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Elena Marinelli
Perché il tennis è il più ricco degli sport femminili
08 apr 2021
08 apr 2021
Anche nel 2020 le tenniste hanno dominato la classifica dei guadagni delle sportive.
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Elena Marinelli
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Secondo

, Roger Federer è il tennista e lo sportivo più pagato del 2020, considerando i montepremi, i guadagni e i bonus ottenuti tra giugno 2019 e giugno 2020, periodo in cui i 100 più facoltosi hanno guadagnato complessivamente il 9% in meno rispetto all’anno precedente a causa della pandemia – e la classifica stessa ha subito degli aggiustamenti dovuti agli stravolgimenti di calendario delle varie stagioni sportive. Lo svizzero è in testa per la prima volta, scalzando Cristiano Ronaldo e Lionel Messi (rispettivamente 105 e 104 milioni di dollari), con un patrimonio stimato da Forbes di 106,5 milioni.

 

, ci sono: Neymar Jr., i cestisti Le Bron James, Stephen Curry, Kevin Durant, i giocatori di football americano Kirk Cousins e Carson Wentz e il golfista Tiger Woods. La top 10 dei più pagati totalizza quasi 820 milioni di dollari, più di 6 volte il totale delle prime dieci atlete, che ammonta a 135 milioni di dollari. Il tennis mondiale non conosce solo il primato di Roger Federer, anche la sportiva più pagata al mondo è una tennista: Naomi Osaka con 37,4 milioni di dollari stimati sempre da Forbes, la quasi totalità dovuta agli endorsment e alle sponsorizzazioni, ed è seguita da Serena Williams e Ashleigh Barty, quest’ultima numero 1 del ranking WTA dal 2019, ma fuori dalla top 60 assoluta degli sportivi più ricchi. Naomi Osaka e Serena Williams sono rispettivamente ventinovesima e trentatreesima.

 

Se in campo femminile, nelle liste delle più facoltose, le tenniste sono spesso la quasi totalità – nel 2019 erano 12 su 15; nel 2020 l’unica non tennista è la calciatrice Alex Morgan, che chiude la top 10 con 4,6 milioni di dollari – la differenza complessiva fra le due classifiche rimane abissale e lo scarto tra i due primi posti è evidente. Per le tenniste, però, si nota un’accelerazione peculiare, anche rispetto ai colleghi: i numeri 1 e 2 del mondo del periodo 2019-2020, Novak Djokovic e Rafael Nadal, non compaiono nemmeno in top 20, a differenza di Ashleigh Barty e Naomi Osaka. La fortuna di Roger Federer, infatti, arriva per grandissima parte dalle sponsorizzazioni, dunque non è un affare di campo: ammontano a 100 milioni gli accordi con Uniqlo, Credit Suisse, Mercedes-Benz e altri 10 partner,

.

 

La classifica 2020 relativa alle atlete è interessante anche perché Naomi Osaka è la più pagata di tutti i tempi: ha superato per la prima volta i record di Maria Sharapova prima, e di Serena Williams poi, e il suo primato nel primato non è capitato proprio adesso per caso, ma è uno degli esempi dell’aumento delle opportunità di comunicazione e marketing ottenute dalle atlete negli ultimi anni.

 



Come conferma Andrea Savi, Head of International Partenership di We Are Female Athletes, la prima agenzia di sport management in Europa interamente dedicata alle atlete e allo sviluppo dello sport femminile, questo nuovo contesto esplicita anzitutto «un fattore culturale che si rispecchia anche nel mondo del marketing e della comunicazione e, di conseguenza, anche nella sport industry»; ma è significativo anche del fatto che «molte atlete riescono recepire le potenzialità e le dinamiche del mondo commerciale e di comunicazione in modo rapido, facilitando notevolmente le relazioni con i brand o i media. Hanno storie e vissuti molto peculiari, diversi tra loro, positivamente o negativamente, ma che sono serviti da stimolo per coltivare le loro passioni e la loro personalità».

 

Inoltre, riescono progressivamente ad affrancarsi da una relazione con marchi o aziende prettamente femminili, creando, sempre secondo Andrea Savi, le «condizioni per poter garantire al brand ottimi risultati in termini di ritorno commerciale e, dall'altro lato, dare la possibilità di sviluppare progetti di responsabilità sociale un po’ fuori dall’ordinario».

