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Thibaut Pinot, eroe romantico
06 ott 2023
06 ott 2023
Nove momenti dalla sua carriera per salutare il suo addio.
(articolo)
15 min
(copertina)
IMAGO / Sirotti
(copertina) IMAGO / Sirotti
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C’è probabilmente solo una cosa che accomuna Thibaut Pinot e Victor Hugo. Uno, ciclista professionista, una figura che nell’Ottocento non era nemmeno immaginabile. L’altro, scrittore, poeta, letterato - tra i più importanti nella letteratura francese e mondiale ottocentesca la cui influenza riecheggia ancora oggi. L’unico modo per metterli nella stessa frase è notare che condividono la stessa zona d’origine: Melisey nei Vosgi il primo, Besancon nel Giura il secondo, due paesini separati da una settantina di chilometri scarsi. Insomma, Pinot e Hugo sono cresciuti nelle stesse terre, hanno respirato la stessa aria, figurativamente parlando.

È questa semplice suggestione a far assomigliare Pinot a molti degli straordinari personaggi de I Miserabili, ai miei occhi almeno. Forse sto esagerando ma credo che non sarebbe così strano trovarlo su una barricata a difendere le sudicie strade di Parigi di metà Ottocento e un minuto dopo disperarsi amaramente per un amore non corrisposto, salvo poi sacrificarsi per un amico in difficoltà. Così come non è strano ammirarlo, serio professionista in sella alla bicicletta a volte sanguigno, e subito dopo trasformarsi in un tranquillo ragazzo di montagna, innamorato della sua fattoria dove passa il tempo libero da impegni a due ruote, tra le sue amate capre, quasi delle figlie.

La carriera da professionista di Pinot è stata un saliscendi di picchi vertiginosi di eleganza e forza dirompente, seguiti o preceduti di crolli improvvisi, sconfitte tumultuose. Quello a cui abbiamo assistito in questi anni è stato lo svolgersi di un vero e proprio romanzo del romanticismo francese: nostalgico, straziante, pieno di speranza. Sabato, in Italia, il Paese che lo ha adottato, Pinot metterà il punto finale a questa storia. Lo farà a 33 anni, un’età relativamente giovane per uno sportivo, oggi.

La sua carriera è stata breve, quindi, ma densa di significato. Ho scelto quindi nove momenti in cui Pinot ha effettivamente ricordato uno dei personaggi di Hugo, momenti in cui la sua carriera è stata come la trama di un romanzo romantico, che poi credo è il motivo per cui ci appassiona così tanto parlarne.

1. La prima vittoria al Giro d'Italia

Pinot sboccia in Italia, alla prima partecipazione al Giro, nel 2017, con la splendida vittoria nella penultima tappa della centesima edizione della corsa rosa, sulle pendenze che portano all’altopiano di Asiago. Il francese arriva alla tappa conclusiva in montagna forte del quarto posto in classifica, e qui ha l’ultima chance per provare a centrare il podio.

Rimasto con il gruppo dei migliori tutto il giorno, è pimpante sui pedali durante l’ascesa verso Asiago, sempre in testa al gruppo degli inseguitori, scatta per primo per chiudere il micro-strappo fatto dalla coppia Quintana, in maglia rosa, e Nibali. Poi Pinot si mette sulle tracce del duo di testa, Il'nur Zakarin e Domenico Pozzovivo, e alla fine vince lo sprint, imponendosi davanti alla maglia rosa, Nibali, Pozzovivo e lo stesso Zakarin. Certo la gioia di vincere la prima tappa al Giro è smorzata il giorno dopo dalla brutta prova a cronometro dell’ultima tappa. Al traguardo Pinot si dichiara deluso perché si sentiva le gambe per poter centrare il podio, una costante che tornerà negli anni. Quella di Asiago è in ogni caso la prima vittoria nella corsa rosa, a cui parteciperà altre due volte, riuscendo sempre, nel bene e nel male, a lasciare una traccia.

2. La vittoria al Giro di Lombardia

Per Thibaut Pinot il 2018 sembra un anno drammatico, con la devastante conclusione del Giro d’Italia, troncato alla penultima tappa per un principio di polmonite. In realtà si rivelerà essere tra gli anni migliori per prestazioni e soprattutto risultati.

