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Innamorati di Raphael Guerreiro
29 giu 2016
29 giu 2016
Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il nuovo terzino portoghese del Borussia Dortmund.
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La nostra rubrica Preferiti è realizzata grazie alla collaborazione con Wyscout, il database calcistico che ci permette di visionare giocatori di tutti i livelli, di tutte le età e di tutto il mondo.

L’ossessione del Borussia Dortmund nei confronti della coolness sta lentamente assumendo i contorni del collezionismo, e Raphael Guerreiro è solo l’ultimo esemplare di “calciatore bellissimo da veder giocare” a finire nella bacheca giallonera. Nonostante la valutazione del cartellino fosse comunque fuori portata per quasi tutte le società italiane (12 milioni di euro più il 20% sulla futura cessione), l’acquisto del terzino sinistro del Lorient è passato vagamente sottotraccia.

Guerreiro non è mai stato una macchina da hype, e sicuramente influisce il ruolo poco esaltante, sicuramente influisce il suo atteggiamento dimesso ai limiti dell’introversione, sicuramente influisce la crescita all’ombra della provincia. Eppure è semplicissimo notarlo in campo, un po’ per la statura, 170 centimetri, un po’ per la confidenza che dà al pallone, che si traduce in crescenti responsabilità tecniche. Nel Portogallo, durante gli infortuni di Ronaldo, ha ereditato il compito di calciare le punizioni e non ne ha fatto rimpiangere l'assenza.

La scalata

L’altezza nel calcio non è un fattore particolarmente discriminante, la differenza principale è marcata dal talento (o dalla fame, direbbe Giaccherini). Lavorando sul proprio fisico e sul proprio gioco si può arrivare a interpretare qualsiasi ruolo, ed è un concetto così ovvio che il problema si pone spesso a posteriori, nelle rivendicazioni personali, nelle storie di calciatori scartati perché troppo bassi o troppo magri ma che poi comunque ce l’hanno fatta.

È inquietante che a Guerreiro non sia mai successo neanche questo. La cronaca della sua carriera racconta di un continuo e naturale imporsi a qualunque livello. Ha iniziato a giocare giovanissimo a Le Blanc-Mesnil, il comune a nord di Parigi in cui è nato e cresciuto, a pochi chilometri dallo Stade de France. A dodici anni è stato prelevato dalla squadra del collegio Nelson Mandela e portato nell’Istituto nazionale del calcio di Clairefontaine, lo stesso in cui sono cresciuti Henry, Ben Arfa, Matuidi.

Nonostante il contesto competitivo e potenzialmente distruttivo, Guerreiro è il migliore della classe 1993 (insieme a lui solo Areola ha fatto strada nel professionismo) e a quattordici anni firma il primo contratto. Va un po’ più a nord, a Caen, dove percorre la trafila nelle giovanili finché a sedici anni si rompe tibia e perone e salta un’intera stagione. Tre anni dopo esordisce in Ligue 2, e già tutti hanno parole al miele per lui, a cominciare dal suo allenatore Patrice Garande: «si è imposto naturalmente, non era previsto che giocasse così tanto».

Guerreiro ha 19 anni, gioca tutte le partite, è sempre titolare nel 3-4-3 del Caen e a fine anno termina nel Migliore Undici del campionato – le Nazionali giovanili si appuntano il suo nome. Lui però chiude subito le porte alla Francia, e confida teneramente di attendere la chiamata del Portogallo U21: «sarebbe molto speciale, mi riempirebbe il cuore». La Francia è il Paese della madre, il Portogallo il Paese del padre, uno degli oltre 30.000 nativi portoghesi residenti nel dipartimento Seine-Saint-Denis.

Cristiano Ronaldo l’ha accolto in Nazionale come un fratello maggiore, provando a favorirne l’integrazione. «Non è stata una scelta facile, ma è stata una scelta di cuore», ha detto a Le Parisien poco prima degli Europei francesi che sta giocando da titolare con la maglia del Portogallo. «Nel calcio ho sempre tifato Portogallo, in casa c’era grande fervore per la Nazionale. Tutti gli anni andavamo in vacanza con la macchina vicino il porto di Faro come una vera famiglia portoghese».

