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Teocrazia
31 ago 2016
L'assurda, pazza carriera di Teofilo Gutierrez.
(articolo)
16 min
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Se alle Olimpiadi ti chiamano da fuoriquota, ti danno il numero 10 e la fascia di capitano di solito significa che non sei un giocatore normale, ma qualcosa di più vicino a un simbolo, un emblema, un leader carismatico che possa e sappia guidare dei giovani talenti in un’avventura che, più o meno, si presenta una volta nella vita. Nel Brasile, per dare la misura del paragone, è il ruolo che ha avuto Neymar, che ha saputo ripagare la fiducia portando la Seleçao alla vittoria finale (l’unica Nazionale capace di trionfare in ogni competizione a cui abbia partecipato). Ma è stata anche un’assunzione di responsabilità faticosa perché fortementecriticata, con l’effetto di far desistere O’Ney dal voler indossare la fascia di capitano in futuro.

Nella Colombia, invece, l’onore e la responsabilità sono ricaduti su Teófilo Gutiérrez, un giocatore dal profilo completamente diverso rispetto al brasiliano di Catalogna, con un nome ancora sconosciuto al grosso del pubblico europeo nonostante rappresenti al meglio quella generazione di calciatori colombiani nati negli anni ’80 su cui ha puntato Pékerman negli ultimi anni. Ma Teo è un giocatore particolare, la cui unicità ha dei pro ma anche dei contro, e come insegna la mitologia greca i due aspetti sono inscindibili.

L’unicità di Teo.

Teófilo Gutiérrez è nato il 17 maggio 1985 a Barranquilla, Colombia caraibica, nel barrio La Chinita. Se inserite il nome del quartiere in un motore di ricerca non troverete notizie (o immagini) di calcio, ma solo cronaca nera legata a scontri tra narcos rivali. È scontato, quindi, che Teo sia cresciuto giocando per strada a piedi nudi con gli amici, sempre pronto a scappare se, ma più che altro quando, succedeva qualcosa di pericoloso.

Il padre, Don Teófilo, faceva il portiere nel Junior prima di lavorare al mercato di Barranquilla. Il figlio, Teófilo Antonio, aiuta il padre a scaricare il pesce e la nonna a preparare degli snack da rivendere per strada. Nel 1992 inizia a giocare nella squadra giovanile del campo “La Mona”, praticamente una distesa di terra con due porte, senza un filo d’erba.

Oggi Teo ha fondato una scuola calcio nel suo quartiere d’origine, si chiama Teogol.

Attraverso un documentario prodotto in Colombia per raccontare la sua storia in vista dei Mondiali si scopre che la prima svolta arriva a 15 anni, quando William Knight, ai tempi allenatore delle giovanili dell’Atlético Junior, che lo teneva d’occhio da qualche tempo, decide di reclutarlo. Teo giocava da attaccante centrale e dimostrava già alcune delle sue caratteristiche tipiche: un ottimo controllo e quei movimenti incessanti che lo distinguono dallo stereotipo del talento sudamericano fermo ad aspettare la palla. Lui si muove, crea spazi, taglia, scarica la palla e punta i difensori alle loro spalle. «Tutti i suoi gol vengono dal movimento» dice Knight nel docufilm. «È un numero 9 che viene incontro alla palla e che ha la meglio sul suo marcatore prima di tutto muovendosi in anticipo».

Così, inizia a trovare i suoi primi gol ufficiali, anche contro ragazzi più grandi. A quanto pare ne ha segnati oltre cento, sempre stando al racconto un po’ retorico del reportage. Il suo debutto nel calcio professionistico avviene nel 2006: nel Barranquilla, la squadra di sviluppo del Club Deportivo Popular Junior (la prima squadra della Colombia caraibica) che milita nella seconda divisione. E si presenta con 16 gol nelle prime 40 partite. Il talento è evidente, ma l’allenatore del Junior non lo ritiene ancora pronto per il salto. Nel 2007 passa alla squadra principale, ma resta spesso in panchina e il suo esordio dura appena cinque minuti.