Poco prima del Giro, Pinot aveva corso, come spesso gli è capitato, il Tour of the Alps, ex Giro del Trentino, vincendo la classifica generale. Poi, dopo la batosta in Italia, era tornato roboante alla Vuelta con due vittorie di tappa. L’anno si è chiuso per l'appunto con la prestigiosa vittoria al Lombardia, centrando la consacrazione definitiva. Come Gavroche, il monello cresciuto per strada, dall’animo candido, altruista ma furbo e smaliziato, il ciclista francese conquista una vittoria perentoria, prima seguendo Vincenzo Nibali, vincitore dell’edizione precedente, per chiudere il buco fatto da Primoz Roglic sul muro di Sormano, e poi attaccando lo stesso siciliano sul Civiglio a 14 chilometri dal traguardo. Qui Pinot è abilissimo a sfruttare l’unico momento di debolezza di Nibali. Mentre appaiati si arrampicano sulla salita del Civiglio, il ciclista siciliano fa un gesto impercettibile con la testa e sbanda leggermente verso sinistra. Pinot se ne accorge, percepisce che lo squalo è in difficolta e lo attacca spietato, lì sullo stesso asfalto su cui Nibali aveva costruito le sue due vittorie nel 2015 e nel 2017. Lo stesso Nibali a fine gara, visibilmente deluso, fa i complimenti al francese: «Oggi era dura vincere perché Thibaut Pinot aveva davvero una grande condizione, era l’uomo da battere». È una di quelle rare volte in cui Pinot ha raccolto quanto seminato.

3. La polmonite al Giro 2018

Il Giro 2018 di Pinot ha avuto una forte sfumatura drammatica. Siamo nel pieno dell’era Team Sky e di Chris Froome, lo stesso Pinot è nel pieno della sua maturità ciclistica. Ha ventotto anni, è alla seconda partecipazione alla corsa a tappe in Italia ed è il capitano della FDJ Groupama. I riflettori sono puntati su di lui. In effetti la prima parte di corsa va alla grande, arrivando terzo dietro a Esteban Chavez nella prima tappa in salita, la sesta, con arrivo sull’Etna e bissando qualche giorno dopo sul traguardo di Montevergine di Mercogliano. Nel corso dei giorni successivi si issa stabilmente sul terzo gradino del podio della generale anche grazie all’ottima prova a Campo Imperatore durante la nona tappa. Dopo i picchi dei primi giorni, però, inizia ad aprirsi il baratro sotto le ruote del francese.

Sulle asprezze del monte Zoncolan, dove Chris Froome comincia a macinare metri, Pinot va in crisi perdendo terreno e la terza piazza in favore di Domenico Pozzovivo. Due giorni più tardi, nella cronometro di 34 chilometri da Trento a Rovereto, Pinot va malissimo, dicendo addio anche alla quarta posizione in classifica generale, accusando ritardi anche nella prima tappa del trittico sulle Alpi occidentali che chiude il Giro, da Abbiategrasso a Pratonevoso. Pinot sembra riuscire a superare le difficoltà il giorno dopo, durante la ventesima tappa, quella della straordinaria fuga di ottanta chilometri di Chris Froome, cominciata sul durissimo colle delle Finestre (Cima Coppi del Giro, 2178 metri), e della violenta crisi della maglia rosa Simon Yates che chiude a più di quaranta minuti dal connazionale. Sul traguardo di Bardonecchia, Pinot arriva con soli tre minuti di ritardo dalla nuova maglia rosa e torna anche sul terzo gradino del podio della classifica generale.

Il giorno dopo, però, l’epilogo sfortunato: nell’ultima tappa sulle Alpi con arrivo a Cervinia, Pinot si stacca subito sul primo GPM. Non è una semplice cotta alle gambe. Il ciclista francese è piegato sulla bici con la bocca aperta, pedala ma sembra stare fermo. Intorno a lui pedalano i compagni, lo si vede tossire in modo violento; sopraggiunge l’ammiraglia. Dal finestrino arrivano borracce e c’è un fitto parlare, Pinot sbanda paurosamente. Riesce ad arrivare al traguardo, ma con 45 minuti di ritardo dal vincitore, Mikkel Itarralde. Subito dopo viene traportato all’ospedale di Aosta: la diagnosi è perentoria, principio di polmonite. Pinot lascia il giro alla penultima tappa, mancando il traguardo finale per pochissimo.

