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Dario Saltari
Taylor Swift al Super Bowl è un incubo per Trump
08 feb 2024
08 feb 2024
Cosa ci dicono le teorie del complotto sulla relazione tra Taylor Swift e Travis Kelce.
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Dario Saltari
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Il 23 maggio del 2016 il mondo è venuto a sapere che Taylor Swift era considerata dall’alt-right americana “una dea ariana”. Vice, allora all’apice del suo arco, aveva pubblicato un pezzo che oggi ci sembra uscito da un universo diverso da quello a cui apparteneva il mondo nemmeno otto anni fa, quando aveva un suo senso spiegare “come Taylor Swift è diventata un idolo nazista”. «È un dato di fatto che Taylor Swift sia segretamente nazista e che stia semplicemente aspettando il momento in cui Donald Trump le permetta di renderlo pubblico e annunciare al mondo la sua agenda ariana», si poteva leggere nel pezzo, parole di Andre Anglin, redattore del blog The Daily Stormer e suprematista bianco. «Taylor Swift è una pura dea ariana, sembra uscita dalla poesia classica greca, tipo Atena reincarnata».

Bianchissima, borghese, originaria di una minuscola cittadina in Pennsylvania, Taylor Swift aveva cominciato con la musica country, che forse è la cosa più vicina al nazismo che la cultura americana può permettersi. Qualche anno prima, agli MTV Video Music Awards del 2009, Kanye West le aveva strappato il microfono di mano per contestare l’assegnazione del premio al “best female video”, ponendola simbolicamente in contrasto con la cultura nera. Un momento che creerà un prima e dopo nella sua carriera, trasformandola da fidanzatina d’America a qualsiasi cosa sia oggi (un’imperatrice, ha suggerito The Ringer solo pochi giorni fa, senza però nessun riferimento a agli anni ’30 del Novecento).

Insomma, a maggio del 2016 non era troppo difficile immaginare Taylor Swift in una tunica bianca su un capitello corinzio in mezzo a un mare di braccia tese con il Campidoglio in fiamme sullo sfondo. Alla fine più che una teoria del complotto poteva essere considerata la proiezione di un desiderio, una fantasia solo poco più definita di un pensiero che per un attimo ha attraversato l’inconscio di una parte consistente della società americana. Da questo punto di vista, non stupisce più di tanto che oggi, negli ambienti complottisti legati alla destra americana, Taylor Swift abbia fatto il giro. La sua ascesa frutto di una psyop (termine crasi che sta per psycologichal operation, all’incirca quello che noi chiameremmo “lavaggio del cervello”) diretta dal governo democratico e soprattutto dal Pentagono, che avrebbe orchestrato più o meno tutto, compresa la sua chiacchierata relazione con il tight end dei Kansas City Chiefs, Travis Kelce, che casualmente si giocherà il Super Bowl domenica. «Chissà chi vincerà il Super Bowl», ha scritto sarcasticamente sul proprio profilo X Vivek Ramaswamy, per un brevissimo momento avversario di Trump alle ultime primarie repubblicane «Chissà se quest’autunno arriverà un grosso endorsement presidenziale da una coppia tenuta in piedi artificialmente». Il giornalista trumpiano Mike Crispi lo ha scritto in maniera ancora più chiara, sempre su X: «È tutto fatto per diffondere propaganda democratica. Lo dico adesso: Kansas City vince, va al Super Bowl, Swift appare durante l’halftime show ed endorsa Joe Biden, con Kelce a centrocampo. È stata tutta un’operazione fin dal primo giorno».

Questa teoria ha perfettamente senso oggi per chi preferisce riempire i vuoti lasciati dalla realtà con l’immaginazione anziché rimanere sulla soglia del dubbio. Ma per capire il perché bisogna partire dall’inizio.

Il percorso politico di Taylor Swift

Come ci insegnano le stesse teorie del complotto nulla è come sembra e la realtà per come la vediamo è ingannevole. A tutti gli effetti, nonostante il suo insospettabile background, Taylor Swift per il partito repubblicano è stata una false flag. Lo si poteva intuire già dalle sue prime dichiarazioni sulle sue preferenze politiche, quando per esempio nel marzo del 2009 disse a Rolling Stone di essere «grata» che la sua prima elezione fosse stata quella che ha fatto entrare Obama alla Casa Bianca: «Non ho mai visto questo Paese così felice di una decisione politica in tutta la mia vita». Certo, era affascinante pensare che queste parole facessero parte di un piano per nascondere la sua fede nazista, ma forse abbiamo semplicemente visto troppe puntate di Homeland.

