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The Legend
09 dic 2014
09 dic 2014
Landon Donovan, ovvero il calciatore americano più importante di sempre, all'alba del ritiro.
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Nel marzo del 2015 la nuova MLS riaprirà i battenti non solo con due nuove franchigie (

e

), una manciata di campioni (Lampard, David Villa) e un

, ma anche con una stella in meno: Landon Donovan. E quando, a undici minuti dal termine della finale dell’ultima MLS Cup, l'ultima partita di Donovan, Chris Tierney, prodotto del vivaio dei New England Revolution, ha pareggiato una gara fino a quel momento saldamente nelle mani dei Los Angeles Galaxy, gli sceneggiatori si sono guardati con sospetto: chi stava sabotando l’happy ending?

 

Donovan è l’uomo che è riuscito a fare per il calcio USA negli anni zero, quello che Michael Jordan, con le dovute proporzioni, ha fatto per il basket negli anni Novanta: fomentare la passione fino a cementificarla nel mito. Se oggi la MLS può permettersi

: «Esistiamo da vent’anni, non abbiamo bisogno di farti vedere un pallone e uno scarpino per farti capire che parliamo di

», buona parte del merito è di Landon Donovan, il miglior marcatore e assistman assoluto non solo della Lega, ma anche della USMNT, ovvero la Nazionale di calcio maschile.

 

Per questo, l’ultima stagione non ammetteva finali alternativi: Donovan si era preparato un’uscita di scena, a suo modo, hollywoodiana. I Los Angeles Galaxy si sarebbero giocati la possibilità di laurearsi campioni degli States per la quinta volta, più di ogni altra squadra, sul proprio campo: lo StubHub Centre di Carson sul quale nessuno riusciva a batterli dal Marzo scorso. Figuriamoci nella finale, e nell’atto finale della carriera di Donovan.

 

Così è finita sotto una pioggia di lustrini dorati, con Robbie Keane, il capitano, che ha alzato la coppa e si è voltato a cercare Landon, nascosto tra gli altri compagni quasi a voler cercare un

clandestino, e lo ha reclamato sul fronte del palco. Gli sceneggiatori si sciolgono in un sorriso disteso: nessuno può sabotare un happy ending.

 





 

Negli ultimi quindici anni Donovan è stato lo specchio del processo di maturazione del calcio yankee, una linea di spartiacque acuta e ripida (come lo slash che divide il nuovo logo in due quadranti); ha saputo trasformare il soccer da elettromagnete per eurofili a sport tipicamente nordamericano, al pari (non del tutto, ma quasi,

) del baseball o del basket. Sarebbe bello se un giorno, nel quadrante immacolato del nuovo logo, la MLS introducesse una silhouette – come Jerry West per l’NBA o Harmon Killebrew per la MLB – di Landon Donovan.

 

Donovan è il simbolo di un passaggio epocale per il calcio in America e se adesso è diventato uno sport di un certo rilievo, addirittura “cool”, è anche un po’ merito di LD. Come testimonia la foto con Obama e Beckham: Landon Donovan non sfigura. Forse è appena troppo basso.

 



 

In ogni caso, senza di lui, la combinazione “Soccer” + “Presidente degli States” avrebbe avuto lo stesso effetto di George W. Bush Sr. che calcia goffamente un pallone sul prato poco curato della villa di un amico in Texas vestito da maratoneta col k-way:

 



 
 


A qualche miglio più a sud dall’inizio del tratto californiano della Route 66 si trova la cittadina di Redlands, “Capitale Mondiale delle Arance Navel”, nebbiosa e operaia manciata di case della suburbia losangelina in cui Landon è cresciuto frequentando il college da studente modello, prendendo lezioni di violino, distribuendo giornali come molti ragazzini dell’America bene. I genitori avevano divorziato quando lui aveva solo due anni: il padre Tim, giocatore dilettante di hockey su ghiaccio, si era trasferito in Nebraska dove si era fatto una nuova famiglia. Landon è cresciuto con la madre Donna e i quattro fratelli: Sheri e Tim, già più grandi, Josh e la sorella gemella Tristan, nata un minuto esatto prima di lui.