4. La vittoria al Tourmalet al Tour del 2019 e il ritiro

Pinot sembra avere con il Tour de France lo stesso amore non corrisposto che lega Eponine, figlia dei Thenardier, a Marius. Un rapporto complicato, appesantito dalle pressioni di un intero Paese che attende da quasi quarant’anni che un francese torni in maglia gialla a Parigi, cioè da Bernard Hinault nel 1985. Pinot anche nel 2019 è al via, si sente bene, sa di poter far una grande corsa. Alla quattordicesima tappa le cose si mettono per il meglio: nella tappa pirenaica con l’ascesa al mitico Col du Tourmalet (19 km al 7,4%, quota 2115 mt), Pinot sta benissimo. Tiene il ritmo dei migliori, sfrutta l’egregio lavoro di David Gaudu e strappa la vittoria con un’accelerata finale tra le urla forsennate di Marc Madiot, il DS della Groupama. All’inizio della penultima tappa da Saint Jean de Maurienne a Col de Ll’Iseran, il francese è quinto in classifica generale con solo 1 minuto e 50 di ritardo dalla maglia gialla Julian Alaphilippe.

La tappa, originariamente di 126,5 chilometri con arrivo a Tignes, è stata neutralizzata dalla giuria nel corso della discesa del Col de l'Iseran per le condizioni impraticabili di un tratto di strada. Il dramma si consuma ben prima di qualsiasi strategia possibile: a 93 chilometri dal traguardo, all’alba della gara, Pinot accusa un dolore alla coscia, prova a rimanere in sella, ma dopo aver pedalato per qualche metro praticamente sorretto da un compagno, è costretto in lacrime a scendere dalla bici e a salire singhiozzando sull’ammiraglia. Pinot, una volta arrivato a Tignes, definirà questo ritiro come la più grande delusione della sua vita. «Questa volta sentivo di potercela fare. Sui Pirenei avevo grandi sensazioni e mi sentivo in grado di vincere il Tour. Ero convinto che non mi sarebbe potuto succedere niente. Ora non lo sapremo mai. Ora, sono stanco, deluso ci vorrà del tempo per digerirlo». Di fatto mai come nel 2019 Pinot è sembrato vicino alla vittoria nella corsa di casa. Il Tour sarà per lui una maledizione: quella del 2019 è la settima partecipazione al Tour del francese e il quarto ritiro, il terzo di fila. In nessuna altra corsa a tappe il bilancio è così impietoso. La ferita di quell’anno ci metterà qualche anno a rimarginarsi.

5. La sconfitta al Tour of the Alps nel 2022 e la vittoria il giorno dopo

Pinot comincia la stagione 2022 con un peso: non vince una corsa dalla vittoria sul Tourmalet del 2019. L’attesa sta cominciando a farsi sentire e il ciclista francese, sempre così emotivo, fatica a nascondere la difficoltà. L’ossessione per il ritorno alla vittoria lo consuma com’è consumato l’ispettore Javert che dà la caccia al criminale Jean Valjean.

Per Pinot questa ossessione si spezza in una delle sue corse preferite insieme al Giro di Lombardia: il Tour of the Alps. E dire che, dopo la quarta tappa, la frustrazione per l’ennesima sconfitta a un soffio dall’obiettivo avrebbe potuto spezzarlo. A 600 metri dal traguardo della tappa da Villabassa a Kals am Grossglockner, Pinot non riesce in alcun modo a tenere la ruota del suo avversario, Miguel Angel Lopez, e vedendolo andar via scuote la testa sconfortato.

Ma Pinot non è tipo da arrendersi facilmente, anzi. La tenacia con cui si rialza dopo le batoste è un tratto distintivo del suo modo di interpretare il mestiere del ciclista. Il giorno dopo, nell’ultima piovosa tappa con arrivo a Lienz, va di nuovo a caccia della vittoria e questa volta le gambe girano, bruciando nello scatto finale David De La Cruz (Astana). Qualche tempo dopo, in un’intervista all’Agenzia di Stampa Francese (AFP), Pinot descriverà bene lo stato mentale in cui si trovava da tre anni, dalla rovinosa caduta al Tour del 2019. «È stato molto difficile mentalmente, e lungo, soprattutto perché non si vedeva la fine del tunnel. Sappiamo la data della caduta ma non sappiamo mai quando si guarisce. Il punto finale, l’uscita dal tunnel, è stata la vittoria al Tour of the Alps».

