi, era la luce di furbizia e intelligenza nei suoi occhi a farcelo rispettare. Ha preso in giro Musiala - dopo aver ricordato Ribery che voleva mettergli i calzini sudati in faccia, o una cosa del genere - imitando le sue mosse a basket come farebbe un nonno, neanche un padre. Sembrano pochi i loro quattordici anni di differenza.
Thomas Muller ha sottolineato quella cifra, 25, gli anni passati al Bayern Monaco considerando anche quelli da ragazzo, che è la stessa del suo numero di maglia - scelto fin dall’inizio, quasi fosse stata una premonizione - come una cifra incredibilmente grande. Una vita. Dal suo punto di vista parliamo proprio di questo: una vita nel Bayern Monaco. E chissà se succederà ancora, in una squadra di così alto livello, o se Thomas Muller è stato l’ultima bandiera del calcio moderno.
«Amo le persone, anche quelle con cui ho avuto discussioni accese», è andato avanti. Non aveva un discorso scritto da leggere e non sembrava essersi preparato niente di particolare. Non ha fatto nomi, a parte qualche compagno, non ha ricordato momenti speciali - forse ce ne sarebbero stati troppi. Ci ha tenuto a ricordare ai suoi compagni, ormai ex, che devono dare tutto, spingere forte, perché «c’è qualcosa di più grande in ballo di quello che immaginate».
Va a finire che abbiamo sottovalutato le sue qualità tecniche. Tecnica, in fin dei conti, significa saper fare. Utilizzare al meglio i propri strumenti per ottenere un determinato risultato. La Bundesliga tre anni fa gli ha dedicato un video: “Dieci gol tipici di Thomas Muller” e non si capiva se volessero prenderlo per il culo o celebrarlo - probabilmente entrambe le cose - mettendo in mostra la sua capacità di spingere la palla in rete in qualsiasi modo ce ne fosse bisogno, a volte di pura forza di volontà, ostinazione. Muller è come l’acqua, prende la forma del suo contenitore. Il suo corpo si piega agli angoli necessari per vincere rimpalli, respingere palloni in porta, deviarli con la dovuta precisione.
Non solo ha segnato dei bei gol - che richiedevano precisione, creatività, coordinazione, tiri a giro da fuori area, gol segnati con grandi controlli oppure al volo, gol in cui aveva angoli di tiro strettissimi, in cui la palla gli arriva sporca o in cui i difensori migliori al mondo facevano di tutto per ostacolarlo (il mio preferito è questo)- e fatto grandi assist, ma ha avuto un’influenza difficile da misurare su molte cose che hanno reso grande il suo Bayern.
Il racconto comune vede come “non del tutto sue” le vittorie di questi anni. Certo ha avuto ottimi compagni di squadra, allenatori, una forza economica alle spalle senza pari in Germania; ma è altrettanto vero che non gli vengono riconosciuti alcuni meriti di cui solo chi gli sta intorno può davvero rendersi conto. Non capiremo mai l’estensione della sua reale influenza, non potremo mai rendere merito alla totalità di un giocatore che era - come lo sono tutti, ma forse Thomas Muller più degli altri - corpo e mente insieme, atletismo e carattere, tecnica e pensiero.
Soprattutto, Thomas Muller è uno di quelli che sembra essersi divertito più degli altri a fare il mestiere di calciatore. «Mi è piaciuto, essere un gladiatore moderno. Mi è piaciuto far parte dello spettacolo. Ma non sono triste». Ha smesso di giocare al Bayern Monaco con uno dei suoi sorrisi rugosi, con quella stessa luce negli occhi che aveva dopo i gol, solo che stavolta gli serviva per illuminare i settantamila che lo applaudivano, per dare loro un ultimo messaggio positivo. «Guardo a quello che ci aspetta. Anche se non potrà essere bello nemmeno la metà di quello che ho avuto fin qui, sono contento. E spero che lo siate anche voi. Servus».
Servus è il saluto informale in tedesco, ma viene dal latino e significa letteralmente quello che sembra. E in effetti Thomas Muller ha sempre giocato a calcio come uno che si rende conto che lo sta facendo (anche) per altri. Che sta svolgendo un servizio - appunto: più grande di quanto immaginiamo. Tutto di Thomas Muller, la sua intensità e concentrazione, la sua devozione - al Bayern Monaco e alla Germania come al calcio in generale - ci dice che aveva sempre presente le ragioni profonde per cui si trovava su quel prato verde, circondato da decine di migliaia di sconosciuti. E se il dio del calcio a volte è stato gentile con lui, facendogli rimbalzare la palla davanti alla porta vuota, facendogli vincere un rimpallo con un portiere in uscita, è solo perché pochi lo hanno amato come Thomas Muller.