Dopo un anno da titolare a Caen è già evidentemente pronto per la Ligue 1, dove approda grazie al Lorient che lo acquista per 3 milioni di euro. Guerreiro reagisce con il suo tipico disincanto: «è stato difficile convincermi che valevo 3 milioni, è un sacco di soldi per un ragazzo, i miei genitori erano anche più sorpresi di me. Ho provato a dimostrarmi all’altezza del prezzo pagato».

«All’epoca mi sono detto: “che diavolo sta succedendo?”. Può renderti presuntuoso ma ti dà anche molta sicurezza». Quando Guerreiro parla di sé non lo fa come lo farebbe un ventenne. I soldi sul piatto possono provocare uno spettro di reazioni comprensibili che va dall’eccitazione al terrore, ma è notevolmente maturo averci trovato la sicurezza, intesa come assicurazione, come garanzia del proprio valore.

La Ligue 1

Le statistiche sui tre anni a Lorient sono un libro aperto. In campionato ha giocato 102 partite, tutte quelle disponibili, partendo quasi sempre titolare e alternandosi tra il ruolo di terzino e quello di esterno sinistro nel 4-4-2 dei Merluzzi. Anno dopo anno ha aumentato i passaggi totali ogni novanta minuti (44.6, 45.6, 47.9) e ha aumentato la precisione (76.9%, 80.1%, 83.7%). Ha addirittura aumentato il numero di dribbling tentati (1.3, 2.5, 2.9) nonostante sia stato nuovamente retrocesso a terzino nell’ultima stagione, e ha drasticamente ridotto il numero di disimpegni (2.3, 1.7, 1).

Con la conferma nel ruolo di terzino ha poi raddoppiato il numero degli intercetti (2.6, 1.6, 3.3) perdendo però pericolosità nei passaggi (passaggi-chiave: 0.7, 1.4, 0.8). Il quadro è quello di un calciatore sempre più consapevole, sempre più centrale nella distribuzione del Lorient, che infatti lo utilizzava come principale sfogo per la manovra, e sempre più predisposto a prendersi responsabilità, sia nel gioco corto che nel gioco lungo.

Ha continuato a giocare da regista occulto della squadra anche quando è stato stabilmente arretrato nella posizione di terzino sinistro, dalla quale riusciva ad addomesticare il pallone e dare il tempo al gioco, cucire nello stretto e lanciare in verticale.

Anche in Bretagna fanno presto a innamorarsi di lui, dal suo primo allenatore Christian Gourcouff («ho visto diversi buoni giocatori al Lorient, ma con Raphael è stato chiaro dall’inizio che fosse pronto per il salto») al suo successore Sylvain Ripoll. A novembre 2014 firma la settimana perfetta: il venerdì esordisce in Nazionale contro l’Armenia (proprio a Faro, meta delle vacanze estive), il martedì segna il primo gol in Nazionale contro l’Argentina, facendo breccia nella narrazione Messi contro Ronaldo, il sabato segna ancora in Ligue 1 il gol della vittoria contro il Lens. Si innamora anche Fernando Santos: «nel primo allenamento mi sono trovato a guardarlo e pensare “che talento è questo?”».

A gennaio 2015 le indiscrezioni di mercato riportano un interesse nei suoi confronti da parte di: Atlético Madrid, Liverpool, Arsenal, Manchester City, Paris Saint-Germain, Borussia Dortmund. Raphael incassa con naturalezza.

A un certo punto questo understatement diventa un problema, tanto che il presidente Loic Fery deve intervenire pubblicamente per reclamare il suo diritto all’hype: «se guardiamo la sua efficienza e le sue statistiche, non capisco perché Raphael dovrebbe essere valutato 12 milioni, quando sento che Digne e Kurzawa ne valgono 25». Alla fine sarà effettivamente valutato 12 milioni, ma a distanza di un anno e mezzo e con il contratto ormai in scadenza. Un affare per entrambe le parti.

L’Europa

Se Fabio Coentrao non si fosse infortunato ad aprile, Raphael Guerreiro non avrebbe esordito agli Europei da titolare, probabilmente anche la sua convocazione sarebbe stata in dubbio, sicuramente non si sarebbe messo in luce come uno dei terzini più brillanti della manifestazione. La fortuna è sicuramente una componente di quel piano inclinato che sembra essere la sua carriera, in cui i progressi si avvicendano inerzialmente, senza scossoni.