Fioritura

Il suo momento arriva nel 2008, quando Julio Avelino Campaña prende la guida del club e decide di puntare su di lui. A 23 anni non è certo un baby fenomeno, ma un giocatore che si è costruito con pazienza e lavoro, mentalità e forza di volontà. Il tecnico si innamora praticamente subito di lui, ma per necessità tattiche Campaña deve provarlo in allenamento come esterno destro: l’esercitazione, solitamente di un’oretta, viene interrotta dopo 25 minuti: Teófilo si intendeva alla perfezione coi compagni, come se giocasse in quella posizione da sempre.

Verrà ripagato del sacrificio tattico nel 2009, quando da centravanti esplode segnando 16 gol (sui 30 totali della squadra) nel Torneo Apertura, chiuso da capocannoniere anche se perdendo la finale contro l’Once Caldas. Nel successivo Torneo Finalización ne segna 14 (su 35 totali della squadra) finendo al secondo posto nella classifica marcatori dietro a Jackson Martínez. 30 gol in un anno, in 44 partite. Tecnicamente viene descritto da Campaña come «un centravanti, con capacità da trequartista e piedi da regista».

I gol di Gutiérrez all’Atlético Junior. Escludendo il primo anno, sono 41 in 64 match.

Atención, atención.

In realtà, è molto difficile dire se Teo Gutierrez sia più una prima o una seconda punta. Ha fisico e finalizzazione del 9 e piedi da suggeritore. Il suo calcio sta tutto in una sorta di ballo con la linea difensiva avversaria: ama giocare sulla linea del fuorigioco, decidendo di volta in volta se abbassarsi o tagliare in profondità. Spesso è l’uomo più avanzato dei suoi, quello che tiene in costante allarme i difensori avversari; come un gatto che gioca col topo, può stare fermo sembrando distratto e improvvisamente muoversi verso la porta avversaria, con la costruzione del gol già in mente.

Nella sua avventura a Barranquilla mette a segno ben 4 triplette; in particolare a giugno 2009 ne segna due consecutive a pochi giorni di distanza, contro il Cucuta e l’Envigado. Per i tifosi in quel periodo diventa Triófilo Gutiérrez, o Teogolófilo.

Esportazione e ritorno

Il suo primo trasferimento fuori dalla Colombia somiglia tanto a un colpo di testa, e sarà il primo cambio di maglia apparentemente casuale e inspiegabile della sua carriera: nel gennaio 2010 il suo cartellino viene rilevato dai turchi del Trabzonspor, non esattamente una squadra di primo piano, nemmeno a livello locale. O, quantomeno, non in era moderna: si tratta di una nobile decaduta, uno dei club più vincenti in Turchia sebbene i suoi titoli risalgano per la maggior parte agli anni ’70 e ’80.

Un colpo di mercato per certi versi affascinante, soprattutto se si ragiona sulla dinamica: una squadra turca non di Istanbul decide di puntare su una promessa del Junior di Barranquilla senza esperienza fuori da quello che possiamo considerare il suo giardino di casa. Teo accetta il trasferimento probabilmente attratto dai soldi del calcio europeo, e percorre gli 11.189 km che separano Barranquilla da Trebisonda.

A giudicare dai bagagli, Teo aveva intenzione di fermarsi assai più a lungo a Trebisonda.

La sua avventura orientalista durerà poco: di fatto non si ambienterà mai in un contesto così diverso, e tornerà in patria dopo meno di un anno solare. Persino in quel periodo sfortunato, però, dopo un primo semestre a Trebisonda decisamente negativo, con poche presenze e nessun gol, Teo trova il modo di farsi notare segnando tre gol contro il Fenerbahçe, nella Supercoppa turca.

Trovarsi al posto giusto al momento giusto.

A quel punto il suo talento sembra pronto a fiorire anche in Turchia. Teo segna anche nelle prime giornate del nuovo campionato e in Coppa UEFA, ma dopo 8 reti nelle prime 9 partite inizia a inaugurare quello che diventerà un trend nella sua carriera: i colpi di testa extracampo.

Il rapporto con Şenol Güneş, ai tempi tecnico del Trabzonspor (oggi al Beşiktaş) non era mai stato semplice e in quegli anni Teo non era un giocatore né un uomo maturo. Più di una volta si era presentato in ritardo agli allenamenti e la relazione tra i due si è complicata al punto che Güneş a un certo punto decide di puntare su Burak Yilmaz come centravanti. Senza avvisare nessuno, Teo torna a Barranquilla, parlando di problemi di salute mai confermati dai medici. La scontata conclusione è la rottura del rapporto contrattuale tra società e giocatore.