 

Negli anni in cui Landon è un ragazzino, negli States, il calcio è poco più che una terapia, un rimedio all’iperattività in età scolare: permette ai piccoli di bruciare energie, li stanca. Senza dover pensare per forza al professionismo. Per questo le mamme lo scelgono per i loro figli: gite fuori porta con il van, sedie pieghevoli, succo d’arancia in cartone, molta spensieratezza e novanta minuti di corse confuse che sfiancano i bambini. Per questo Donna lo sceglie per il figlio. Josh gli insegna i fondamentali: come si stoppa il pallone, come si tira. Allo svezzamento provvedono i

, la sua prima squadra.

 



 

Quando guidi verso L.A., attraversando San Bernardino, Pomona, Pasadena hai come l’impressione di essere già, per una qualche ragione, in una propaggine d’America Latina: i gommisti, i colorifici, i fruttivendoli, tutte le insegne sui muri, dipinte a vernice, sono in spagnolo. Nei Cal Heat Landon divide il campo con ragazzini messicani, costarricensi, honduregni: «

se volevo che mi passassero la palla».

 

Secondo Richard Motzkin, il primo agente di Donovan, la caratteristica principale del Landon ragazzino era quella di suscitare una specie di Landonmania ovunque andasse. Tutti i coetanei volevano essere Landon Donovan. Le ragazze lo amavano. I ragazzi più grandi lo ammiravano e le mamme lo adoravano. A quindici anni Landon è stato accettato nell’Olympic Development Program per il calcio negli States. «Anche se conoscevo a malapena i nomi di 5 squadre in tutto il mondo, mi piaceva molto giocare a calcio», dice a un certo punto di “The Finish Line”, il

che gli ha dedicato

. E poi è uno dei

della IMG Bradenton Academy, in Florida.

 

La Bradenton non è che la Bollettieri Academy raccontata da André Agassi in “Open”, solo che per i giovani calciatori, a differenza dei tennisti, il clima è molto più disteso, non c’è competitività ma spirito di squadra e molta goliardia, anche quando per rilassarsi si gioca a golf. Landon, un giorno, per rincorrere una pallina colpita da un compagno si avventura in uno stagno, e quasi finisce per farsi azzannare da un alligatore (è una scena che Filip Bondy ha raccontato nel suo libro “Chasing the game”). Landon vuole diventare un calciatore di successo, ovviamente in Europa. Vuole guadagnarsi il rispetto che all’epoca non era concesso ai calciatori yankee.

 

Mi sono imbattuto in un

compilato durante un ritiro con le nazionali giovanili – deve risalire a qualche tempo prima del Mondiale U-17 disputato nel 1999 in Nuova Zelanda – che secondo me tra le righe racconta molto del Donovan calciatore, della sua fama di ambizione, dei suoi modelli di riferimento. Il suo calciatore preferito, dice, è Roberto Baggio. Mi sono immaginato un piccolo Donovan durante il Mondiale del ’94, folgorato dalle giocate del fantasista italiano, piangere per il rigore sbagliato nel catino rovente del Rose Bowl di Pasadena. E ancora nel questionario: «Cosa sai del Campionato del Mondo giovanile?». «Che lo vinceremo».

 

Quell’U-17 riuscirà in una serie di imprese, come battere una squadra di “grandi” (i Tampa Bay Mutiny, che militavano nella MLS) o i pari età argentini, vieppiù in Argentina. Ai Mondiali arriveranno quarti. In quel periodo Landon portava i capelli biondi ossigenati, come il primo Billie Joe dei Green Day o Eminem ai tempi di Slim Shady, e già da sei mesi viveva e faceva il calciatore in Germania.

 

Di quella U-17 statunitense facevano parte anche Oguchi Onyewu, DaMarcus Beasley e Kyle Beckerman, nella foto con Landon. Poi c’erano Danny Bolin, che è diventato elicotterista nella Air Force; Filippo Chillemi, che ha giocato in Italia con l’Olbia e il Mazzara; e infine Jordan Cila, oggi analista contabile alla Goldman&Sachs.

 



 


Forse è solo una storiella, però funziona bene in ciò per cui è stata concepita, cioè illustrare il livello di ingenuità di Donovan non in quanto Donovan, ma in quanto Diciassettenne Calciatore Negli States Di Fine Ventesimo Secolo: quando l’osservatore del Bayer Leverkusen lo ha contattato, sembra che LD abbia risposto: «Bayer chi? Leverkusen? Non so cosa sia».