 

In questo scenario, riuscire a creare un progetto di marketing e comunicazione rilevante e remunerativo attorno a un’atleta è un’attività più semplice, perché, come sottolinea Marco Gardenale, PR & Communications Manager di We Are Female Athletes, in generale «una sportiva ha un approccio molto più genuino al racconto di sé, dei suoi meriti sportivi, della sua persona – questo credo venga recepito facilmente e contribuisca a qualificare il messaggio in modo più robusto sia da un punto di vista di narrazione sportiva, sia da un punto di vista commerciale».

 

Il dominio remunerativo del tennis rispetto ad altri sport in campo femminile arriva dalla storia ed è in un certo senso un «fatto collettivo»: l’associazione internazionale di tennis femminile, infatti, è nata a settembre 1970 con l’intenzione di assicurare la possibilità di accesso alle donne ai tornei maggiori e l’equal pay.


In senso orario da sinistra in alto: Valerie Ziegenfuss, Billie Jean King, Nancy Richey, Peaches Bartkowicz, Kristy Pigeon, Julie Heldman, Rosie Casals, Kerry Melville e Judy Dalton: le Original 9 che esibiscono il dollaro segnato nel contratto con la nuova associazione.


 

A settembre 2020, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’epopea delle Original 9, Billie Jean King, principale portavoce di quel movimento, di quelle tenniste e di quell’idea di sviluppo collettivo e plurale

: «Sapevamo che per avere un futuro dovevamo avere un tour o una serie di tornei. Non c’erano spazi per giocare per le donne. I giocatori non volevano che giocassimo, perché portavamo via parte del montepremi facendolo. E i maschi controllavano anche i tornei, in qualità di promotori».

 

L’impegno di Billie Jean King e delle altre per animare il neonato circuito è andato di pari passo con il fattore economico e pubblicitario; quel dollaro ostentato davanti all'obiettivo dei fotografi è diventato una rivendicazione, un simbolo, e l’aiuto di Gladys Heldman, imprenditrice, attivista e fondatrice della rivista

, è stato fondamentale per trovare la sponsorizzazione giusta: il Presidente di Philip Morris Joseph Cullman investe nel primo progetto: il tour Virginia Slims, presso lo Houston Racquet Club.

 

Da questo punto di partenza, WTA ha abbracciato con il passare dei decenni una serie di cause sorelle all’equal pay, quali l’inclusività e l’antisessismo per citare solo alcune delle più recenti, supportando le atlete, i tornei più virtuosi, e mal sopportando anche pubblicamente atteggiamenti contrari a queste logiche. Ecco perché non è un caso che Naomi Osaka si inserisca pienamente nel binomio tradizione-contemporaneità che WTA ha esplicitato negli ultimi anni e si accomodi perfettamente in un contesto di mutamento febbrile dello sport femminile.

 



Il 2017 può essere considerato un anno di cambiamento su più fronti per il circuito WTA, sia a livello di risultati sportivi sia fuori dal campo. A partire dal mese di febbraio, i tabelloni dei tornei femminili sono rimasti orfani della numero 1 del mondo in quel momento, Serena Williams, fuori perché incinta – finirà l’anno oltre la top 20 – e poveri della presenza di altre famosissime personalità capaci di catalizzare tanto gli appassionati quanto la pubblicità e le sponsorizzazioni.

 

Altri due esempi emblematici sono Maria Sharapova, che nel 2017 si rimetteva in marcia dopo aver scontato la sospensione per doping, giocando solo 7 tornei e uno Slam e terminando la stagione oltre la top 50, e Angelique Kerber, numero 1 del mondo nel 2016, che non è riuscita a confermarsi e ha finito l’anno fuori dalla top 10.

 

In quella stagione si preparava la rivoluzione: il 2017 è stato l’ultimo anno del circuito WTA come lo abbiamo conosciuto per più di un decennio: un anno in cui a contendersi la prima posizione del ranking in singolare sono state 5 giocatrici diverse (Angelique Kerber, Serena Williams, Karolina Pliskova, Garbine Muguruza e Simona Halep), rispetto al solito quasi dominio di Serena Williams (nel 2012, la statunitense si alterna con Vika Azarenka, nel 2014 e nel 2015 è sola, nel 2016 si alterna con Angelique Kerber). Alla fine dell’anno al numero 1 della classifica mondiale c’era Simona Halep, una delle sempre annunciate eredi al trono di Williams, ma mai veramente affermata in questo senso fino a quel momento: nelle prove generali di occupazione del seggio vacante, il tennis femminile si è assicurato un anno di transizione, e con Simona Halep in testa, ha accolto in sordina una prospettiva nuova, che sarebbe poi esplosa davanti al mondo intero e senza dubbio l’anno successivo, durante Indian Wells prima e lo Us Open poi: quella di Naomi Osaka.

 

Il 2018 e con più forza il 2019 sono stati il biennio in cui l’associazione WTA ha visto l’arrivo nei vari tornei e a livelli differenti di un numero cospicuo di giocatrici di alto profilo professionistico, giovani, e perfettamente integrate con un modo nuovo di concepire lo sport, dentro e fuori dai campi. Mentre il tennis femminile veniva apostrofato come meno attraente, meno di successo, meno polarizzato e per questo meno interessante, WTA pensava a costruire una piccola città, in cui abitavano e si avvicendavano tante giocatrici, e questa differenza poteva essere ancora un valore dentro il circuito e finalmente accettato anche fuori. Il tennis femminile è cambiato, ha subito uno scarto mentre sembrava che per alcuni tornei fosse solo un fardello, la sezione economicamente meno vantaggiosa di uno sport in cui la qualità e la prospettiva pareva fosse tutta appannaggio maschile.

 



Sempre nel 2017, ma fuori dal campo, la associazione WTA è stata citata in giudizio dalla Madrid Trophy Promotion, la società organizzatrice del Madrid Open, uno dei tornei non Slam più importanti in 3 cause differenti (a Cipro, in Romania e in Spagna) per aver causato un danno pubblicitario e economico al torneo.

 

La storia che c'è dietro è più semplice di quello che sembra. La Madrid Trophy Promotion appoggiata dietro le quinte da Ion Tiriac (l’uomo più importante del torneo spagnolo, che lo ha reso negli anni molto seguito e particolarmente atteso) ha rivendicato delle irregolarità contrattuali operate da WTA, che avrebbe ignorato e sfruttato a proprio piacimento gli impegni contrattuali: aggiustamenti di calendario all’ultimo minuto, per favorire l’arrivo di tenniste da altre competizioni internazionali, oltre alla pretesa di adeguamento di montepremi fra maschile e femminile. Per finire c'è stato il presunto danno di immagine, dovuto alla premiazione della finale di singolare femminile, in cui era stato invitato Ilie Nastase.

 


Simona Halep è stata premiata da Ilie Nastase, ex tennista e allenatore, in quel momento allontanato in maniera preventiva dalle manifestazioni dell’International Tennis Federation (ITF).


 

Nastase 

 poco tempo prima a causa di frasi e di comportamenti sessisti tenuti durante una partita di Federation Cup ai danni della capitana della squadra femminile inglese, Anne Keothavong, della tennista Johanna Konta, dell’arbitra di sedia, e anche di Serena Williams, con allusioni alla bambina che stava aspettando. Comportamenti giudicati come irresponsabili e inaccettabili 

, Presidente di WTA, che ha commentato così la premiazione di Madrid

«L’unica ombra della giornata è stato l’invito rivolto al Sig. Nastase a partecipare alla cerimonia di premiazione di oggi. Non c’era posto per lui sul campo. È sotto sospensione precauzionale dall’ITF per le sue azioni offensive e noi abbiamo revocato I suoi privilegi agli eventi WTA, fino a che non sarà completata l’inchiesta». E questo sarebbe il danno causato da WTA al torneo.

 

I comportamenti antieconomici e ostili di WTA, soprattutto in opposizione all’operato di ATP e al successo di pubblico dal vivo e in TV in generale (il 2017 ha registrato circa quindici mila presenza in più del 2016 e quasi quarantamila in più del 2015, e la finale di singolare maschile fra Rafa Nadal e Dominic Thiem è stata la più vista in Spagna sul canale pubblico TVE dal 2013)

, dal punto di vista dell'organizzazione del torneo di Madrid, la causa di parte delle perdite di sponsorizzazioni e di ricavi pubblicitari, accumulate negli ultimi anni e ricadute unicamente sulle spalle del torneo.