Nel 2011, Teo sceglie un Paese che diventerà una sorta di seconda casa: vola in Argentina, al Racing di Avellaneda, e da qui in poi nulla sarà più come prima.

Maturo a metà

All’Academia arriva un giocatore ormai tecnicamente prontissimo, pienamente conscio del proprio potenziale, ma non ancora supportato da una testa da uomo formato. Teo si impone in poco tempo, ha tecnica da vendere, sa sempre dove si trova la porta, finalizza in ogni modo e i suoi movimenti sembrano un rebus irrisolvibile per i difensori avversari. La sua abilità nell’attaccare la profondità in un calcio compassato come quello argentino lo rende una costante fonte di disequilibrio per le squadre avversarie.

Durante il suo primo semestre al Racing segna 11 gol in 16 partite, chiudendo da capocannoniere il Clausura 2011. Nel successivo Torneo Apertura si ferma a 6 reti, risultando comunque il miglior marcatore dell squadra guidata da Simeone, molto più preoccupata della fase difensiva (complessivamente i gol di Teo in Argentina alla prima stagione completa sono 16 in 19 giornate: non male in ogni caso).

Un vasto catalogo di movimenti e finalizzazioni da prima punta.

Di pari passo emerge la sua personalità forte e sopra le righe: anche in allenamento non si tira mai indietro, si fa espellere (anche in modo infantile, se volete), arriva come al solito in ritardo agli allenamenti e litiga con la società per questioni di soldi.

Il massimo esempio di questo aspetto della sua personalità è dato da una partita alla Bombonera contro il Boca: Teo mette in grossa difficoltà la difesa xenéize ma quando si vede negare quello che secondo lui è un rigore solare perde la testa e aggredisce l’arbitro Pitana. Non contento, evidentemente ancora su di giri, mentre esce dal campo provoca i tifosi del Boca, facendo un segno che vuole significare «vi faccio paura, eh?».

Tutto passa (più o meno) in secondo piano rispetto al suo rendimento e soprattutto alla diffusa sensazione che il Racing sia alle porte di un nuovo ciclo vincente: sotto la guida del Cholo, al ritorno in patria dopo l’esperienza a Catania, l’Academia infatti arriva seconda dietro al Boca nell’Apertura 2011, un salto notevole dopo il quindicesimo posto del semestre precedente. Mai dare per scontato il calcio argentino, però, o Teofilo Gutiérrez: quando Simeone si trasferisce all’Atlético Madrid, al suo posto arriva Alfio Basile, monumento sia del club che del calcio argentino in generale, ma la sua conduzione dura 10 partite, con 2 sole vittorie. Il tecnico si dimette dopo una pesante sconfitta nel derby con l’Independiente in cui Teo mostra tutto il repertorio: segna il gol del momentaneo vantaggio e poi si fa espellere per aver insultato l’arbitro. Quale fine migliore per la sua esperienza al Racing?

Guerra e (finalmente) pace

Negli spogliatoi avviene quello che tuttora è l’episodio più famoso e controverso della carriera di Teo: Sebastian Saja, portiere e capitano del Racing con un passato anche a Brescia, a fine partita cerca il colombiano per fargli capire con le cattive che il suo atteggiamento è solo un danno per la squadra: ne viene fuori una rissa che coinvolge anche altri compagni e Teo dal suo borsone tira fuori una pistola. Serve l’intervento della polizia per ricomporre la situazione e Gutiérrez è costretto ad uscire dallo stadio in taxi, escluso dal pullman della squadra.

Il padre, Don Teófilo, in una radio argentina racconterà che Saja aveva aggredito alle spalle il figlio, colpendolo alla testa, per poi ritirarsi in mezzo ai compagni quando il colombiano aveva cercato di rispondere.

“Escandalo en el vestuario”. La tv argentina ricostruisce la lite negli spogliatoi.

La pistola, poi, si rivelerà un giocattolo da paintball e Teo commenterà l’episodio dicendo che Saja è solo un codardo (il termine preciso è più volgare) perché non aveva capito che l’arma era finta. Vista la gravità dei fatti il presidente Cogorno si trova costretto a metterlo fuori rosa, ma non cede subito il suo cartellino: serviranno due prestiti, uno dimenticabilissimo al Lanús dove gioca solo in Libertadores, e uno e al Junior di Barranquilla, prima del passaggio, a dicembre 2012, al Cruz Azul.

