Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
La vittoria di Rybakina è una sconfitta per Wimbledon
11 lug 2022
11 lug 2022
La tennista kazaka nata a Mosca ha riportato in superficie la decisione di escludere gli atleti russi e bielorussi.
(articolo)
10 min
Dark mode
(ON)

Nell’anno in cui tutti gli atleti russi e bielorussi sono stati esclusi da Wimbledon, una tennista russa ha vinto Wimbledon: forse si potrebbe riassumere così questa edizione, nel modo più semplice e immediato. Elena Rybakina - che è nata e cresciuta a Mosca, ma dal 2018 gioca per il Kazakistan - è la nuova campionessa, ed è impossibile prescindere dalla sua nazionalità e dal suo passaporto. Rybakina ha vinto in finale su Ons Jabeur per 3-6 6-2 6-2, ma quello che questa partita doveva significare era chiaro prima ancora che si giocasse: da una parte le storie personali delle due tenniste, dall’altra quella politica del tennis.

Mettendo una decisione politica alla base del torneo, Wimbledon ha scommesso sul proprio prestigio, ma non ha potuto impedire che le identità contassero più del tennis: la finale, politicizzata al punto da rendere invisibile il contenuto sportivo, è la sua partita persa.

Wimbledon tra tennis e politica

Kate Middleton, duchessa di Cambridge e madrina di Wimbledon, come da tradizione consegna il premio alla campionessa, fotografata e osservata in ogni suo gesto. Boris Johnson, promotore dell’esclusione del provvedimento anti-russo, siede sugli spalti, disoccupato da due giorni. Bulat Utemuratov, il banchiere presidente della federazione di tennis del Kazakistan, è nel box di Rybakina, indossa un cappello di paglia a tesa larga e applaude in piedi con un enorme sorriso. Lei a fine partita lo abbraccia; i suoi genitori non ci sono, perché vivono a Mosca e non potevano richiedere un visto per assistere alla finale. Tarpischev, capo della federazione russa da quasi cinquant’anni, dichiara che la Russia ha vinto: «Elena è un nostro prodotto». Per Ben Rothenberg, giornalista statunitense, invece la Russia ha perso, perché ha fallito nel riconoscere il suo talento e darle supporto.

Escludere i giocatori russi è stata una vittoria di Pirro per Wimbledon. Nel 2022 i cambi di cittadinanza sono quasi la normalità ed è difficile non vedere una certa perfidia del caso nel mostrare la fragilità di una misura come quella presa dal torneo inglese. I casi sono tutti diversi tra loro, ma vale la pena snocciolare qualche numero. Secondo il sito del Coni, ai Giochi di Toyko gli italiani nati all’estero erano per esempio ben quarantasei, tra cui Marcel Jacobs. Per quanto ogni Stato e ogni sport abbiano le proprie regole, e l'Italia sia ferma a una discussione retrograda sullo ius soli sportivo, negli anni la sentenza Bosman e il trattato di Cotonou hanno semplificato le procedure, e oggi tantissimi paesi europei hanno una storia di campioni nati altrove e poi naturalizzati. Stavolta è stata una vittoria della Kazakistan, o una vittoria della Russia, o una sconfitta della Russia (visto che oggi con il Kazakistan i rapporti non sono più rilassati come prima della guerra in Ucraina), o una sconfitta della Gran Bretagna, o tutte queste cose allo stesso momento.

Sul campo centrale, Elena Rybakina sorride appena. Ha vinto il suo primo slam, a ventitré anni appena compiuti: è il suo terzo titolo, e non aveva mai superato i quarti di finale in uno slam. Quando chiude il championship point, nel momento in cui i tennisti si buttano a terra, in ginocchio, stesi, lanciano la racchetta, saltano di gioia o scoppiano a piangere con le mani sul viso, lei si asciuga il sudore dal labbro e lascia andare un respiro, quasi uno sbuffo, andando a rete a stringere la mano alla sua avversaria, composta come se avesse vinto un primo turno, o fosse al circolo vicino casa. Non ha mai esultato in campo nella sua vita e non sembra intenzionata a cambiare abitudini proprio oggi; poi si rende conto, dal pubblico in piedi che applaude e grida, che ci si aspetta che festeggi, e fa due passi verso il campo salutando con un sorriso educato.

