
L’ultimo fotogramma di John Terry da calciatore del Chelsea è un calcio nel costato di Wahbi Khazri, trequartista del Sunderland, al novantacinquesimo minuto di una partita che il Chelsea stava perdendo e avrebbe perso 3-2. Mike Jones, arbitro dell’incontro, ha estratto immediatamente il secondo giallo, che significa espulsione e significa squalifica per due giornate in quanto seconda espulsione stagionale.
Il Chelsea doveva ancora affrontare Liverpool e Leicester prima di terminare con ogni probabilità il suo campionato in nona posizione, ma John Terry sapeva che non avrebbe più rivisto il campo. Così, anche se il Chelsea gli ha appena offerto un altro anno di contratto (e lui ha detto che ci deve pensare...) al momento dell’espulsione sembrava che quella dovesse essere l’ultima apparizione di Terry con la maglia del Chelsea. Sopratutto, Terry non poteva sapere che avrebbe avuto quest’offerta.
Nei secondi che separano l’espulsione e l’abbandono definitivo del terreno di gioco, Terry bisbiglia qualcosa a testa bassa che le riprese televisive non chiariscono, poi si strappa la fascia di capitano dal braccio e la getta sul prato dello Stadium of Light. Mentre Azpilicueta la raccoglie perplesso, Terry è ormai lontano, di spalle, sempre a testa bassa, diretto verso gli spogliatoi. Sembra sull’orlo di una crisi di nervi, come Gary Barlow nel 1996, quando al termine di una misera conferenza stampa annunciò che l’ultimo album dei Take That sarebbe stato un Greatest Hits… and from today, there’s no more. È un’immagine profondamente sgradevole, come quella dell’avvocato con il riporto e gli occhiali tondi delegato a comunicare al mondo che Geri Halliwell avrebbe lasciato le Spice Girls. Ha il rumore sordo di un sasso lanciato da un crepaccio, come il freddo comunicato su Facebook con cui Zayn Malik si separava ufficialmente, senza preavviso, dagli One Direction.
Gli inglesi non sanno dire addio.

Era l’anno dei mic-drop: «Terry out»
Eppure qualcosa non torna. Di certo non può essere stata una sconfitta irrilevante contro il Sunderland, né il senso di colpa per un’espulsione collezionata nei minuti di recupero. Al più la frustrazione per l’ennesimo appuntamento mancato della sua carriera, dopo la finale di Champions League vinta dal Chelsea nel 2012 (un’altra espulsione) e la finale di Europa League vinta dal Chelsea nel 2013 (un infortunio alla caviglia). Dopo il rigore spedito alle stelle nella finale di Champions del 2008.
Cosa può aver ridotto Terry, un simbolo, un capitano, in quelle condizioni? A guardarlo meglio, mentre si libera del peso della fascia da capitano ed evita di incrociare gli sguardi di chiunque gli si pari davanti, John Terry non sembra furente: sembra sconvolto.
Una teoria esiste, ma inizialmente sembrava un pettegolezzo da West London, una congettura dei tifosi che con John Terry sono cresciuti, e che adesso vantano di poterne interpretare le emozioni. Poi sono arrivate le indiscrezioni degli amici intimi (non c’è nessun amico intimo a cui i tabloid non possano arrivare), e la teoria si è fatta evidenza. Succede tutto prima della testa bassa e prima della fascia da capitano strappata, in realtà succede tutto prima ancora del cartellino rosso.
Subito dopo che Terry è planato su Khazri lo si vede rimanere disteso sul campo per cinque lunghissimi secondi: ha le braccia e le gambe distese, come un angelo della neve, e lo sguardo rivolto al cielo. Io penso che in quei secondi il capitano dei Blues abbia vissuto quella che definirei una «Ebenezer Scrooge experience».
Scrooge, nel celebre Canto di Natale di Dickens, è l’avaro insensibile alla morte del socio in affari di una vita (ancora una volta, gli inglesi e gli addii). Scrooge in quella circostanza viene trasportato avanti e indietro nel tempo per vedere con i propri occhi che tipo di Natale gli sarebbe spettato, affinché gli si intenerisca un po’ il cuore, John Terry invece ha incontrato il suo Fantasma della Carriera Futura che è servito solo a renderlo più nervoso.
Ecco quello che ha visto Terry in quei momenti.
Il primo Fantasma Della Carriera Futura di Terry
Il vento è forte e il terriccio umido, come avesse appena smesso di piovere. John Terry vede se stesso seduto su una roccia ricoperta di muschi e licheni sotto una quercia, in quello che sembra un bosco o un parco naturale, nella migliore delle ipotesi. È ancora di buon umore e fa notare allo Spirito: «Secondo me nessuno sa la differenza tra muschi e licheni». Lo Spirito (un teschio per metà senza pelle e denti, con l’altra metà che è chiaramente il teschio di Drogba) non reagisce.