Ma anche l’avventura messicana, malgrado un contratto di tre anni, durerà solo sei mesi. Teo segnerà 9 gol, vincerà una Copa México e perderà la finale del campionato, ma il rapporto con il club finisce non appena al colombiano giunge la notizia dell’interessamento al suo cartellino della sua squadra del cuore, ovviamente dopo il Junior, vale a dire il River Plate. Teo ignorerà ogni altra offerta, mettendosi contro i dirigenti messicani, deludendo i tifosi che lo accuseranno anche di essersi venduto la finale del campionato (se digitate su internet Teo Gutiérrez e Cruz Azul lo potrete constatare) e tornerà di forza in Argentina.

L’amore di Teo per il River è reale, confermato dai suoi familiari (soprattutto dal fratello Ronald che tifa Boca) e comincia nel 1996, quando da bambino vede una formazione grandiosa (Crespo, Francescoli e Ortega in attacco) vincere la Copa Libertadores. In Argentina, ovviamente, le perplessità sono tante, l’opinione pubblica non ha scordato le intemperanze al Racing e Ramón Díaz, ai tempi allenatore del River, deve spendersi di persona per assicurare di averlo visto più tranquillo, con un carattere gestibile.

“Bipolare. Lui è fatto così”.

Teo, una volta tanto, fa parlare praticamente solo il campo. Il suo apporto alla squadra è sempre determinante, sia come gol che come influenza generale, mostrando a tutto il Sudamerica un giocatore completo e maturo, capace di adattarsi a ogni compagno mantenendo un rendimento al massimo del proprio potenziale. Il picco assoluto di forma arriva nel 2014: nel primo semestre il River vince il campionato arrivando davanti al Boca nel Torneo Final, titolo che mancava da sei anni, e Teo realizza 6 reti. Viene convocato per i Mondiali brasiliani del 2014, dopo aver segnato 6 gol con la maglia della Colombia nelle qualificazioni che gioca da titolare.

Pékerman gli consegna la maglia numero 9 lasciata libera, causa infortunio, da Radamel Falcao, dandogli la responsabilità di fare da punto di riferimento negli ultimi metri, preferendolo a Jackson Martínez e Carlos Bacca. All’esordio contro la Grecia va in gol: di lì in avanti la Colombia vivrà un torneo entusiasmante, che si concluderà solo con la sconfitta contro il Brasile padrone di casa.

Nel semestre successivo, l’incontro con Marcelo Gallardo, nuovo allenatore del River, fa scattare qualcosa nell’animo di Teo: in campionato segna 10 gol in 13 partite mostrando un livello di gioco raro per qualità, abnegazione e applicazione tattica. A livello internazionale il River vince la Sudamericana 2014 e il colombiano viene inserito nell’11 ideale della competizione. El País lo inserisce nella sua selezione “Equipo Ideal de America” e, per finire, vince il Pallone d’Oro Sudamericano.

«Il River con Teo è una cosa, senza un’altra». Parola di Juan Roman Riquelme.

Il matrimonio tra giocatore e club è semplicemente perfetto: i tifosi del River lo vedevano già di buon occhio a causa dei suoi screzi col Boca, il livello delle sue prestazioni li fa innamorare definitivamente e anche il fatto che in campo si conceda gesti da tifoso aiuta l’idillio. Ma con un tipo come Teo le cose sono sempre destinate a cambiare.

Troppa pace

A maggio 2015 Teófilo deciderà di lasciare il River per tentare la sua seconda esperienza in Europa con la maglia dello Sporting Lisbona. Ma stavolta non lascia un ricordo amaro, almeno alla sua squadra del cuore, prima di andare via, e regala una prestazione monumentale, in una delle partite più delicate della storia recente del club.

Il 2015 per il River è l’anno della Libertadores, una vittoria tanto grande quanto inaspettata, ottenuta sopratutto grazie a una prestazione leggendaria nei quarti di finale contro il Cruzeiro, una delle favorite assolute. Dopo aver perso 1-0 al Monumental, il River sembra spacciato in vista del ritorno a Belo Horizonte, ma Teo e compagni producono uno sforzo straordinario vincendo 3-0 in Brasile: Gutiérrez, alla sua ultima partita con la “Banda”, assisterà il primo gol ed estrarrà dal cilindro un pezzo di bravura da fuoriclasse per il 3-0 finale.