 

Un caso, questo del torneo di Madrid del 2017, emblematico per come è stato trattato e per come ha coinvolto l’associazione nella sua rappresentanza principale, che non basta a creare le condizioni economiche necessarie per arrivare a un pareggio delle opportunità di guadagno, ma offre la cornice più adatto perché si sviluppi, affinché le tenniste siano delle eccezioni.

 



Lo scorso 2 dicembre, l’associazione internazionale di tennis femminile, WTA Tour, cambia faccia. Il rebranding coinvolge ogni elemento della comunicazione e del marketing, dal sito al logo, e anche l’allineamento delle categorie dei tornei a quelli maschili ATP – da gennaio 2021, infatti, hanno iniziato a chiamarsi WTA 1000, WTA 500 e WTA 250.

 

Il rebranding è stato lanciato dalla campagna social «WTA For The Game» che prende le mosse dalla nascita del circuito – il gruppo delle Original 9 e il loro dollaro simbolo di emancipazione

– fino ad arrivare alle nuove arrivate, alle nuove numero 1. Ogni atleta, dalla prima all’ultima, è parte integrante del circuito, è parte integrante della storia del circuito e dello sport, inteso come sistema complessivo, non solo come risultati sul campo.

 

Non a caso #WTAForTheGame è l’hashtag ufficiale di WTA, attraverso cui amplifica i messaggi dedicati alle tenniste, agli allenamenti, ai tornei, a momenti eccellenti della loro vita privata, alle loro imprese non strettamente sportive, ma interessanti, in una sorta di affermazione continua di certi valori: bisogna conoscere un’atleta, vederla giocare, apprezzarne le qualità tecniche e sportive, ma anche quelle umane, perché WTA non è solo la somma di una serie di tornei o un ranking che significa prestigio e soldi, ma anche un sistema di emancipazione culturale.

 


Un esempio su tutti è il nuovo logo del 2020 che contemporaneamente fa i conti e include.


 

Il nuovo logo, ad esempio, afferma la presenza di una tennista attraverso la silhouette violacea intenta a eseguire il servizio – una qualunque, una per tutte –, e perpetua l’importanza del

, che ha caratterizzato il circuito dal 2010 al 2020, con un ovale (il richiamo è al piatto di una racchetta, alla palla appena colpita che corre veloce) e il nome dell’associazione in posizione determinante. Questa immagine ci suggerisce come per dieci anni il tennis femminile abbia avuto bisogno di una casa, quasi di confini comuni e esatti da affermare, dopo tre decenni in cui le tenniste sono state individualità singole, pur immerse in una linea storica comune.

 

Prima del 2010, infatti, il

in ombra che eseguiva un rovescio a due mani, intenta cioè a dichiarare la fine di un’era – quella del rovescio a una mano, della classicità, simbolicamente preso a esempio di un passato quasi archiviato del tennis femminile – e a identificarsi con una giocatrice su tutte: nonostante in ombra, la silhouette apparteneva chiaramente a Venus Williams.

 

Il rebranding di WTA del 2020 è importante perché è la somma pressoché esatta di tradizione e futuro, culmine di un processo a tappe, che ha a che fare con la storia del moderno tennis femminile ma anche con le battaglie più o meno quotidiane che con fierezza si porta dietro, avvicinandosi a chi sostiene l’equal pay e distanziandosene in caso contrario, alzando la voce se necessario, e affermando l’idea di fondo che ogni atleta rappresenta contemporaneamente se stessa e il mondo che la circonda.

 

Lo sport diventa lo spazio per ognuna, in cui portare avanti l’idea di una comunità solidale, come iniziato dalle Original 9, e sviluppare un percorso potenzialmente sempre più egualitario, in cui le due associazioni potrebbero addirittura essere una soltanto. Circa un anno fa Roger Federer ha immaginato una fusione potenziale del tennis maschile e femminile, nel senso delle sue associazioni rappresentative, quindi ATP e WTA. Gli ha risposto anche Billie Jean King, commentando quanto fosse una cosa di cui discutere, e ricordando che già negli anni Settanta il suo lavoro era stato mosso da una intenzione egualitaria, in senso assoluto.


 

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