 

Ambientarsi in Germania è complicato: Landon soffre la lontananza dalla famiglia, dai suoi luoghi. La madre, per farlo sentire a casa, gli spedisce pacchi di Cinnamon Toast Crunch e bottiglie di Ranch Dressing per le insalate. Il padre è

, perché ha avuto «la chance di fare esattamente quello che io speravo di fare». Il sentimento della madre è ambiguo e ondivago, come tutti i sentimenti delle madri. «Mi dispiace un po’ che ora consideri il calcio un business. Ho paura che un giorno possa dirmi “Mamma, perché mi hai lasciato andare?”». Ma anche: «Ho pianto per due giorni [quando il figlio ha deciso di partire, NdR]. Ma non voglio che tra qualche anno possa dirmi “Hai distrutto le mie possibilità”».

 

Landon gioca con la squadra riserve del Bayer: «Devo dimostrare qualcosa ogni giorno. In allenamento, sul bus, in aereo». Quando contro l’Essen segna una tripletta c’è chi lo paragona a

. «Raramente offriamo un contratto così oneroso [400mila dollari l’anno, NdR] a un calciatore così giovane; ma in ventun anni che lavoro con i ragazzi raramente ne ho visto uno con un potenziale del genere», dice Michael Reschke, direttore del settore giovanile delle “Aspirine” all’epoca, a Marc Spiegler di

.

 

https://www.youtube.com/watch?v=v8e81V44sXI&feature=player_detailpage#t=220



 


Nel 2001 il Bayer vuole provare a vedere se c’è una qualche maniera di salvare il talento del giovane Landon dalle ganasce della nostalgia. L’investimento monetario deve per forza essere controbilanciato da un investimento umano: per questo viene ceduto in prestito per una stagione ai San José Earthquakes, California, MLS.

 

Il ritorno a casa di Landon somiglia, più che alla parabola del figliol prodigo, a una scena da telefilm in cui il teenager abbandona il college e torna nel villaggio sperduto dell’Idaho per aiutare il padre a portare avanti la falegnameria di famiglia, mentre tutti gli altri fratelli sognano o pianificano la fuga in una metropoli.

 

La MLS esiste da appena un lustro, ed è alla ricerca di star - e di credibilità. L’arrivo di Donovan è così puntuale da rivelarsi essenziale. Landon è un calciatore che ha la velocità nei piedi e nel cervello. Perfetto per cambiare il senso degli yankee per il calcio.

 

I San José Earthquakes alzano la prima MLS della loro storia, e Landon sembra avere

: «Voglio rimanere negli States, voglio essere un pioniere. Voglio provare a far salire di livello il calcio americano».

 

Nell'All Star Game di quell'anno (selezione dei migliori della parte Est contro quella dell'Ovest) Landon Donovan, capigliatura bionda arruffata, segna quattro reti. Dopo quella del 6-6 (sic) definitivo scimmiotta pure l’esultanza di Brandi Chastain, che nella Coppa del Mondo femminile del ’99, dopo aver segnato il rigore decisivo, si era tolta la maglia

.

 

https://www.youtube.com/watch?v=VlcdHaPIanc



 


Del suo secondo periodo al Bayer, dove torna dopo tre campionati a San José (due dei quali vinti), Donovan ricorda una scena: il capitano e veterano Jens Nowotny entrare in tackle scivolato su una giovane riserva durante un allenamento del lunedì mattina. È in quel momento che

: «Forse dovrei applicarmi così anch’io». Lì, racconta, «ho smesso di giocare come una femminuccia e ho deciso di correre, di lottare».

 


L’impatto della personalità di Donovan sul calcio negli States ha l’irrefrenabilità e la dirompenza di un piccolo

, uno dei pionieri dello skateboarding, che calcia palloni sul letto di una piscina vuota.
È sempre stato un ribelle, o forse uno sfigato. Non piaceva ai compagni perché gli bastava piacersi. Bruce Arena, il suo tecnico nei lunghi anni ai Galaxy ma soprattutto colui che l’ha lanciato in Nazionale di lui

: «Era bravo, ma era un punk». «Il ragazzo con l’ego più smisurato del quartiere»,

. Una rockstar, anche se oggi – un oggi in cui la sua carriera, in prospettiva, ha assunto sfumature cerebrali e agrodolci – viene difficile inquadrarlo in questi termini.