Poi c’è l’umiltà, eredità familiare, e poi c’è la sensibilità di chi è fisicamente costretto a misurarsi sempre con i propri limiti. Guerreiro ha tratto il meglio dal proprio corpo: il baricentro basso gli consente di aggredire in fase difensiva, di avere sempre più equilibrio dell’avversario, le leve corte le sfrutta nel breve, con accelerazioni in spazi stretti che pochi avversari riescono a contenere. Poi questi limiti presentano il conto in altri aspetti, ad esempio nei contrasti da cui spesso esce sconfitto, oppure nelle progressioni in campo aperto in cui diventa facilmente contenibile, motivo per cui rende meglio da terzino che da ala.

Da terzino ha ormai giocato anche partite importanti, come la finale degli Europei U21 con il Portogallo. Anche se difetta di una percezione da difensore puro delle situazioni di gioco, recupera facilmente l'equilibrio e gli errori nel posizionamento con la grande accelerazione. E sempre da terzino ha imparato a influire sullo sviluppo della manovra con il passaggio delicato e l'atteggiamento deciso, sempre in ritmo con la partita.

Nei primi due anni a Lorient era molto frequente vedergli perdere palla e recuperarla immediatamente. Nella gestione del possesso sta migliorando, ed è un’area del suo gioco in cui influirà moltissimo la crescente sicurezza, ma nell’aggressione in avanti è sempre stato bravissimo. Quando si avvicina al piccolo trotto e fronteggia il diretto avversario, è difficile per tutti eluderne l’intercetto. Ha anche la sensibilità nel piede sinistro per ottimizzare il primo controllo e ricavare subito un’azione offensiva.

Il processo di evoluzione di Guerreiro avanza sui binari dell'adattamento. Non è sicuro nei contrasti, e ha progressivamente ridotto i tentativi - piuttosto accompagna l’avversario verso l’esterno e prova a chiudere qualunque linea di passaggio alle sue spalle, rimanendo sempre basso sulle gambe. Non ha speranze nei duelli aerei, e mantiene le dovute distanze dal saltatore provando a tuffarsi sul successivo rimbalzo. Dagli Europei U21 del 2015 agli Europei del 2016 ha mostrato tanti significativi miglioramenti nella fase difensiva (può aver contribuito il riposizionamento da terzino nel Lorient). Su tutti, un coraggio e una tecnica nell'interpretazione della scivolata che appaiono tra i pochi elementi classici in una dimensione del gioco molto moderna.

La testa

Sull’ultimo possesso di Croazia-Portogallo c’è un pallone che piove in area di rigore e viene prolungato verso il secondo palo. Rapha Guerreiro prima vince il duello aereo ingaggiato con Darijo Srna, poi corre verso Modrić e nel frattempo lancia due occhiate fugaci alle spalle per assicurarsi che il suo compagno di squadra scivoli a coprire Srna. È consapevolezza, non è semplice concentrazione, perché quella dopo centoventi minuti tende a farsi irrintracciabile. È quasi un accenno di leadership.

Probabilmente il ceiling di Guerreiro è più basso rispetto ad altri suoi coetanei, perché non ha i mezzi atletici per impadronirsi di tutta la fascia, e concederà sempre qualcosa al suo diretto avversario, ma non ci sono molti 23enni che continuano a bruciare tappe con questa naturalezza. Nel Portogallo è già incaricato dei calci d’angolo e delle punizioni che richiedano un piede sinistro e un cross al centro, e l’impressione è che sia destinato a confermarsi titolare anche dopo il recupero di Coentrao.

Dettaglio a margine: non sa una parola di portoghese. «Capisce la lingua, ma riesce a parlarla molto poco. Afferra le istruzioni dell’allenatore e dei suoi compagni in campo e poco più», riferisce la stampa locale. Ha imparato solamente l’inno, ed è stata la prima cosa che ha fatto dopo essere entrato nelle selezioni giovanili, «per onorare la mia nazione e i miei colleghi».

Effettivamente non si capisce da dove provenga la sicurezza con cui, ancora in età adolescente, ha sposato la nazione di suo padre, ma si capisce facilmente che riferimenti possa avere, in quanto portoghese parigino: «a casa dei miei genitori ci sono ancora immagini di Pauleta e Cristiano Ronaldo alle pareti. Adoravo l’intelligenza di Pauleta, il modo con cui giocava la partita nella sua testa, non soltanto con i piedi».

Non vedo l’ora che Thomas Tuchel legga queste parole. Pronti all’esplosione di coolness?

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