Vedi alla voce: come dare l’addio.

Teófilo saluta così il “suo” River e i rimpianti sono tanti, per una squadra che ancora oggi, più di un anno dopo, in un certo senso deve sostituirlo, ma il colombiano non è uno che si guarda indietro.

L’offerta dello Sporting deve aver toccato Teo nell’orgoglio: una forma di riconoscimento per il gran rendimento in Argentina, ma anche un’opportunità di riscatto ormai insperata per lasciare un segno o, almeno, farsi conoscere davvero in Europa, dopo la sfortunata parentesi in Turchia. Con la motivazione extra, al solito, di uno stipendio migliore. L’esordio di Teo in Portogallo è quello già visto col Trabzonspor: supercoppa locale, gol (solo uno stavolta) e vittoria.

Una costante.

Con la maglia dei Leoni metterà insieme 15 gol, dimostrando che uno col suo talento avrebbe potuto imporsi anche alle nostre latitudini. Ovviamente non poteva mancare anche qualche colpo di testa, stavolta innocuo, come quando per esultare ha preso all’arbitro lo spray per segnare la distanza della barriera.

Oggi come oggi

L’estate del 2016 era destinata a segnare un ulteriore stacco nella carriera di Teo. Come detto, essere convocato da fuoriquota per le Olimpiadi da Restrepo, in un torneo caratterizzato dai rifiuti di molti protagonisti, dava un duplice segnale, di riconoscimento del suo valore ma anche di entusiasmo e voglia di rivalsa da parte sua.

Il ct colombiano aveva le idee molto chiare: «Teo sarà il leader della nostra squadra, gli ho parlato e vede le Olimpiadi come un’opportunità sia per la sua carriera che per continuare a dare qualcosa al fútbol colombiano». «Essere nella lista è un onore», ha rincarato la dose Teo, «Ho lavorato per questa convocazione, lavoro sempre per far parte della Colombia e andare alle Olimpiadi è un sogno per qualunque giocatore, soprattutto alla mia età».

Il bagno di folla del 2014, quando Teo è tornato a La Chinita.

A Rio ha avuto l’onore di indossare la fascia di capitano e la maglia numero 10: un simbolo per il suo comprovato talento ma anche dell’attaccamento dei colombiani che adesso possono identificarsi nella sua figura. È uno di loro, cresciuto con loro, con le loro difficoltà e non ha mai rinnegato le sue origini. Rispetto ad altri giocatori della sua generazione, ad esempio Bacca che condivide con lui le origini e gli inizi di carriera al Junior, Teo non ha mai rinnegato il suo lato oscuro, quello più umano, semplicemente ha imparato a conviverci, nei limiti del possibile.

E i campioni vulnerabili, fallibili, che nonostante i propri limiti arrivano a livelli altissimi, sono quelli che la gente preferisce. Soprattutto in Sudamerica.

Alle Olimpiadi, Gutiérrez ha deciso di esercitare la sua leadership iniziando dall’esempio sul campo: tre gol nelle tre partite del girone per aiutare la Colombia ad arrivare alla fase ad eliminazione diretta, e un ruolo evidente e riconosciuto anche sul piano carismatico. In campo parlava con tutti, arbitri compresi, poi quando c’era da giocare la palla tornava il solito concentrato di determinazione e imprevedibilità. Giustamente, quando possibile, ha cercato anche di fare il pieno d’affetto di quello che oggi è il “suo” pubblico.

Il percorso verso la medaglia si è interrotto ai quarti di finale: la Colombia si è dovuta inchinare nuovamente al Brasile; Teo a Neymar. Qualche giorno dopo, mentre O’Ney si faceva vedere sulle tribune del palazzetto che ospitava la finale di pallavolo maschile (vinta dal Brasile), Teo è sbarcato a Rosario, sponda Central.

Con i “Canallas” cercherà di tenere alto il nome della squadra, di mettere le radice in un terreno che sembra corrispondere alle sue caratteristiche. Tornerà a fiorire, o perderà di nuovo la testa: le uniche possibili alternative, in Teocrazia.

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