«Devo insegnarle a festeggiare», sorride Jabeur, senza nascondere la delusione. A inizio anno aveva detto che sentiva di poter vincere Wimbledon, e a un set dal titolo aveva esultato nello stile dei campioni. La chiamano “Ministra della Felicità”. Era lei la più attesa in questa finale, la storia del torneo: la tunisina dal gioco brillante e raffinato, la prima tennista africana e araba a raggiungere la top 10 e a giocare una finale slam, che racconta ai microfoni di voler ispirare le generazioni a venire a credere nei propri sogni.

Nel sesto game del terzo set, Jabeur si porta 0-40 sul servizio di Rybakina, procurandosi tre possibilità per recuperare il break subito in apertura di set: il pubblico esplode, pronto ad accogliere, dopo la giusta dose di tennis, il trionfo del lieto fine. Non che siano contro Rybakina, anzi. Semplicemente per il pubblico inglese sarebbe difficile tifare contro una giocatrice così misurata, corretta, con un gioco tanto pulito e completo. Anzi, hanno sostenuto la sua rimonta nel secondo set, come sempre si sostiene la partita di uno sfidante.

Per quanto entrambe siano alla prima finale, Jabeur è la n.2 del mondo, ha vinto il primo set con autorevolezza e tennis di alta qualità, e nel torneo è il personaggio che partita dopo partita ha acquisito i contorni più nitidi, riversando il cuore in campo e crescendo di livello. Non solo è comprensibile voler vedere realizzato il sogno di una giocatrice così coraggiosa, per tutto quello che potrebbe significare, ma l’inerzia del gioco all’inizio era tutta dalla sua parte. A metà del terzo set, sembra ancora legittimo credere che possa essere in discussione il punteggio, ma non il risultato finale.

Rybakina invece vince cinque punti consecutivi, chiudendo il game a rete, con due volée e un nastro sfiorato: da un possibile 3-3 che avrebbe riaperto la partita a un severo 4-2. Il suo box è in piedi, gli spettatori invece sono disorientati; è il primo momento in cui cade la narrazione e prende forma l’idea che forse la storia di Jabeur dovrà compiersi in un altro giorno, o in un altro torneo. La Russia, esclusa e allontanata, è un fantasma che torna a incombere sugli spalti e sul Royal box. Sembra che sia difficile seguire la partita, come un romanzo che abbia cambiato trama all’improvviso: mentre Rybakina serve per il titolo, una volée di rovescio vincente di Jabeur viene accolta come un grido di speranza.

Sarebbe stato comunque difficile far passare in secondo piano lo scenario politico in cui si è svolta questa edizione dei Championships. La decisione dell’LTA (Lawn Tennis Association) e dell’All England Club di non ammettere tennisti di nazionalità russa e bielorussa è sul sito web di Wimbledon con un comunicato che fa esplicito riferimento a organi statali e all’influenza globale della Russia. Rimarrà una pagina difficile da dimenticare nella storia di questo sport, anche in un anno come il 2022, in cui il ministro dell’interno australiano ha fatto ricorso a poteri speciali per sovvertire una sentenza federale ed espellere Djokovic dall’Australia, e in cui il Tour ha cancellato tutti i tornei in Cina in risposta al caso Peng Shuai. ATP e WTA non assegnano punti per questa edizione del torneo, mentre quelli dello scorso anno non saranno protetti.

La Russia e la Bielorussia avevano 12 tenniste e 5 tennisti tra i primi cento del mondo, compresi due campioni slam, che avrebbero avuto accesso al tabellone principale del torneo. Dopo qualche settimana di polemiche sul Wimbledon di esibizione, il torneo si è giocato con un montepremi record, più alto del 15% rispetto allo scorso anno: quasi 50 milioni di dollari, due milioni e mezzo a testa per i vincitori del singolare, e quasi due milioni di fragole con crema distribuite in due settimane.

Chi è Rybakina

Gli ultimi dodici punti della finale vanno via troppo veloci per improvvisare una nuova storia con una nuova protagonista. Rybakina è rimasta un personaggio in secondo piano fino all’ultimo momento, e il suo sguardo schivo non concede appigli. Rimane il primo slam del Kazakistan. C’è la storia del Presidente kazako, che è appassionato di tennis e offre cittadinanza e sostegno economico senza badare a spese alle giovani promesse che la Russia considera di Serie B. Come Rybakina, e prima di lei, ci sono stati anche Bublik, Kukushkin, Putintseva, Shvedova.