Taylor Swift ha gettato definitivamente la maschera a partire dal 2018, quando ha iniziato a criticare pubblicamente l’amministrazione Trump e a sostenere esplicitamente punti di vista che la destra americana chiamerebbe woke riguardo al diritto all’aborto, alla difesa della comunità LBTQ+ e all’empowerment femminile. Una scelta sofferta e sconsigliata da una parte del suo staff, come si può vedere nel documentario Miss Americana (2020), ma che alla fine l’ha portata a prendere iniziative piuttosto radicali, come attaccare Trump in maniera diretta su Twitter e fare un endorsement pubblico per la candidatura di Joe Biden alle elezioni presidenziali del 2020. Girato tra la seconda metà del 2018 e l’inizio del 2019, cioè tra la fine del tour Reputation Stadium e la creazione dell’album Lover, in Miss Americana si vede Taylor Swift in lacrime dire al padre «questo è davvero molto importante per me» mentre quello prova a dissuaderla dal prendere posizione dicendo di essere preoccupato per la sua incolumità: «Sono terrorizzato: io sono quello che è uscito a comprare delle automobili blindate». Il clima negli Stati Uniti era già quello che era, ed erano sei anni fa.

Già nel 2018 Taylor Swift aveva fatto un endorsement pubblico per le elezioni di midterm ai candidati democratici Phil Bredesen e Jim Cooper nel proprio stato d’origine, il Tennessee, senza però riuscire a impedire la vittoria repubblicana. Su questo risultato si concentra chi cerca di sminuire la portata dell’influenza politica di Taylor Swift, che negli Stati Uniti è un argomento molto discusso (nella versione inglese di Wikipedia la pagina “Political impact of Taylor Swift” è insospettabilmente lunga). Se è vero che dopo il suo endorsement si sono iscritte al registro degli elettori oltre 160mila persone (negli Stati Uniti il diritto di voto è esercitabile solo previa registrazione), è anche vero che, come detto, questo non è bastato a cambiare le cose. Il divario era troppo ampio? Lo Swift effect non era ancora abbastanza forte rispetto alle tradizioni politiche statunitensi? I picchi nelle registrazioni al voto si sono ripetuti in futuro - l’ultimo a settembre, quando 35mila persone hanno risposto al post con cui Swift ha invitato i suoi fan a registrarsi per il National Voter Registration Day (un aumento del 23% rispetto al totale del 2022 e del 115% tra i diciottenni) - ma non è ancora chiaro se possano essere effettivamente tradotti in pacchetti di voti per un partito o per l’altro. Secondo un sondaggio condotto nel maggio del 2023, solo il 55% dei fan di Taylor Swift nella cabina elettorale alla fine vota democratico.

Certo, si può dire che il 2018 non è il 2020 e che il 2020 non è il 2024. Mentre il clima politico negli Stati Uniti diventava sempre più violento e polarizzato, Taylor Swift ha acquisito un’influenza culturale e quindi politica senza precedenti nella storia della musica mondiale. Solo pochi giorni fa la cantante cresciuta a Nashville ha annunciato l’uscita di un nuovo album ad aprile durante una cerimonia in cui è diventata la prima persona nella storia a vincere per quattro volte il Grammy al miglior album dell’anno (a tre si erano fermati Stevie Wonder, Paul Simon e Frank Sinatra, giusto per capirci su quali nomi adesso si possono accostare al suo). Nel 2023 Taylor Swift è stata l’artista più riprodotta su Spotify e cinque dei dieci album più ascoltati negli Stati Uniti erano suoi. Il suo ultimo Tour, Eras, è stato il primo nella storia a superare la soglia del miliardo di dollari di incasso. Potrei andare avanti, ma l’elenco dei record che ha raggiunto negli ultimi anni è talmente lungo che è difficile da ricostruire in maniera esaustiva.

Il punto è che un endorsement di Taylor Swift oggi pesa enormemente di più di quanto può aver pesato quello fatto nel 2020, e infatti, secondo il New York Times, il comitato di Joe Biden sarebbe disposto quasi a tutto pur di ottenerlo di nuovo (tra le idee che sono circolate c’è anche quella di farlo apparire in una delle tappe del suo tour)(provate a immaginarvelo per un attimo, se ci riuscite). Allo stesso modo le teorie del complotto che il Partito Repubblicano sta facendo circolare sul suo conto, sulla sua probabile apparizione al Super Bowl e sulla sua relazione con Travis Kelce sono la prova che la forza politica di Taylor Swift è riconosciuta e temuta dallo stesso Donald Trump, e dall’universo che gli gira attorno. Come ha scritto Ben Lindbergh su The Ringer: «Devi essere piuttosto popolare e potente se la gente ipotizza che la principale forma d’intrattenimento del Paese (il football) sia stata manipolata per favorirti o che un tuo endorsement possa decidere le elezioni presidenziali».