 

«

Siamo chiaramente a due livelli diversi di talento. L’unico giocatore che ricordo, che posso ricordare, semmai, è Roberto Baggio: entrambi abbiamo l’abilità di fare passaggi, creare occasioni e segnare». Un’altra caratteristica che lo accomuna a Baggio, suo malgrado, è la fragilità. Landon è stato accusato di essere troppo leggero, di non avere l’etica del lavoro più che l’ambizione per perseguire una carriera di successo. Carriera di successo che, prima dell’avvento di Donovan, faceva sempre l’occhiolino a un omissis: in Europa.

 

Solo il tempo (e il cambiamento dei tempi) ha saputo trasformare Donovan da wunderkind che si porta l’indice alle labbra per zittire i tifosi avversari in un saggio veterano dalla voce monocorde, mai sopra i toni, ipnotica nel suo carisma. Eric Wynalda, altra vecchia gloria yankee, lo ha definito «

. La gente lo ama, oppure lo odia». «All’inizio era complicato, gestire le critiche», si schermisce lui. «Ma poi mi sono fatto abbastanza zen per sopportarle». Con una calma zen del genere, a farti da corazza, nulla può scalfirti. Neppure la mossa più inattesa che ti possa venire in mente, tipo quella di annunciare il ritiro nel pieno della tua carriera.

 

https://www.youtube.com/watch?v=4py4RpT5SWo



 


«Tutto ad un tratto sono sul palco e ricevo il premio di miglior sportivo dell’anno dalla ESPN, guardo in platea e c’è Kobe che annuisce come a dire “Ben fatto, ben fatto”. Ma

è?».

 

Nel novembre del 2012 Landon Donovan è già il più decorato calciatore statunitense di tutti i tempi. Ha vinto la MLS per la seconda volta consecutiva, la terza in totale con i Galaxy, la quinta considerando anche le vittorie del 2001 e del 2003 con i San José Earthquakes. Il miglior calciatore di un campionato nel quale la maggior parte dei suoi fan non voleva che giocasse. «Altri campionati possono sembrare attraenti, non lo nego: ma non per me. Preferisco giocare in un ambiente confortevole». C’è un passaggio di “Finishing Line” in cui Landon passeggia per Manhattan Beach con una bella ragazza, bella in maniera californiana, e un cane. A un certo punto, tra due ville, sbuca la spiaggia del Pacifico. «Vedi, in Europa questo non c’è», sussurra Landon. «Credo che la gente con me si sbagli su un punto sostanziale: non me ne frega niente di mettermi alla prova ai più alti livelli. Non è un mio obiettivo».

 

Eppure alle lusinghe dell’Europa ha ceduto, non tanto per dimostrare di esserne in grado a chi lo definiva troppo leggero, troppo delicato, a chi lo chiamava Landycakes (un gioco di parole con le Babycakes, morbide, femminili cupcakes presenti solo sul mercato USA e non su quello europeo), quanto per convincere in primis se stesso. Ha passato qualche mese al

, dove Jurgen Klinsmann prima l’aveva fortemente voluto e poi l’ha impiegato con il contagocce. Ha giocato delle buone prestazioni in Premier League, con la

: un semestre a cavallo di due stagioni, da Gennaio a Marzo del 2009 e del 2010, quando la MLS era ferma.

 

Ma ha sempre sentito che il posto in cui stare, quello giusto per lui, fosse la California. «Quando dici “calcio USA” pensi alla Nazionale, ma il calcio USA è anche la MLS: finché non avremo una Lega che produce calciatori come tutte le altre nel mondo non riusciremo mai ad essere dove vorremmo». Una volta ha dichiarato: «Le partite in diurna non sono eccitanti: la gente passa il tempo a pensare cosa farà dopo. Quelle in notturna, invece: quelle sono come concerti». Quale arena migliore, allora, per lui, dello StubHub Centre, casa dei Galaxy, dove una curva è praticamente costituita da una collina dalla quale i tifosi possono godersi lo spettacolo

come se fossero, appunto, a un concerto?