Il Terry seduto ha gli occhi stanchi e gli abiti pesanti, anche se non è molto più vecchio di quello che è ora. Sembra infastidito dal fumo che il vento gli spara in faccia, mentre un pagliericcio su cui è appoggiata in qualche modo una tavola di legno brucia ai suoi piedi. Sembra depresso, incredibilmente passivo. Il Terry in piedi, ancora in completo da gara, inizia ad allarmarsi, chiede allo Spirito che ne è della sua famiglia, del suo posto nel mondo del calcio, ma soprattutto che ne è del suo spirito avventuriero.
Nel 2016 non c’è settimana che Terry non posti su Instagram una foto che lo ritrae nell’atto di compiere sport estremi che probabilmente neanche esistono, come lo sci d’acqua nelle varianti “in ginocchio sull’acqua” e “in volo sull’acqua” (una strana combinazione tra un hoverboard e un jetpack che sputa acqua). Quando anche il mare non c’entra direttamente lo si vede comunque cercare lucci sui laghi ghiacciati, o correre su sentieri innevati a 2700 metri d’altezza.
Come è possibile sia cambiato così drasticamente?
Una foto pubblicata da John Terry (@johnterry.26) in data: 25 Mar 2016 alle ore 02:05 PDT
Oppure appeso nel vuoto, quando vuole rilassarsi
È una sfida di sopravvivenza terminata in tragedia? Il Regno Unito è stato sommerso dalle acque e l’unico riparo è temporaneamente offerto da isolotti boschivi e inospitali? Terry con la maglia del Chelsea pensa di essere sopravvissuto all’apocalisse. Il fardello del sopravvissuto. A quel punto il suo alter ego seduto viene avvicinato da un interlocutore dall’accento irlandese: «John, ti ho portato dei lombrichi».
Al suo seguito c’è una troupe televisiva, quella di Running Wild with Bear Grylls, reality show di successo prodotto da NBC in cui l’esploratore britannico si cimenta in prove di sopravvivenza nella natura incontaminata al fianco di una star dello spettacolo o dello sport. Quale testimonial migliore di John Terry, ormai senza contratto dopo un’infelice esperienza in Cina, per inaugurare la terza stagione? Quale luogo migliore del Dartmoor, enorme landa di brughiere e querceti nel sud dell’Inghilterra, dove si esercitano i commando della Marina Militare britannica e lo stesso Bear Grylls tiene corsi di sopravvivenza?
Nella seconda stagione è apparso anche Obama, in una puntata speciale in Alaska per sensibilizzare il pubblico americano sui rischi legati allo scioglimento dei ghiacciai.
«Mi dispiace Ed, ti avevo detto che andava bene tutto ma i lombrichi no!»
«Ti assicuro John, una volta cotti hanno lo stesso sapore dei calamari».
Il secondo Fantasma Della Carriera Futura di Terry
Guidato da un altro Spirito (uno zombie con le sembianze di Lampard), Terry ritrova se stesso nel letto di una stanza d’albergo. Avrà una quarantina d’anni. Poco più in là, nel buio della notte, si intravede una figura maschile in un altro letto. La figura maschile dorme profondamente, il Terry futuro no: ha gli occhi sbarrati fissi verso il soffitto, e a giudicare dalle vibrazioni del piumone lo si direbbe ansimante. Questa per Terry non è una sensazione nuova, come rivelava nel 2015 ad un evento organizzato dai Chelsea Pitch Owners: «è chiaro che non lo supererò mai, tuttora mi sveglio la notte e mi sento di merda».
Il riferimento è al rigore decisivo sbagliato nella finale di Champions League, al Luzhniki di Mosca contro il Manchester United: «ci sono ancora un po’ di notti all’anno in cui mi sveglio e, bang, mi è tornato in testa. Non se ne andrà mai». Del resto un oscuro presagio già lo accompagnava nella lettera dedicata ai tifosi del maggio 2008: «Quella notte a Mosca mi perseguiterà per sempre, sento di aver deluso tutti e questa è la cosa che mi fa più male».

Andò più o meno così
Quando l’accelerare del battito cardiaco si fa insopportabile, Terry si alza dal letto, si infila una felpa e si incammina lungo il corridoio del piano. Di fianco allo Spirito di Lampard, il Terry del 2016 può scorgere chiaramente sulla felpa il logo Nike e i tre leoni azzurri su sfondo bianco, simbolo della Nazionale inglese. Subito dopo, vede il suo alter ego suonare il campanello di una camera non troppo distante: «Gary! Sono io, John».
Di fronte a Gary Neville, Terry rivela tutte le sue paure: quella di essere stato convocato come uomo d’esperienza e di essere il più spaventato del gruppo, quella di aver rubato un posto a chi l’avrebbe meritato di più, quella di aver rovinato gli ultimi dieci anni del calcio inglese. Nel 2008, alla prima spedizione da capitano, l’Inghilterra neanche riuscì a qualificarsi agli Europei in Austria e Svizzera. Nel 2010 gli fu sottratta la fascia da capitano alla vigilia dei Mondiali sudafricani per l’affaire con la moglie di Wayne Bridge e nel 2012 si ripeté con la stessa scientifica precisione, vedendosi privare della fascia da capitano subito prima degli Europei in Polonia e Ucraina per presunti insulti razzisti verso Anton Ferdinand, fratello di Rio (fu condannato da un tribunale sportivo, ma dichiarato incolpevole da un tribunale penale).
Dopo quell’episodio, Terry lasciò la Nazionale inglese.

John Terry e Gary Neville, con i tre leoni sul petto.
«Non è un problema, John, mi sarei stupito se ti fossi addormentato. Io non ci penso neanche», gli risponde Neville. Poi gli ricorda quanto l’Inghilterra avesse bisogno della sua esperienza, come Neville già sosteneva da opinionista del Telegraph qualche anno prima, e figurarsi adesso, che è l’allenatore della Nazionale inglese. Gli ricorda quanto avesse lottato per essere lì a 37 anni, dopo la Cina, dopo l’esperienza in tv, dopo il primo ritiro dal calcio a cui è seguito il rilancio in MLS, ad Atlanta.
«L’avresti mai immaginato John, a 37 anni, una finale dei Mondiali?». Sono i Mondiali di Russia e lo stadio, ovviamente, è il Luzhniki di Mosca. «Ho paura Gary. E se finisce ai rigori?»
«Tranquillo, se siamo pari non ti faccio entrare».
Il terzo Fantasma Della Carriera Futura di Terry
Quella di Stamford Bridge è un’atmosfera decisamente più confortevole, per quanto la presenza dello Spirito, un Gerrard crucciato e silente al suo fianco, mantenga un velo di inquietudine sull’intera esperienza. Per la prima volta Terry non si riconosce immediatamente, vede calciatori in maglia Blues (curiosamente, nessuno col “26” sulle spalle), vede i tifosi, ma non riesce a ritrovarsi. Si mette comodo e attende di capirci qualcosa.
Intravede però Claudio Ranieri nei pressi della panchina del Chelsea, avrà più di ottant’anni ma come sempre è molto elegante: una giacca, un maglione a “v” scuro che nasconde una cravatta blu e un cartellino che pende da un nastro legato al collo. I giocatori si rivolgono a lui, con molto tatto però, come consapevoli della presenza mistica di Ranieri, ormai una divinità del calcio inglese.
Sembra che Ranieri stia provando a tranquillizzare i giocatori, e Terry intercetta frasi del tipo: «concentratevi sul campo, stiamo risolvendo tutto», «ci sono qua io, voi sapete già cosa fare», «conoscete John, è molto superstizioso».
Congratulations to Claudio Ranieri and Leicester City 🏆 A real gentleman and a top manager. 🎉🎊🍾 Una foto pubblicata da John Terry (@johnterry.26) in data: 2 Mag 2016 alle ore 14:31 PDT
L’omaggio di Terry a Ranieri, in memoria dei vecchi tempi.
Lo Spirito di Gerrard raccoglie un matchprgram da terra e lo da al Terry del 2016, che scopre non solo di essere l’allenatore del Chelsea, ma di essere primo in classifica a una giornata dalla fine. In effetti è molto superstizioso, ha già confessato al Mirror di avere almeno 50 rituali pre-partita, dai più comuni come il posto fisso sull’autobus e la playlist musicale, fino alla rigorosa vestizione dei parastinchi. La superstizione sa anche essere contagiosa: per colpa di Terry i giocatori dell’ultimo Chelsea vincente di Mourinho iniziarono ad utilizzare un solo orinatoio nello spogliatoio di Stamford Bridge. La bizzarra tradizione provocò anche un richiamo da parte della FA per i ritardi nell’ingresso in campo, dovuti all’interminabile fila che si creava dietro l’unico orinatoio disponibile.
Il Chelsea Potrebbe vincere contro il Southampton, che ormai non ha più nulla da chiedere al campionato, potrebbe terminare la stagione sopra il Manchester United al ventesimo anno della gestione di Josè Mourinho, separato da un punto e impegnato contemporaneamente contro il WBA. Potrebbe conquistare il suo primo titolo da allenatore del Chelsea (sotto la supervisione del santone Ranieri, che lo sta facendo come piacere personale e deve sedersi spesso in panchina e farsi descrivere le azioni all’orecchio). Terry si cerca nello stadio, ma deve essere paralizzato da qualche parte. Si cerca nello spogliatoio ma non è lì, si cerca al bagno ma niente, poi scende nel parcheggio dello stadio e si trova lì, cinquantenne, con pochi capelli ancora in testa e una ventina di chili di troppo. Terry del 2016 inorridisce, lo Spirito di Gerrard sogghigna.

Nel panico, immobile, aggrappato al volante.
Quando finalmente gli steward riescono a rimuovere il SUV senza targa che occupava il posto nel parcheggio di John Terry, il primo tempo è ormai iniziato da venti minuti e la partita è bloccata sullo 0-0.
Sotto l’auto, al centro del perimetro che delimita il posto macchina, trovano una busta da lettera senza francobolli né segni di riconoscimento evidenti.
Ne estraggono un foglio bianco. C’è scritto solo: «In bocca al lupo per la partita. Che vinca il migliore». Il biglietto è firmato JM.