6. La doppia vittoria alla Vuelta 2018

C’è stato un fugace momento in cui Pinot ha dimostrato di essere un ciclista cinico, sportivamente parlando, la versione efficiente e fredda di se stesso. Alla Vuelta del 2018, per esempio, arriva a vincere due tappe, centrando la top 10 in tutte le classifiche delle maglie, eccetto quella a punti, e riscattando un 2018 iniziato male.

La prima vittoria arriva sulla storica salita di Lagos de Cavadonga nel nord della Spagna, con Pinot autore della prova del perfetto scalatore. Prima sfrutta egregiamente la fuga e il lavoro del gruppo dei migliori, poi attacca a 6 chilometri dal traguardo senza che nessuno riesca a stargli dietro. Tra la nebbia che avvolge il traguardo, Pinot iscrive il suo nome nell’albo dei corridori che hanno vinto almeno una tappa in ognuno dei tre grandi giri. Si ripete poi qualche giorno dopo alla 19esima tappa con arrivo ad Andorra. Anche qui rimane con i migliori, segue l’attacco ai meno 10 chilometri della maglia rossa Simon Yates per poi bruciarlo a poco più di cento metri dal traguardo. Una degna conclusione dell’anno, per un Pinot in questa inedita veste da Thenardier, cioè da avido pigliatutto, che a questa performance farà seguire la vittoria nella Milano-Torino ma soprattutto il sigillo nella prestigiosa classica d’Autunno, il giro di Lombardia.

7. Il litigio con Cepeda in salita all'ultimo Giro

La fragilità nervosa di Pinot è nota. Spesso lo abbiamo visto perdere le staffe in modo inusuale per un corridore, abituati come siamo a vederli sempre seri e concentrati. Nella rigidità con cui cura la strategia di gara assomiglia a Enjorals, maniacale leader del gruppo di giovani rivoluzionari, Amici dell’Abc, che ha convinzioni talmente granitiche da portarlo a scontrarsi anche con gli amici più cari. In queste vesti, lo abbiamo visto per esempio nella 13esima tappa del Giro di quest’anno, quella tagliata di tutta la prima parte in Italia con l’ascesa al Colle del Gran san Bernardo, e ridotta ai soli 75 km in Svizzera con arrivo a Crans Montana.

Proprio lungo l’ultima salita, Pinot attacca e si trova in testa con altri due, Einer Rubio (Movistar), che poi vincerà la tappa, e Jefferson Alexander Cepeda (EF). Dopo un paio di chilometri Pinot comincia a voltarsi verso Cepeda e a urlargli qualcosa, indica sé stesso e poi l’ecuadoriano, che nel frattempo pedala e sembra momentaneamente sordo. Sul rettilineo finale i due vengono sconfitti proprio da Rubio.

Sul traguardo Pinot è una furia, accusa Cepeda di non aver mai tirato, una colpa a suo dire gravissima. Ai microfoni di Eurosport Francia, appare molto deluso. Sbuffa quando dichiara che la sconfitta di quel giorno è una grande delusione, afferma che quello non è il suo modo di correre. «Sanno che sono un generoso in corsa, che non mi tiro mai indietro». A un certo punto sembrava che il suo obiettivo fosse diventato non far vincere Cepeda più che provare a vincere lui.

8. La vittoria al Tour del 2012

La Francia assiste all’ascesa di Pinot in una calda giornata di inizio luglio. L’8 luglio 2012 va in scena l’ottava tappa della 99esima edizione del Tour de France. È una tappa molto movimentata, con ben 7 GPM e un lungo sconfinamento in Svizzera. Thibaut Pinot, in elegantissima tenuta bianca della FDJ lavora bene e a 18 chilometri dalla fine si trova in coppia con Tony Gallopin, in maglia nero bianca della fu Radioshack, all’inseguimento del fuggitivo Fredrik Kessiakoff del team Astana. Ai piedi dell’ultima asperità di giornata, il Col de la Croix (789 metri), Pinot attacca e con facilità disarmante stacca Gallopin. Al suo fianco uno scatenato Marc Madiot gli urla di tutto dall’ammiraglia per spronarlo, forse anche lui nella speranza di assistere alla nascita di una stella.