 

https://www.youtube.com/watch?v=4jhZRtDzIyM



 

Nel 2012 Donovan è già sopravvissuto all’impatto con il meteorite Beckham; con l’uomo, il calciatore e con quello che rappresentava da un punto di vista commerciale e di marketing, ovvero l’antitesi della sua concezione di crescita calcistica di un Paese. Non erano finiti i tempi in cui la MLS doveva puntare sull’eurofilia per raccogliere consensi? Non stavano iniziando a camminare con le proprie gambe? «Credevo che gli importasse fare bene, che la squadra e il campionato andassero bene». «Non mi viene in mente nessun altro ragazzo del quale abbia detto che non era un buon compagno di squadra, che non dava tutto, che non gliene fregava niente. Ma con Beckham posso dirlo: non era per niente attaccato alla maglia».

sono state pronunciate da Donovan il giorno successivo all’ufficializzazione del passaggio in prestito di Beckham al Milan. Più in avanti Grant Wahl, che le ha raccolte, ne ha fatto un libro, parte di un libro, intitolato “The Beckham Experiment”.

 

Quando Beckham è arrivato sulla West Coast, Alexi Lalas – allora dirigente dei Galaxy – sembra abbia fatto leva sulla psicologia di Donovan con

: «Tu sei la star della squadra. Lascia che il capitano sia lui». Ma quando Landon ha scoperto che le pressioni per Becks capitano venivano dall’entourage dell’inglese più che dalla dirigenza losangelina ha interpretato il gesto come una mancanza di rispetto.

 



 

Alla fine,

ha funzionato più che altro su Donovan. «Pallone a parte, sono cresciuto molto come persona da quando è arrivato. L’ho osservato da vicino in tutte le cose che fa, nella gestione della leadership e come si gestisce in sé. Anche se non sempre siamo andati d’accordo, specie all’inizio, è stato una fonte di ispirazione per me». «Ho imparato molte cose importanti… ad esempio

e cosa non dire».

 

Dev’essere forte di questa esperienza acquisita grazie a (e nonostante) Beckham che Donovan si è presentato di fronte a Chris Klein, ex compagno di squadra e attuale membro del board dei Galaxy nel novembre del 2012. «Senti»

«se lo faccio e poi torno e sono concentrato sarò migliore di quanto sia mai stato». Con quel “se lo faccio” intendeva dire “se mollo il pallone per un po’”. A trent’anni, e a ridosso di una Coppa del Mondo, devi avere un’altissima considerazione di te stesso per proporre un patto così rischioso, in primis per la tua carriera. Molta self-confidence, oppure chiamarti Landon Donovan. Che più o meno sono la stessa cosa.

 


A un decennio di distanza dal momento della sua vera esplosione Donovan decide di prendersi un anno sabbatico. È una mossa coraggiosa, di spessore. «Il tuo corpo sa quando è il momento di prendere una pausa: ed è ciò che il mio corpo mi sta dicendo ora».

alla vigilia della gara di play-off della Western Conference che avrebbe messo i Galaxy di fronte ai Vancouver Whitecaps.

 

«Ho bisogno di una pausa. Di prendere respiro e riposare, devo permettere al mio corpo di guarire e rinfrescarmi le idee; a quel punto sarò nuovamente eccitato all’idea di tornare a giocare». «La parte più dura da accettare è che io lo amo davvero, questo team. Amo questa città, amo giocare per questa squadra, per questi proprietari. Ci ho pensato a lungo: forse ho bisogno di qualcosa di diverso». Abbandonare il calcio prima dell’ultimo sprint delle gare di qualificazione ai Mondiali di Brasile è da pazzi, gli fanno notare. «Se quello che sto scoprendo è che non mi piace più giocare, la Coppa del Mondo è proprio l’ultimo dei miei pensieri». A quel punto della sua carriera, questo è vero, Donovan non ha più bisogno di giocare; nessuno lo obbliga. Forse ha esaurito gli stimoli. Con la Nazionale ha già disputato tre Mondiali: il quarto a cosa può servirgli? Ad aumentare la leggenda? Sul tabellone del flipper del calcio yankee, il secondo punteggio più alto dopo il suo è già distanziato di centomila punti.

 

«

a nessun team se gioco con metà del cuore, o all’80% della condizione fisica. Posso inserirmi nelle azioni, sì, fare il compitino; ma io non voglio fare il compitino. Voglio essere d’impatto». A trentadue anni si può essere ancora impattanti, certo, ma non se la testa è altrove.In quei frangenti Landon è un uomo complesso che gioca un gioco facile. «È la mia ultima grande possibilità. Se da un punto di vista emozionale e mentale come atleti possiamo raggiungere un livello superiore, liberarci, dopo non abbiamo più limiti. Vedo molti atleti che performano non al massimo delle possibilità perché non hanno consapevolezza di che tipo di persone sono. Sarebbero atleti migliori se parlassero con un terapista, o con qualcuno, di quello che gli succede».

 

https://www.youtube.com/watch?v=0nnrAvYnyNA



 


«Quando l’arbitro ha fischiato la fine della finale MLS Cup 2012 e avevamo vinto, non ero poi così elettrizzato. Ero piuttosto sollevato che fosse finita». Dall’annuncio della volontà di ritirarsi, di prendersi un periodo sabbatico e poi si vedrà, al ritorno di Donovan in campo, sono passati quattro mesi. In mezzo c’è stato un viaggio in Cambogia, perché forse i luoghi giusti per Landon non sono soltanto la California, Los Angeles, ma anche l’Est Asiatico. Là è esploso, durante i mondiali di Corea e Giappone; là si è ritrovato, dieci anni più tardi. Là ha maturato

che difficilmente abbiamo sentito esternare a un professionista all’apice della carriera: «Tendiamo troppo a stigmatizzare: essere in uno stato di difficoltà mentale non è accettabile, mentre se qualcuno sta male fisicamente gli lasciano prendere tutto il tempo che gli serve. Non è così invece per chi sta male di testa. Gli dicono “Devi lottare”, ma ci sono momenti difficili, in cui non è possibile neppure lottare». «Credo che nel nostro paese ci sia un grosso problema con tutta la questione della salute mentale, che sia un tema un po’ sottovalutato, poco pubblicizzato».

 

Il ritorno al calcio giocato di Donovan è strepitoso – almeno in termini di motivazioni. Certo, non è più la freccia che s’innesca nelle azioni in velocità. Ha arretrato il baricentro del suo gioco, il cervello – a forza di usarlo soprattutto fuori dal campo – è diventato più grande e importante dei piedi: ora è un playmaker con le dita nella posizione del

. Gli riesce tutto facile, nei Galaxy come in Nazionale, con la quale disputa una Gold Cup 2013 eccezionale – fuor di agiografia, eccezionale per la mole di autorevolezza e personalità e spirito d’entertainer che ci mette: sembra che il calcio non gli sia mai piaciuto così tanto.

 

https://www.youtube.com/watch?v=TARya5F3t_4



 


Se c’è un aspetto affascinante della carriera di Donovan nelle squadre di club è che sembra implausibile, pura fiction se rapportata alle prestazioni con la Nazionale degli States. Voglio dire: non ti aspetteresti mai che a un tale successo internazionale a livello di selezione possa corrispondere una carriera di club così modesta. Ma forse, il mio è un punto di vista eurocentrico.

 

Landon ha esordito con la maglia stellestrisce (che in quell’occasione era tutta rossa) nell’Ottobre del 2000, anche se la partita non era delle più tranquille per gettare nella mischia un diciottenne: al Memorial Coliseum di L.A. gli USA affrontavano i rivali storici del Messico. Intorno alla mezz’ora Chris Henderson, uno dei reduci di Italia ’90, si infortuna: Bruce Arena fa cenno a Donovan di entrare in campo. A inizio ripresa Donovan scambia il pallone con Clint Mathis, che lascia filtrare sotto le gambe di un difensore messicano il passaggio di ritorno, lanciando Donovan dentro l’area, di fronte solo il portiere. Landon lo scarta allungandosi il pallone sulla destra, poi fa come due saltelli sulla gamba d’appoggio, la sinistra, prima di sospingere la palla in rete, venti minuti dopo il suo ingresso in campo nella gara d’esordio.

 

https://www.youtube.com/watch?v=uRprPlL4Svk



 

Da quella sera Donovan entra nel giro dei convocati, e nel 2002 è nella rosa che partecipa al Mondiale in Corea e Giappone. Nella prima partita con il Portogallo, che gli States vincono a sorpresa per 3-2, gioca da seconda punta alle spalle di McBride. Ma già dal

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