I dettagli

Bisogna riconoscere poi che per gli appassionati del genere questa teoria del complotto ha tutti i dettagli al posto giusto per suonare credibile. Secondo la complottista trumpiana Laura Loomer, tutto comincia nella disputa legale che nel 2019 ha contrapposto Taylor Swift con la sua ex casa discografica, la Big Machine Records. Swift voleva comprare i diritti sui suoi primi sei album ma la Big Machine Records si è opposta, assumendo una posizione intransigente dopo la cessione dell’etichetta alla Ithaca Holdings, finanziata da una serie di fondi di investimento. Tra questi - dettaglio molto importante per tutti i complottisti del mondo - ne compariva uno a capo del celebre miliardario di origini ungheresi George Soros. Nella realtà che conosciamo questa disputa, che ha portato Taylor Swift a esprimere posizioni piuttosto nette nei confronti della famiglia Soros (che le hanno attirato delle accuse di antisemitismo), ha costretto la cantante di Nashville a ri-registrare tutti i suoi primi sei album in modo da riacquisire la possibilità di cantare dal vivo le canzoni presenti al loro interno (sono gli album che oggi hanno alla fine del loro nome la parentesi con scritto: Taylor’s version). Nella teoria ipotizzata da Loomer, invece, Taylor Swift ha fatto un accordo segreto con la famiglia Soros che, in cambio dei diritti sui suoi primi sei album, le ha chiesto di appoggiare il Partito Democratico aiutandolo a conquistare il voto degli zoomer (cioè le persone nate tra il 1996 e il 2010 che, dice Loomer, nel 2024 sostituiranno i boomer come più grande fascia demografica nel corpo elettorale degli Stati Uniti). Il dato reale su cui si basa questa ipotesi è che la Open Society Foundations, cioè la fondazione che gestisce i “risparmi” della famiglia Soros, è tra i finanziatori del Partito Democratico e in particolare di Gavin Newsom, governatore della California che proprio per questo secondo i complottisti trumpiani è il più accreditato a sostituire Biden in corsa nel caso si ritirasse per questioni d’età (magari in ticket con Michelle Obama, dicono).

Non linkerò il tweet di Laura Loomer. Al suo posto eccovi una serie di foto di stadi ripresi dall’alto che assomigliano a occhi pubblicata sul social network fondato da Donald Trump: Truth Social.

La teoria sarebbe corroborata da una serie di dettagli e dichiarazioni a cui i troll repubblicani danno grande importanza. Le parole dello stesso Gavin Newsom, che ha lodato il potere di Taylor Swift nel «rendere i giovani consapevoli della loro voce e che dovrebbero avere una scelta alle prossime elezioni». E ovviamente la recente relazione della cantante con Travis Kelce, uno dei giocatori NFL più in vista ad avere posizioni estremamente liberali (globaliste, direbbero i troll). Kelce si è inginocchiato durante l’inno nel periodo della protesta di Colin Kaepernick, da bianco è stato un idolo della comunità afroamericana e soprattutto è diventato testimonial di Pfizer per i vaccini contro il Covid-19. La cosa più grave di tutte, per qualcuno.

Il peso simbolico della NFL in questo discorso non va sottovalutato. Il più bianco e conservatore tra tutti gli sport americani, legato a doppio filo alle forze armate degli Stati Uniti, una sorta di metafora della conquista dell’ovest attraverso cui è stato costruito il Paese. Il football è il riferimento culturale, l’immagine di un passato idealizzato, che sia i repubblicani moderati che i seguaci di Trump non possono permettersi di perdere. Swift e Kelce, una cantante country cresciuta in Tennessee e un giocatore di football bianco, hanno ravvivato l’interesse intorno alla NFL e rafforzato il suo brand ma rappresentano un pericolo troppo grande: che i liberali, cioè, si prendano anche i simboli e le cerimonie degli Stati Uniti che furono. Alla fine è naturale che una parte della società americana li veda come avatar alieni mandati a conquistare con sorrisi seducenti un mondo non loro. Dal loro punto di vista stanno annunciando un futuro in cui quel mondo non esiste più.

The game was rigged, the ref got tricked, The wrong ones think they're right, You were outnumbered, this time”, canta Taylor Swift in Only The Young. Ma credo anche nei peggiori incubi dei seguaci di Trump, mentre pianta una bandiera arcobaleno al centro di un campo da football.

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