Sul traguardo Pinot è, come si dice, stanco ma felice. Forse dovevamo già capire allora che la sua carriera sarebbe stata puntellata di momenti significativi. La prima vittoria al Tour arriva nella tappa che parte a una manciata di chilometri da casa, circa 25 chilometri da Belfort. Qualcuno lo aspettava addirittura il giorno prima, sullo storico traguardo della Plance Des Belles Filles, quando la partenza era prevista nel piccolo borgo di Ecromagny a 4 chilometri scarsi da Melisey. Pinot sembra attendere di essere nelle sue terre per mettersi in luce la prima volta sul palcoscenico del Tour. Al suo debutto al Tour de France, chiuderà al decimo posto in classifica generale e secondo in quella degli Under 23.

9. Petit Balon

La storia di Pinot è piena di vita, insomma, e forse il paragone con i protagonisti immaginati da Hugo alla fine non è così campato in aria. Nella sua ostinazione destinata al fallimento, nella sua inscalfibile speranza di fronte a un destino non sempre fortunato, il ciclista francese assomiglia davvero al protagonista assoluto de I Miserabili: Jean Valjean. Uomo distrutto da vent’anni di carcere ingiusto, condannato per aver rubato del pane per sfamare i figli della sorella, cerca di evadere più volte e per questo è condannato a una pena lunghissima. Un uomo che vive di alti e bassi, di folate di orgoglio personale a delicati sentimenti di carità per gli altri.

Mi è venuto questo paragone vedendo l’ultima ascesa di Pinot, arrivata durante la 20esima tappa del Tour di quest’anno, a pochi metri da casa, dopo una carriera di successi luccicanti e cadute fragorose, degna conclusione di anni bellissimi. L’ultima, lunghissima curva, che accompagna Pinot verso la vetta del Petit Balon - 9,3 km all’8% di media, rinominata subito virage Pinot, curva Pinot appunto - sono una passerella dolcissima. La strada fin dalla sera prima è assaltata dai tifosi francesi, dai suoi tifosi cioè, che si accalcano con bandiere tricolore, cartelli e fumogeni. Due le parole più urlate al passaggio dei ciclisti e che si rincorrono sui cartelli di cartone: Tibo e merci. E fa nulla se nel più classico momento Pinot, alla fine non arrivi al traguardo per primo. Il suo obiettivo era passare per primo a quella curva e chissà con che nodo alla gola lo ha fatto. Anche Marc Madiot, intervistato all’inizio della tappa, trattiene a stento le lacrime: «Credevo che non ci sarebbe stato nulla di più emozionante dopo il Lombardia, ma mi sbagliavo». Alla domanda su come è stato il suo rapporto con Pinot, Madiot ci pensa molto e poi risponde: «Rispettoso, penso che non ho cercato di trasformarlo in qualcos’altro e che mi riconosca il fatto di averlo fatto crescere con le sue qualità e i suoi difetti». A fine corsa Madiot interrompe l’intervista a Pinot per salutarlo: lo abbraccia senza dire nulla. Pinot, dopo quell’abbraccio, con un sorriso timido, dice solo: «all’arrivo c’era anche mio padre».

Il motivo di questo amore è lo stesso Pinot a spiegarlo in un breve documentario del canale Lapierre Bikes, girato nella sua Melisey. «Sono rimasto lo stesso, non sono uno che calcola le emozioni e come sono in bici sono anche nella vita. Aver avuto tanti successi quanti fallimenti piace alla gente, come anche il fatto che dopo ogni insuccesso mi sono sempre rialzato». Alla fine del video, Pinot scatta sulle rampe della Planches des belles filles, mitica salita a pochi chilometri da casa, mentre sotto le ruote scorre il suo nome, scritto sull’asfalto. Poi rientra nella sua fattoria, dalle sue capre, e immediatamente smette di sembrare un ciclista professionista. Uno di noi, verrebbe da dire, se non fosse Thibaut Pinot.

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