Rybakina, con il suo primo slam vinto, non vince punti ma perde quelli del quarto turno raggiunto lo scorso anno, e rimane alla posizione n. 23 del ranking. Tre anni fa, a luglio 2019, raggiungeva la sua prima semifinale WTA al suo primo evento su erba, a s’Hertogebosch; poco dopo vinceva il suo primo titolo a Bucarest debuttando in top 100. Nel giro di pochi mesi colleziona sei finali e un altro titolo, battendo giocatrici in top 10, e concedendosi di giocare il suo primo ottavo slam a Melbourne con Ashleigh Barty. A marzo 2020, quando il tennis si ferma per la pandemia, ha vent’anni ed è n.17 del mondo, prima nella classifica degli ace. Per quanto fosse difficile seguire le traiettorie delle tenniste emergenti in un’epoca di passaggio generazionale per la WTA, Rybakina stava scalando il ranking con la stessa calma inesorabile con cui vince le partite, la top 10 era a un passo e sembrava non mancarle nulla per fare il salto di qualità, ben prima di Swiatek, Raducanu, Fernandez.

L’interruzione del 2020 ha avuto effetti imprevedibili. Per qualcuno ha spezzato il momentum, ad altri ha concesso il tempo di recuperare una condizione fisica compromessa, qualcuno ha pagato psicologicamente l’isolamento e qualcun’altro ha trovato la calma per concentrarsi su se stesso. Ognuno ha dovuto fare i conti con le proprie possibilità e le proprie capacità del momento, e alla ripresa il tennis non era più lo stesso. La strada di Rybakina è ricominciata in salita, il ranking ha iniziato a scendere. Per ritrovare fiducia si dedica al doppio, e trova un quarto di finale slam, una finale e una semifinale 1000; ma in singolare il 2021 le riserva solo una collezione di uscite al secondo o terzo turno. Ritrova una finale solo a inizio 2022, ad Adelaide, dove perde per mano della n.1 al mondo Ashleigh Barty.

Ecco perché Rybakina, nascosta in piena vista, non era tra le favorite del torneo per nessuno, eppure il suo arrivo era atteso su grandi palcoscenici da tempo. Che ora ciò che colpisce di più sia la sua città di nascita non dipende da lei, quanto più da chi prende decisioni. Il servizio, insieme al gioco di volo messo a punto nella sua nuova carriera da doppista, hanno trovato la combinazione giusta per portare avanti Rybakina in un tabellone che non le ha fatto alcuno sconto, mettendole davanti campionesse slam, ex. n.1 del mondo, mine vaganti e giant slayer di ogni sorta. Al primo turno è stata sorteggiata con Vandeweghe, un’americana che per due volte ha raggiunto i quarti di finale in questo torneo, eliminando campionesse in carica e n.1 del mondo. Poi ha trovato Andreescu, fresca di finale a Bad Homburg e in fiducia. Quinwen Zheng il mese prima era andata vicino a eliminare Swiatek dal Roland Garros. Poi ancora Martic, Tomljanovic, e Simona Halep, ex vincitrice del torneo e tra le favorite di quest’anno.

Jabeur è arrivata alla finale con un tabellone forse più semplice, superato con la giusta combinazione di superiorità tecnica e creatività. Durante la finale però la sua gestione dei punti importanti non è stata all’altezza della partita. Oltre alle palle break non sfruttate, ha utilizzato le chiamate del falco a sua disposizione come gesti di stizza, ritrovandosi poi a dover subire chiamate sbagliate senza poter fare niente, in momenti in cui invece ogni punto era vitale. Mentre Jabeur andava in confusione, nel terzo set, Rybakina rimaneva concentrata. Come se fosse riuscita a decidere di lasciar andare, nel momento più difficile e meno allenabile che qualsiasi tennista si può trovare a vivere, tutta la tensione che l’aveva bloccata all’inizio della partita nei punti più delicati colpiva la palla con gesti sciolti, quasi fosse un esercizio, un allenamento sulle accelerazioni.

Durante la settimana le è stato chiesto più volte se condannasse la guerra e il governo di Putin. In conferenza stampa ha risposto di essere felice di giocare per il Kazakistan, che ha creduto in lei e che la sostiene. Di fronte alla sua incredibile calma, dopo la partita tutti hanno cercato di tirarle fuori delle emozioni, chiedendole come si sentisse, se avesse realizzato. «No, è difficile adesso. Credo che ci vorrà qualche giorno». Poi, quando le hanno chiesto dei genitori, bloccati a Mosca, ha pianto un po’.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura